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1.1All'ardua cima del sereno Olimpo
1.2risalìa Giove intanto, e ad incontrarlo
1.3accorrean presti e riverenti i numi
1.4su le porte del cielo. In mezzo a tutti,
1.5in due schierati taciturne file,
1.6maestoso egli passa, a quella guisa
1.7che suol, calando al pallido Occidente,
1.8passar tra i verecondi astri minori
1.9d'Iperione il luminoso figlio,
1.10quando dall'arsa eclittica il gran carro
1.11della luce ritira, e l'Ore ancelle
1.12sciolgono dal timon bianco di spuma
1.13i fumanti cavalli. Ai sacri alberghi
1.14dell'aurea reggia rispettosi i divi
1.15accompagnâr l'Onnipotente; e giunti
1.16al grande limitar, per sé medesme
1.17si spalancâr sui cardini di bronzo
1.18le porte d'oro, che uno spirto move
1.19intrinseco e possente: e tale intorno
1.20nell'aprirsi mandâr cupo un ruggito,
1.21che tutto ne tremò l'alto convesso.
1.22Ivi in parte segreta, a cui nessuno
1.23non ardisce appressar degli altri eterni
1.24(fuor che le meste e querule Preghiere,
1.25che libere pel ciel scorrono, e al nume
1.26portano i voti degli oppressi e il pianto),
1.27l'egìoco Padre in gran pensier s'assise
1.28sovra il balzo d'Olimpo il più sublime.
1.29Contemplava di là giusto e pietoso
1.30de' mortali gli affanni e le fatiche:
1.31mirò d'Ausonia i campi, e la pontina
1.32valle in orrendo pelago conversa;
1.33mirò per tutto (miserabil vista!)
1.34le sue tante cittadi, altre sommerse,
1.35altre per forza di tremuoto svelte
1.36dalle ondeggianti rupi, e la catena,
1.37donde pendon la terra e il mar sospesi,
1.38scuotersi ancora, ed oscillar commossa
1.39dalla tremenda di Vulcan possanza.
1.40Ciò tutto contemplando in suo segreto,
1.41non fu tardo a veder che tanto eccesso,
1.42tanta rovina sarìa poco all'ira
1.43della fiera consorte. In compagnia
1.44del potente de' fuochi egli la vide
1.45verso la sacra selva incamminarsi,
1.46ove Feronia nel maggior suo tempio
1.47di vittime, d'incensi e di ghirlande
1.48dalle genti latine avea tributo.
2.1Di Giuno ei quindi antivedendo il nuovo
2.2scellerato disegno, a sé chiamato
2.3di Maia il figlio, esecutor veloce
2.4de' suoi cenni, gli fe' queste parole:
2.5- Nuove furie gelose, o mio fedele,
2.6hanno turbato alla mia sposa il petto;
2.7e quai del suo rancor già sono usciti
2.8senza misura lagrimosi effetti,
2.9non t'è nascoso. Un simulacro avanza
2.10dell'esule Feronia, un tempio solo
2.11di tanti che già n'ebbe; e questo ancora
2.12vuole al suolo adeguar la furibonda.
2.13Or che consiglio è il suo? Stolta, che tenta?
2.14Se rispettar le nostre ire non sanno
2.15le sante cose in terra, e i monumenti
2.16dell'umana pietà, chi de' mortali
2.17sarà che più n'adori, e nella nostra
2.18divina qualità più ponga fede?
2.19Prendi adunque sul mar Tirreno il volo,
2.20t'appresenta a Giunon carco de' miei
2.21forti comandi. Con le fiamme assalga,
2.22se tanto è il suo disdegno, anco la selva
2.23(ch'ella a ciò si prepara, e consentire
2.24io le vo' pur quest'ultima vendetta):
2.25ma se l'empia oserà stender la destra
2.26alle sacre pareti, e violarne
2.27il fatal simulacro, alla superba
2.28tu superbo farai queste parole:
2.29"Fisso è nel mio volere (e per la stigia
2.30onda lo giuro) che l'achea contrada
2.31lasciar debbano i numi, e nell'opima
2.32itala terra stabilir più fermo,
2.33più temuto il lor seggio. Io le catene
2.34del mio padre Saturno ho già disciolte,
2.35e l'offesa obbliai, che mi costrinse
2.36a sbandirlo dal ciel. L'ospite suolo,
2.37che ramingo l'accolse e ascoso il tenne,
2.38sacro esser debbe, né aver dato asilo
2.39di Giove al genitor senza mercede.
2.40Dopo il beato Olimpo, in avvenire
2.41sia dunque Italia degli dèi la stanza,
2.42e di là parta un dì quanto valore
2.43della mente e del braccio in pace e in guerra
2.44farà suggetto il mondo, e quanta insieme
2.45civiltà, sapienza e gentilezza
2.46renderanno l'umana compagnia
2.47dalle belve divisa, e minor poco
2.48della divina. A secondar l'eccelso
2.49proponimento mio già nello speco
2.50della rupe cuméa mugge d'Apollo
2.51la delfica cortina, ed esso il dio,
2.52dimenticata la materna Delo,
2.53ai dipinti Agatirsi ama preporre
2.54del Soratte gli scalzi sacerdoti.
2.55Già la sorella sua di Cinto i gioghi
2.56lieta abbandona, e le gargafie fonti,
2.57del nemorense lago innamorata.
2.58Alle sorti di Licia han tolto il grido
2.59le prenestine, e di Laurento i boschi
2.60tacer già fanno le parlanti querce
2.61della vinta Dodona. In su la spiaggia
2.62d'Anzio diletta Venere trasporta
2.63d'Amatunta i canestri, e Bacco e Vesta,
2.64e Cerere e Minerva, e il re dell'onde
2.65son già numi latini. E alle latine
2.66d'Elide l'are già posposi io stesso,
2.67e sul Tarpéo recai dell'Ida i tuoni
2.68e le procelle. Perocché maturo
2.69già s'agita nell'urna il gran destino,
2.70che gloriosa dee fondar sul Tebro
2.71la reina del mondo. Al sol bisbiglio
2.72che di lei fanno i tripodi cumani,
2.73tutta trema la terra: e già s'appressa
2.74d'Anchise il pio figliuol, seco adducendo
2.75d'Ilio i Penati, che faran nel Lazio
2.76la vendetta di Troia, e spezzeranno
2.77d'Agamennon lo scettro in Campidoglio.
2.78Cotal de' Fati è il giro; e disviarlo
2.79tenta indarno Giunon: da Samo indarno
2.80porta alla sua Cartago il cocchio e l'asta
2.81e l'argolico scudo, armi che un giorno
2.82fian concedute con miglior fortuna
2.83di Dardano ai nepoti, allor che Giuno
2.84per quella stessa region, su cui
2.85tanta mole di flutti ora sospinse,
2.86placata scorrerà del Lazio i lidi.
2.87Ivi su l'ara Sospita le genti
2.88l'invocheranno; ed ella, il fianco adorna
2.89delle pelli caprine, e dentro il fumo
2.90de' lanuvini sagrificii avvolta,
2.91tutti a mensa accorrà d'Ausonia i numi
2.92cortesemente, e porgerà di pace
2.93a Feronia l'amplesso; onde già fatte
2.94entrambe amiche, toccheran le tazze
2.95propinando a vicenda, e in larghi sorsi
2.96l'obblìo berran delle passate cose."
2.97Va dunque, e sì le parla. Il suo pensiero
2.98volga in meglio l'altera, e alle sue stanze
2.99rieda in Olimpo; ché l'andar vagando
2.100più lungamente in terra io le divieto.
2.101E se niega obbedir, tu le rammenta
2.102le incudi un giorno al suo calcagno appese;
2.103e dille che la man che ve le avvinse,
2.104non ha perduta la possanza antica. -
3.1Disse; e Mercurio ad eseguir del padre
3.2il precetto s'accinse. E pria l'alato
3.3petaso al capo adatta, ed alle piante
3.4i bei talari, ond'ei vola sublime
3.5su la terra e sul mare, e la rattezza
3.6passa de' venti. Impugna indi l'avvinta
3.7verga di serpi, prezioso dono
3.8del fatidico Apollo il dì che a lui
3.9l'argicida fratel cesse la lira:
3.10con questa verga, tutta d'oro, in vita
3.11ei richiama le morte alme, ed a Pluto
3.12mena le vive, ed or sopore infonde
3.13nell'umane pupille, ed or ne 'l toglie.
3.14Sì guernito, e con tal d'ali remeggio
3.15spiccasi a volo. Occhio mortal non puote
3.16seguitarne la foga; in men che il lampo
3.17guizza e trapassa, egli è già sceso, e preme
3.18il campano terreno, un dì nomato
3.19campo flegréo, famosa sepoltura
3.20de' percossi Giganti. Intorno tutta
3.21manda globi di fumo la pianura,
3.22ed ogni globo dal gran petto esala
3.23d'un fulminato. A fronte alza il Vesevo
3.24brullo il colmigno, ed al suo piè la dolce
3.25lagrima di Liéo stillan le viti.
3.26Lieve lieve radendo il folgorato
3.27terren di Maia il figlio, e la marina
3.28sorvolando, levossi all'erte cime
3.29della balza circéa, che di Feronia
3.30signoreggia la selva. Ivi fermossi,
3.31qual uom che tempo al suo disegno aspetta;
3.32e di là dechinando il guardo attento
3.33al piano che s'avvalla spazioso
3.34fra l'ànsure dirupo ed il circéo,
3.35e tutto copre di Feronia il bosco,
3.36a quella volta acceleranti il passo
3.37vide Giuno e Vulcano, armati entrambi
3.38d'orrende faci, ed anelanti a nuova
3.39nefanda offesa. All'appressar di quelle
3.40vampe nemiche un lungo mise e cupo
3.41gemito la foresta: augelli e fiere,
3.42a cui Natura, più che all'uom cortese,
3.43presentimento diè quasi divino,
3.44da subito terror compresi, i dolci
3.45nidi e i covili abbandonâr stridendo
3.46e ululando smarriti, e senza legge
3.47d'ogni parte fuggendo. I primi incendi
3.48eran già desti, e già di Giuno al cenno,
3.49già la sua fida messaggera e ancella
3.50verso Eolia battea preste le penne
3.51con prego ai venti di soffiar gagliardi
3.52dentro le fiamme, e promettendo pingui
3.53in nome della dea vittime e doni:
3.54come il dì che d'Achille ai caldi voti,
3.55del morto amico gli avvampâr la pira.
4.1Già stendendo venìa l'umida notte
4.2sul volto della terra il negro velo,
4.3e in grembo al suo pastor Cinzia dormìa;
4.4quando i figli d'Astréo con gran fracasso
4.5dall'eolie spelonche sprigionati
4.6s'avventâr su l'incendio, e per la selva
4.7senza freno lo sparsero. La vampa
4.8esagitata rugge, e dalla quercia
4.9si devolve su l'olmo e su l'abete;
4.10crepita il lauro; e le loquaci chiome
4.11stridono in capo al berecinzio pino,
4.12a sfidar nato su gli equorei campi
4.13d'Africo e d'Euro i tempestosi assalti.
4.14Già tutta la gran selva è un mar di foco
4.15e di terribil luce, a cui la notte
4.16spavento accresce, e orribilmente splende
4.17per lungo tratto la circéa marina;
4.18simigliante al Sigéo, quando gli eletti
4.19guerrier di Grecia del cavallo usciti
4.20in faville mandâr d'Ilio le torri,
4.21e atterrita la frigia onda si fea
4.22specchio al rogo di Troia; miserando
4.23di tanti eroi sepolcro e di tant'ire.
5.1All'orrendo spettacolo il feroce
5.2cor di Giuno esultava; e impaziente
5.3di vendicarsi al tutto (ché suprema
5.4voluttà de' potenti è la vendetta),
5.5un divampante tizzo alto agitando
5.6e furiando, vola al gran delubro,
5.7ch'unico avanza della sua nemica,
5.8ferma in cor d'atterrarlo, incenerirlo,
5.9e spegnere con esso ogni vestigio
5.10dell'abborrito culto. Armato ei pure
5.11d'empia face, Vulcan seguìa non tardo
5.12la fiera madre; e già le sacre soglie
5.13calcano entrambi: dai commossi altari
5.14già fugge la Pietà, fugge smarrita
5.15la Fede avvolta nel suo bianco velo:
5.16con vivo senso di terrore anch'esso
5.17si commosse il tuo santo simulacro,
5.18o misera Feronia, e un doloroso
5.19gemito mise (meraviglia a dirsi!),
5.20quasi accusando d'empietade il cielo.
5.21Ma del figliuol di Maia, a ciò spedito,
5.22non fu tarda l'aita in tanto estremo:
5.23e come stella che alle notti estive
5.24precipite labendo il cielo fende
5.25di momentaneo solco, e va sì ratta,
5.26che l'occhio appena nel passar l'avvisa;
5.27non altrimenti il dio stretto nell'ali
5.28il sereno trascorse, e rilucente
5.29sul vestibolo sacro appresentossi.
5.30All'improvvisa sua comparsa il passo
5.31stupefatti arrestâr Vulcano e Giuno,
5.32e si turbâr vedendosi di fronte
5.33starsi ritto Mercurio, e imperioso
5.34contra il lor petto le temute serpi
5.35chinar dell'aurea verga, e così dire:
5.36- Férmati, o Diva; portator son io
5.37di severa ambasciata. A te comanda
5.38l'onnipossente tuo consorte e sire
5.39di gettar quelle faci, e inviolata
5.40quest'effigie lasciar e queste mura.
5.41Riedi alle stanze dell'Olimpo, e tosto;
5.42ché ti si vieta andar più lungamente
5.43vagando in terra, e funestar di stragi
5.44le contrade latine, a cui l'impero
5.45promettono del mondo il fato e Giove. -
5.46E di Giove e del fato a mano a mano
5.47qui le aperse i voleri, e il tempo e il modo
5.48de' futuri successi: e non diè fine
5.49all'austero parlar, che ricordolle
5.50le incudi un giorno al suo calcagno appese,
5.51e il braccio punitor, che non avea
5.52perduta ancora la possanza antica.
6.1Cadde il tizzo di mano a quegli accenti
6.2al dio di Lenno, e tra le vampe e il fumo
6.3si dileguò; né disse addio, né parve
6.4aver mal fermo a pronta fuga il piede;
6.5ma con torvo sembiante e disdegnoso
6.6si ristette Giunon, ché rabbia e tema
6.7le stringono la mente, e par tra' ferri
6.8la generosa belva che gli orrendi
6.9occhi travolve, e il correttor flagello
6.10fa tremar nella man del suo custode.
6.11Senza dir motto alfin volse le spalle,
6.12e rotando in partir la face in alto,
6.13con quanta più poteo forza la spinse:
6.14vola il ramo infiammato, e di sanguigna
6.15luce un grand'arco con immensa riga
6.16segna per l'etra taciturno e scuro.
6.17Il sidicino montanar v'affisse
6.18stupido il guardo, e sbigottissi, e un gelo
6.19corse per l'ossa al pescator d'Amsanto,
6.20quando sul capo ruinar sel vide,
6.21e cader sibilando nella valle,
6.22ove suona rumor di fama antica,
6.23che del puzzo mortal, che ancor v'esala,
6.24l'aria e l'onde corruppe, ed un orrendo
6.25spiraglio aperse, che conduce a Dite.
7.1Come allor che su i nostri occhi Morféo
7.2sparger ricusa la letéa rugiada,
7.3d'ogni parte la mente va veloce,
7.4e fugge, e torna, e slanciasi in un punto
7.5dall'aurora all'occaso, e dalla terra
7.6alla sfera di Giove e di Saturno;
7.7con tal prestezza si sospinse al cielo
7.8la ritrosa Giunon. L'Ore custodi
7.9delle soglie d'Empiro incontanente
7.10alla reina degli dèi le porte
7.11spalancâr dell'Olimpo, e la bionda Ebe,
7.12ilare il volto, e l'abito succinta,
7.13le corse incontro con la tazza in mano
7.14del nèttare celeste; ed ella un sorso
7.15né pur gustò dell'immortal bevanda;
7.16ché troppo d'amarezza e di rammarco
7.17avea l'anima piena. Onde con gli occhi
7.18in giù rivolti e d'allegrezza privi,
7.19né a verun degli dèi, che surti in piedi
7.20erano al suo passar, fatto un saluto,
7.21il passo accelerò verso i recessi
7.22del talamo divino; ed ivi entrata,
7.23serrò le porte rilucenti, e tutte
7.24ne fûro escluse le fedeli ancelle.
7.25Poiché sola rimase, al suo dispetto
7.26abbandonossi; lacerò le bende,
7.27ruppe armille e monili, e gettò lunge
7.28la clamide regal che di sua mano
7.29tessé Minerva, e d'auree frange il lembo
7.30circondato n'avea. Né tu sicura
7.31da' suoi furori andar potesti, o sacra
7.32alla beltade, inaccessibil ara,
7.33che non hai nome in cielo, e tra' mortali
7.34da barbarico accento lo traesti,
7.35cui le Muse abborrîr. Cieca di sdegno
7.36ti riversò la dea: cadde, e si franse
7.37con diverso fragor l'ampio cristallo,
7.38che in mezzo dell'altar sorgea sovrano
7.39maestoso e superbo, e in un confusi
7.40n'andâr sossopra i vasi d'oro e l'urne
7.41degli aromi celesti e de' profumi,
7.42onde tal si diffuse una fragranza,
7.43che tutta empiea la casa e il vasto Olimpo.
8.1Mentre così l'ire gelose in cielo
8.2disacerba Giunon, quai sono in terra
8.3di Feronia le lagrime, i sospiri?
8.4Ditelo, d'Elicona alme fanciulle,
8.5voi che l'opere tutte e i pensier anco
8.6de' mortali sapete e degli dèi.
8.7Poi che si vide l'infelice in bando
8.8cacciata dal natìo dolce terreno,
8.9d'ara priva e d'onori, e dallo stesso
8.10(ahi sconoscenza!), dallo stesso Giove
8.11lasciata in abbandono, ella dolente
8.12verso i boschi di Trivia incamminossi,
8.13e ad or ad or volgea lo sguardo indietro,
8.14e sospirava. Sul piè stanco alfine
8.15mal si reggendo, e dalla lunga via,
8.16e più dal duolo abbattuta e cadente,
8.17sotto un'elce s'assise: ivi facendo
8.18al volto letto d'ambedue le palme,
8.19tutta con esse si coprì la fronte,
8.20e nascose le lagrime, che mute
8.21le bagnavan le gote, e le sapea
8.22solo il terren, che le bevea pietoso.
8.23In quel misero stato la ravvolse
8.24dell'ombre sue la notte, e in sul mattino
8.25il Sol la ritrovò sparsa le chiome,
8.26e di gelo grondante e di pruina;
8.27perocché per dolor posta in non cale
8.28la sua celeste dignitade avea,
8.29onde al corpo divin l'aure notturne
8.30ingiuriose e irriverenti fûro,
8.31siccome a membra di mortal natura.
8.32Lica intanto, di povero terreno
8.33più povero cultor, dal letticciuolo
8.34era surto con l'alba, e del suo campo
8.35visitando venìa le orrende piaghe,
8.36che fatte avean la pioggia, il ghiaccio, il vento
8.37agli arboscelli, ai solchi ed alle viti.
8.38Lungo il calle passando, ove la Diva
8.39in quell'atto sedea, da meraviglia
8.40tocco, e più da pietà, ché fra le selve
8.41meglio che in mezzo alle cittadi alberga,
8.42s'appressò palpitando, e la giacente
8.43non conoscendo (ché a mortal pupilla
8.44difficil cosa è il ravvisar gli dèi),
8.45ma in lei della contrada argomentando
8.46una ninfa smarrita: - O tu, chi sei,
8.47chi sei, - le disse - che sì care e belle
8.48hai le sembianze e dolor tanto in volto?
8.49Per chi son queste lagrime? t'ha forse
8.50priva il ciel della madre o del fratello
8.51o dell'amato sposo? ché son questi
8.52certo i primi de' mali, onde sovente
8.53Giove n'affligge. Ma del tuo cordoglio
8.54qual si sia la cagion, prendi conforto,
8.55e pazienza opponi alle sventure
8.56che ne mandano i numi: essi nemici
8.57nostri non son; ma col rigor talvolta
8.58correggono i più cari. Alzati, o donna;
8.59vieni, e t'adagia nella mia capanna,
8.60che non è lungi; e le forze languenti
8.61ivi di qualche cibo e di riposo
8.62ristorerai. La mia consorte poscia
8.63di tutto l'uopo ti sarà cortese;
8.64ch'ella è prudente, e degli afflitti amica,
8.65e qual figlia ambedue cara t'avremo. -
9.1Alle parole del villan pietoso
9.2s'intenerì la Diva, e in cor sentissi
9.3la doglia mitigar, tanta fra' boschi
9.4gentilezza trovando e cortesia.
9.5Levossi in piedi, ed ei le resse il fianco,
9.6e la sostenne con la man callosa.
9.7Nell'appressarsi, nel toccar ch'ei fece
9.8il divin vestimento, un brividìo,
9.9un palpito lo prese, un cotal misto
9.10di rispetto, d'affetto e di paura,
9.11che parve uscir dei sensi, e su le labbra
9.12la voce gli morì. Quindi il sentiero
9.13prese invêr la capanna, e il fido cane
9.14nel mezzo del cortil gli corse incontro:
9.15volea latrar; ma sollevando il muso,
9.16e attonite rizzando ambe le orecchie,
9.17guardolla, e muto su l'impressa arena
9.18ne fiutò le vestigia. In questo mentre
9.19alla cara sua moglie Teletusa
9.20il buon Lica dicea: - Presto sul desco
9.21spiega un candido lino, e passe ulive
9.22recavi e pomi e grappoli, che salvi
9.23dal morso abbiam dell'aspro verno, e un nappo
9.24di soave lambrusca, e s'altro in serbo
9.25tieni di meglio; ché mostrarci è d'uopo
9.26come più puossi liberali a questa
9.27peregrina infelice. - Allor spedita
9.28Teletusa si mosse, e in un momento
9.29di cibo rustical coperse il desco,
9.30ed invitò la Dea, la quale assisa
9.31sul limitar si stava, e immota e grave
9.32l'infinito suo duol premea nel petto;
9.33né già tenne l'invito, ché mortale
9.34corruttibil vivanda non confassi
9.35a palato immortal; ma ben di trito
9.36odoroso puleggio e di farina
9.37d'acqua commisti una bevanda chiese,
9.38grata al labbro de' numi, e l'ebbe in conto
9.39di sacra libagion. Forte di questo
9.40meravigliossi Teletusa, e fiso
9.41di Feronia il sembiante esaminando
9.42(poiché al sesso minor diero gli dèi
9.43curiose pupille, e accorgimento
9.44quasi divin), sospetto alto la prese,
9.45che si tenesse in quelle forme occulta
9.46cosa più che terrena. Onde in disparte
9.47tratto il marito, il suo timor gli espose,
9.48e creduta ne fu; ché facilmente
9.49cuor semplice ed onesto è persuaso.
9.50Allor Lica narrò quel che poc'anzi
9.51assalito l'avea strano tumulto,
9.52quando a sorgere in piè le porse aita,
9.53e con la mano le soffolse il fianco.
9.54Poi, seguendo, di Bauci e Filemone
9.55rammentâr l'avventura, e quel che udito
9.56da' vecchi padri avean, siccome ascoso
9.57fra lor nelle capanne e nelle selve
9.58stette a lungo Saturno, e nol conobbe
9.59altri che Giano. In cotal dubbio errando,
9.60si ritrassero entrambi, e lasciâr sola
9.61la taciturna Diva. Ella dal seggio
9.62si tolse allora, e due e tre volte scorse
9.63pensierosa la stanza, e poi di nuovo
9.64sospirando s'assise, e in questi accenti
9.65al suo fiero dolor le porte aperse:
9.66- Donde prima degg'io, Giove crudele,
9.67il mio lamento incominciar? Già tempo
9.68fu che, superba del tuo amor, chiamarmi
9.69potei felice ed onorata e diva.
9.70Or eccomi deserta; e non mi resta
9.71che questo sol di non poter morire
9.72privilegio infelice. E fino a quando
9.73alla fierezza della tua consorte
9.74esporrai questa fronte? Il premio è questo
9.75de' concessi imenei? Questi gli onori
9.76e le tante in Ausonia are promesse,
9.77onde speme mi desti che la prima
9.78mi sarei stata delle dee latine?
9.79Tu m'ingannasti: l'ultima son io
9.80degl'immortali, ahi lassa! e non mi fêro
9.81illustre e chiara, che le mie sventure.
9.82Rendimi, ingrato, rendimi alla morte,
9.83alla qual mi togliesti. Entro quell'onde
9.84concedimi perir, che la tua Giuno
9.85sul mio regno sospinse, o ch'io ritrovi
9.86agli arsi boschi in mezzo e alle ruine
9.87de' miei templi abbattuti il mio sepolcro. -
10.1Così la Diva lamentossi, e tacque.
10.2Era la notte, e d'ogni parte i venti
10.3e l'onde e gli animanti avean riposo,
10.4fuorché l'insetto che ne' rozzi alberghi
10.5a canto al focolar molce con lungo
10.6sonnifero stridor l'ombra notturna;
10.7e Filomena nella siepe ascosa
10.8va iterando le sue dolci querele.
10.9In quel silenzio universale anch'essa
10.10adagiossi la Dea vinta dal sonno,
10.11che dopo il lagrimar sempre sugli occhi
10.12dolcissimo discende, e la sua verga
10.13le pupille celesti anco sommette.
10.14Quando il gran padre degli dèi, che udito
10.15dell'amica dolente il pianto avea,
10.16a lei tacito venne; e poi che stette
10.17del letto alquanto su la sponda assiso,
10.18di quel volto sì caro addormentato
10.19la beltà contemplando, alfin la mano
10.20leggermente le scosse, e nell'orecchio
10.21bisbigliando soave: - O mia diletta,
10.22svegliati, - disse - svegliati; son io
10.23che ti chiamo; son Giove. - A questa voce
10.24il sonno l'abbandona, apre le luci,
10.25e stupefatta si ritrova in braccio
10.26del gran figliuolo di Saturno. Ed egli
10.27riconfortala in pria con un sorriso
10.28che di dolcezza avrìa spetrati i monti,
10.29ed acchetato il mar quando è in fortuna;
10.30poscia in tal modo a ragionar le prese:
10.31- Calma il duolo, Feronia; immoti e saldi
10.32stanno i tuoi fati e le promesse mie;
10.33né ingannator son io, né si cancella
10.34mai sillaba di Giove. Ma profonde
10.35sono le vie del mio pensiero, e aperta
10.36a me solo de' fati è la cortina.
10.37Non lagrimar sul tuo perduto impero:
10.38tempo verrà, che largamente reso
10.39tel vedrai, non temerne, e i muti altari
10.40e le cittadi e i campi e le pianure
10.41dai ruderi e dall'onde e dalla polve
10.42sorger più belle e numerose e colte.
10.43D'Italia in questo i più lodati eroi
10.44porran l'opra e l'ingegno. Io non ti nomo
10.45che i più famosi; e in prima Appio, che in mezzo
10.46spingerà delle torbide Pontine
10.47delle vie la regina. Indi Cetego:
10.48indi il possente fortunato Augusto
10.49esecutor della paterna idea,
10.50al cui tempo felice un Venosino
10.51cantor sublime ne' tuoi fonti il volto
10.52laverassi e le mani; e tu di questo
10.53orgogliosa n'andrai più che l'Anfriso,
10.54già lavacro d'Apollo. Ecco venirne
10.55poscia il lume de' regi, il pio Traiano
10.56che, domata con l'armi Asia ed Europa,
10.57col senno domerà la tua palude;
10.58e le partiche spade e le tedesche
10.59in vomeri cangiate impiagheranno,
10.60meglio d'assai che de' Romani il petto,
10.61le glebe pometine. E qui trecento
10.62giri ti volve d'abbondanza il sole,
10.63e di placido regno, infin che il Goto
10.64furor d'Italia guasterà la faccia.
10.65Da boreal tempesta la ruina
10.66scenderà de' tuoi campi; ma del pari
10.67un'alma boreal, calda e ripiena
10.68del valor d'Occidente, al tuo bel regno
10.69porterà la salute, e poi di nuovo
10.70(ché tal de' fati è il corso) alto squallore
10.71lo coprirà; né zelo, arte o possanza
10.72di sommi sacerdoti all'onor primo
10.73interamente il renderan; ché l'opra
10.74immortal, gloriosa ed infinita
10.75ad un più grande eroe serba il destino.
10.76Lo diran Pio le genti e di quel nome
10.77sesto sarà..............
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