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1.1Già tutto di Feronia era il bel regno
1.2in orrenda converso atra palude,
1.3che pelago parea; se non che rara
1.4dell'ardue torri e dell'aeree querce,
1.5non vinte ancor, l'interrompea la cima.
1.6E già su le placate onde leggieri
1.7spiravano i Favonii, e in curvi solchi
1.8arandole frangean sovra le molli
1.9crespe dell'acque la saltante luce:
1.10quando di Circe la scoscesa balza
1.11l'aspra Giuno salì. L'occhio rivolse
1.12alla vasta laguna, e, tutta intorno
1.13la misurando con superbo sguardo,
1.14sorrise acerba su la sua vendetta.
1.15Ma vista su la rupe in lontananza
1.16dall'incremento delle spume ultrici
1.17pur anco intatta alzar la fronte alcuna
1.18delle volsche città, che ree del culto
1.19dell'abborrita sua rival si fêro,
1.20ed illeso agitar l'argute frondi
1.21non lungi il bosco di Feronia, il bosco
1.22che prestò l'ombra ai mal concessi amori,
1.23risorger si sentì l'ire nel petto
1.24già moribonde; e poi che v'ebbe alquanto
1.25fisso il torbido sguardo, in cor sì disse:
1.26"Io desister dall'opra, e del mio scorno
1.27patir che resti un monumento ancora?
1.28Già non fui sì pietosa inverso Egina
1.29e la stirpe di Cadmo abbominata;
1.30ché per quella mandai carca di fiera
1.31peste la morte su l'enopia terra;
1.32e sostenni per questa entro le case
1.33scendere io stessa dell'eterno pianto,
1.34e di là contra d'Atamante e d'Ino
1.35Tisifone invocar. Quei due superbi
1.36co' sonori serpenti ella percosse,
1.37e allor nel figlio dispietate e crude
1.38fur le mani paterne, e de' suoi vanti
1.39Ino furente mi scontò l'offesa.
1.40E pur avola a Bacco era colei,
1.41e a Venere nipote; e non m'avea,
1.42come questa malnata itala druda,
1.43tolti i miei dritti, e del maggior de' numi
1.44aspirato alle nozze. Oh mia vergogna!
1.45Poté Gradivo la feroce schiatta
1.46sterminar de' Lapìti: aver da Giove
1.47poté Diana al suo disdegno in preda
1.48i Calidonii: e meritò poi tanto
1.49de' Calidon la colpa e de' Lapìti?
1.50Ed io, progenie di Saturno, ed alta
1.51de' Celesti reina, a mezzo corso
1.52ratterrò gli odi e l'ire, e dovrò tutte
1.53non consumarle? Oh mel contrasta il fato;
1.54e una fama pur or s'è sparsa in cielo,
1.55che al volgere de' lustri il senno e l'opra
1.56d'italici potenti al mio furore
1.57e all'impero dell'onde questi campi
1.58ritoglierà. Ritolgali: men giusta
1.59o men dolce uscirà forse per questo
1.60la mia vendetta? Se cangiar non lice
1.61delle Parche il decreto, e chi ne vieta
1.62l'indugiarlo, e tentar nuove ruine?
1.63Del tuo delitto dolorose e care
1.64le pene pagherai, ninfa superba:
1.65anche il Lazio s'avrà la sua Latona.
1.66Non selva lascerò, non antro alcuno
1.67che ti riceva; scuoterò le rupi;
1.68crollerò le città dal tuo vil nume
1.69contaminate, e ne farò di tutte
1.70cenere e polve, che disperda il vento."
1.71Nel turbato pensier seco volgendo
1.72queste cose la dea, giunse d'un volo
1.73nell'eolie spelonche, orrendo albergo
1.74degli adusti Ciclopi e di Vulcano.
2.1Stava questo dell'arti arbitro sommo
2.2intento a fabbricar per la pudica
2.3nemorense Diana un d'oro e bronzo
2.4gran piedestallo, su cui l'alma effigie
2.5collocar della diva. E su le quattro
2.6fronti v'avea l'artefice divino
2.7d'ammirando lavoro impresse e sculte
2.8di quell'almo paese avventurato
2.9le trascorse memorie e le future.
3.1Era a vedersi da una parte il lago
3.2tutto d'argento. Tremolar diresti
3.3l'onde e rotte spumar dai bianchi petti
3.4delle caste Amnisìdi, a cui venute
3.5già son men care le gargafie fonti,
3.6e d'Eurota le sponde. In su la riva
3.7della sacra laguna abbandonati
3.8giaccion gli archi e le frecce, onde famosi
3.9suonâr di caccia fragorosa un giorno
3.10del Taigeto e d'Erimanto i boschi,
3.11ed or la nemorense ne rimbomba
3.12e la selva aricina. Indi non lunge
3.13stassi il carro lunato, e per la rupe
3.14sciolte dal giogo le parrasie cerve
3.15erran pascendo il tenero trifoglio,
3.16gradita erbetta, che gradir suol anco
3.17ai destrieri di Giove, ed alle caste
3.18di Minerva cavalle polverose.
4.1Alto a rimpetto, fra pudichi allori,
4.2di Trivia il tempio signoreggia, ed essa
4.3la placabile diva in su la soglia
4.4del grande Atride ad incontrar vien oltre
4.5i pellegrini figli, Ifigenìa
4.6sacerdotessa ed il fratello Oreste,
4.7pietoso Oreste e scellerato insieme,
4.8che per molti del mare e della terra
4.9duri perigli salvo le recavano
4.10il fatal simulacro insanguinato
4.11dalle tauriche sponde alle tirrene.
5.1In altro lato avea l'ignipotente
5.2sculti i novelli sagrifici e l'are
5.3di Diana cruente, e i lagrimosi
5.4riti latini, e un contro l'altro armati
5.5di barbaro coltello i sacerdoti.
6.1Mirasi altrove il miserando caso
6.2del figliuol di Teséo. Gonfiata ed aspra
6.3spandeasi d'oro con argentee spume
6.4la corinzia marina, a cui dal mezzo
6.5uscìa sbuffando una cerulea foca.
6.6E per orride balze ecco fuggire
6.7gli atterriti cavalli, ecco sul lido
6.8rovesciato dal carro e lacerato
6.9l'innocente garzon. D'intorno al casto
6.10esangue corpo si batteano il petto
6.11di Trezene le vergini; e chiamando
6.12crudel Ciprigna, e più crudel Nettuno,
6.13più ch'altre in pianto si struggea Diana.
7.1Al pregar dell'afflitta indi seguìa
7.2d'Esculapio il prodigio e l'ardimento,
7.3ché, violato delle Parche il dritto,
7.4col poter della muta arte paterna
7.5torna il pudico giovinetto in vita;
7.6cui redivivo, e in densa nube avvolto,
7.7con mutati sembianti all'aricine
7.8selve poi reca la deliaca diva,
7.9e, palpitando, alla segreta cura
7.10il commette d'Egeria, inclita ninfa
7.11delle leggi romane inspiratrice.
8.1S'aprìa di nero cianéo scolpita
8.2nel fianco della rupe una spelonca
8.3sacra di Pindo alle fanciulle, e cara
8.4più che l'antro cirrèo. Le sêrpe intorno
8.5con tortuoso piede una vivace
8.6edera d'oro, ed un ruscello in mezzo
8.7di purissimo elettro. Ivi furtivo
8.8d'Egeria ai santi fortunati amplessi
8.9(ché di tanto fu degno) il successore
8.10di Romolo traeva. Ivi le scese
8.11leggi dal cielo ricevea sul labbro
8.12della diva consorte, e ai mansueti
8.13genii di pace traducea le genti
8.14col favor delle Muse, e di quel grande
8.15spirto divin che del troiano Euforbo
8.16pria la spoglia animò, poscia, migrando
8.17di corpo in corpo, la famosa salma
8.18del samio saggio ad informar pervenne,
8.19e di Crotone empiéo le mute scuole
8.20del saper dell'Assiria e dell'Egitto.
8.21V'era una balza dall'opposta fronte,
8.22che al bel lago sovrasta, orrendo nido
8.23di crude belve un tempo e di colubri,
8.24ed or vasta, ridente, aprica scena
8.25di lieti ulivi. Tra le verdi file
8.26de' cecropii arboscelli alteramente
8.27Minerva procedea, che del novello
8.28conquistato terren prendea diletto,
8.29e con l'alta virtù, che dagli sguardi
8.30e dall'alma presenza esce de' numi,
8.31liete facea le piante, e delle pingui
8.32bocche oleose nereggianti i rami.
8.33L'accompagnava maestoso e bello
8.34alla manca un signor d'alta fortuna,
8.35che con raro consiglio ed ardimento
8.36dell'antico orror suo già spoglia avea
8.37l'indocile montagna, e le ritrose
8.38alpestri glebe all'ostinata cura
8.39del pio cultore ad obbedir costrette:
8.40mentre all'ombra d'un'elce, e all'ozio in seno,
8.41che il suo signor gli ha fatto, anzi il suo dio,
8.42un poeta non vil l'aspre vicende
8.43di Feronia cantava, e per sentiero
8.44non calcato traea l'itale muse.
9.1All'ultimo con raro magistero
9.2l'indomito Vulcan v'avea scolpita
9.3una dolente giovinetta madre
9.4che, con ambe le mani al crin facendo
9.5dispetto ed onta, su la fredda spoglia
9.6di tre figli piangea tolti alla poppa.
9.7Taciturna e dimessa il padre Tebro
9.8volgea qui l'onda: su la mesta riva
9.9ploravano le ninfe, e al Vaticano
9.10una nube di duol coprìa la fronte.
9.11Lagrime tante alfin, tanti sospiri
9.12faceano forza al ciel, finché la santa
9.13madre d'Amore a consolar la donna
9.14dal terzo cerchio le piovea nel grembo
9.15de' fecondi suoi raggi il quarto frutto.
9.16Siccome vaga tremula farfalla
9.17scendea quell'alma, e nel materno seno
9.18l'avventurosa si venìa vestendo
9.19di sì lucido vel, ch'altro non fece
9.20mai più bell'ombra a più leggiadro spirto.
9.21Al felice natal presenti avea
9.22sculte il fabbro le Grazie, inclite dive,
9.23senza il cui nume nulla cosa è bella.
9.24V'era Lucina, a cui fur date in cura
9.25della vita le porte; eravi Giuno
9.26dei talami custode; e di Latona
9.27l'alma figlia pur v'era, a cui dolenti
9.28s'odon nel parto sospirar le spose;
9.29e in disparte frattanto un aureo stame
9.30al fatal fuso ravvolgean le Parche.
9.31Delle rugose antiche dee son tutte
9.32di pallid'oro le tremende facce,
9.33e d'argento le chiome e i vestimenti.
9.34Del narciso d'Averno incoronate
9.35van le rigide fronti, e un cotal misto
9.36mandan di riverenza e di paura,
9.37che l'occhio ne stupisce, e il cor ne trema.
10.1Dell'industre Vulcan l'opra tal era,
10.2mirabile, immortale. Affumicato
10.3e in gran faccenda l'indefesso iddio,
10.4di qua di là scorrea per la fucina,
10.5visitando i lavori, e rampognando
10.6i neghittosi: con le larghe pale
10.7altri il carbon nelle fornaci infonde
10.8scintillanti e ruggenti: altri, con rozze
10.9cantilene molcendo la fatica,
10.10dà il fiato e il toglie ai mantici ventosi,
10.11che trenta ve n'avea di ventre enormi:
10.12qual su l'incude le roventi masse
10.13del metallo castiga; e qual le tuffa
10.14nella fredda onda, che gorgoglia e stride.
10.15Rimbomba la caverna, e dalle fronti
10.16di quei fieri garzoni in larga riga
10.17va il sudor per le gote e le mascelle
10.18sui gran petti pelosi. In questo mezzo
10.19s'appresentò la veneranda Giuno
10.20nella negra spelonca, e parve il fulgido
10.21volto del Sole che fra dense nubi
10.22improvviso si mostra. E Bronte, il primo
10.23che la vide venir, diè segno agli altri
10.24di sostarsi e cessar per lo rispetto
10.25della moglie di Giove. Udì Vulcano
10.26della madre l'arrivo, e frettoloso,
10.27fra tanaglie e martelli e sgominate
10.28di metalli cataste zoppicando,
10.29le corse incontro: e presala per mano,
10.30di fuliggine tutta le ne tinse
10.31la bianca neve. Prestamente quindi
10.32le trasse innanzi un elegante seggio,
10.33che d'oro avea le sponde, e lo sgabello
10.34di liscio cassitéro, ove la diva
10.35posò l'eburnee piante; e, così stando,
10.36di sua venuta le cagioni espose.
10.37E primamente lamentossi a lungo
10.38dell'adultero Giove, alle cui voglie
10.39poco essendo la Grecia, ancor ripiena
10.40de' suoi muggiti e de' suoi nembi d'oro,
10.41e per tante or di cigno, or di serpente,
10.42e di zampe caprigne, ed altre vili
10.43frodi d'amor contaminata e guasta,
10.44or ne venìa d'Italia anco le belle
10.45spiagge a bruttar de' suoi lascivi ardori,
10.46della moglie dimentico e del cielo.
10.47E qui fe' conta del fanciullo imberbe
10.48la mentita sembianza, e i conceduti
10.49di Feronia complessi, e come assunta
10.50al concilio de' numi era la druda;
10.51e seguì, che per questo ella d'Olimpo
10.52lasciato avea le mense, e le cortine
10.53de' talami celesti, e che desìo
10.54sol di vendetta la traea de' Volsci
10.55vagabonda sul lido, ove già rotti
10.56i primi sdegni avea, con alta mole
10.57d'acque coprendo le pomezie valli
10.58e le cittadi alla rival devote;
10.59ma non tutte però; ché salva alcuna
10.60n'avean dall'onde le montagne intorno.
10.61Quindi ben paga non andar, se tutto
10.62non abbatte, non guasta, non diserta
10.63l'abborrito paese. - Or prendi, o figlio,
10.64dell'eterno tuo foco una favilla;
10.65sveglia i tremuoti, che oziosi e pigri
10.66dormon nel fianco di quei monti: orrendo
10.67apri un lago di fiamme, ardi le rupi,
10.68struggi i campi e le selve; e più non chieggo. -
11.1Intento della madre alle parole
11.2stava Vulcano, ad una lunga mazza
11.3il cubito appoggiato; e poi che Giuno
11.4al ragionar diè fine, in questi accenti
11.5su le piante mal fermo, egli rispose:
11.6- Ben io t'escuso, o madre, se di tanta
11.7ira t'accendi; ché d'amor tradito
11.8somma è la rabbia: ed io mel so per prova,
11.9io misero e deforme, e ancor più stolto,
11.10che bramai d'una diva esser marito,
11.11bella, è ver, ma impudica e senza fede.
11.12Pur ti conforta; ché per te son io
11.13a tutto far disposto. Io sotto i muri
11.14lagrimosi di Troia a tua preghiera
11.15già col Xanto pugnai, quando spumoso
11.16co' vortici ei respinse il divo Achille,
11.17che di sangue troian gonfio lo fea;
11.18e i salci gli avvampai, gli olmi, i ciperi
11.19e l'alghe e le mirici in larga copia
11.20cresciute intorno alla sua verde ripa.
11.21Or pensa se vorrò non adempire,
11.22di Giove in onta, il tuo desir, di Giove
11.23mio nemico del par che tuo tiranno.
11.24Ti rammenta quel dì che fra voi surta
11.25su l'Olimpo contesa, avventurarmi
11.26in tuo soccorso io volli. Egli d'un piede
11.27m'afferrò furibondo, e fuor del cielo
11.28arrandellommi per l'immenso vôto.
11.29Intero un giorno rovinai col capo
11.30in giù travolto, e con rapide rote
11.31vertiginose. Semivivo alfine
11.32in Lenno caddi col cader del sole;
11.33e chi sa quante in quell'alpestre balza
11.34lunghe e dure m'avrei doglie sofferte,
11.35se Eurinome, la bella Oceanina,
11.36e l'alma Teti doloroso e rotto
11.37non m'accogliean pietose in cavo speco,
11.38a cui spumante intorno ed infinita
11.39d'Oceàn la corrente mormorava.
11.40Ivi per tema del crudel mi vissi
11.41quasi due lustri sconosciuto e oscuro
11.42fabbro d'armille e di fermagli e d'altre
11.43opre al mio senno inferiori e vili.
11.44Or i tuoi torti, o madre, io lo prometto,
11.45e in uno i miei vendicherò: poi venga,
11.46se il vuol, qua dentro a spaventarmi questo
11.47seduttor di fanciulle onnipossente,
11.48ingiusto padre ed infedel marito:
11.49vedrem che vaglia del suo carro il tuono
11.50senza il fulmine mio, senza l'aita
11.51del mio martello. - In così dir l'irato
11.52dio sulla mazza con la man battea;
11.53poi gittolla in disparte, e corse ad una
11.54delle fornaci. All'infocate brage
11.55appressò le tanaglie: una ne trasse
11.56d'inestinguibil tempra, e in cavo rame
11.57l'imprigionò. Di cotal peste carchi,
11.58della spelonca uscîr Vulcano e Giuno,
11.59quai fameliche belve che di notte
11.60lascian la tana, e taciturne e crude
11.61van nell'ovile a insanguinar l'artiglio.
12.1Della squallida grotta in su l'uscita
12.2di rugiadose stille allor raccolte
12.3dalle rose di Pesto Iri cosperse
12.4la sua reina, e con ambrosia il divo
12.5corpo lavando, ne deterse il fumo
12.6ed ogni tristo odor. Dagl'immortali
12.7capelli della dea quante sul suolo
12.8caddero gocce del licor celeste,
12.9tante nacquer viole ed asfodilli.
12.10Mosse, ciò fatto, la tremenda coppia
12.11circondata di nembi; e come lampo
12.12che solca il sen della materna nube
12.13con sì rapido vol, che la pupilla
12.14per quella riga a seguitarlo è tarda,
12.15tal di Giuno e Vulcano è la prestezza:
12.16su la vetta calâr precipitosi
12.17delle rupi setine, onde la faccia
12.18scoprìasi tutta del sommerso piano.
12.19- Guarda, - disse Giunon - riguarda, o figlio,
12.20di mia vendetta le primizie. - E in questo
12.21gli mostrava l'orribile palude
12.22da freschi venti combattuta e crespa,
12.23mentre i raggi del Sol vôlti all'occaso
12.24scorrean vermigli su l'incerto flutto;
12.25del Sole, che parea dall'empia vista
12.26fuggir pietoso, e dietro ai colli Albani
12.27pallida e mesta raccogliea la luce.
13.1Già morìa su le cose ogni colore,
13.2e terra e ciel tacea, fuor che del mare
13.3l'incessante muggito; allor che pronto
13.4il fatal vase scoperchiò Vulcano,
13.5e all'aura scintillar la rubiconda
13.6bragia ne fece. Ne sentiro il puzzo
13.7i sotterranei zolfi e le piriti
13.8e gli asfalti oleosi, e dal segreto
13.9amor sospinti, che tra loro i corpi
13.10lega e l'un l'altro a desiar costrigne,
13.11ne concepîr meraviglioso affetto,
13.12e di salso umidor pasciuti e pingui
13.13si fermentaro, ed esalâr di sopra
13.14improvvisa mefite. E pria le nari
13.15ne fur de' bruti e de' volanti offese,
13.16che tosto piene le contrade e i campi
13.17fêr di lunghi stridori e di lamenti.
13.18N'ulularono i boschi e le caverne,
13.19e tutti intorno paurosi i fonti
13.20n'ebber senso d'orror. Corrotte allora
13.21la prima volta la caronie linfe
13.22mandâr l'alito rio, che tetro ancora
13.23spira, e infamato avvicinar non lascia
13.24né greggia né pastor. L'almo ruscello
13.25di Feronia turbossi, e amare e sozze
13.26dalla pietra natìa spinse le polle
13.27sì dolci in prima e cristalline. E Alcone,
13.28pastor canuto, che v'avea sul margo
13.29il suo rustico tetto, a sé chiamando
13.30su l'uscio i figli, e il mar, le selve, il cielo
13.31esaminando, e palpitando: - Oh! - disse
13.32- noi miseri, che fia? Mirate in quale
13.33fier silenzio sepolta è la natura!
13.34Non stormisce virgulto, aura non muove,
13.35che un crin sollevi della fronte: il rivo,
13.36il sacro rivo di Feronia anch'esso
13.37ve' come sgorga lutulento, e fugge
13.38con insolito pianto, e là Melampo,
13.39che in mezzo del cortil mette pietosi
13.40ululati, e da noi par che rifugga,
13.41e a sé ne chiami. Ah chi sa quai sventure
13.42l'amor suo n'ammonisce e la sua fede!
13.43Poniamo, o figli, le ginocchia a terra;
13.44supplichiamo agli dèi, che certo in ira
13.45son co' mortali. - Avea ciò detto appena,
13.46che tingersi mirò l'aria in sanguigno,
13.47e cupo un rombo propagossi. Il rombo
13.48venìa dall'opra di Vulcan, che ratto
13.49la montagna esplorando, ove più vivo
13.50con lo spesso odorar sentìa l'effluvio
13.51de' commossi bitumi, entro un immane
13.52fendimento di rupi era disceso,
13.53buio baratro immenso, a cui di zolfi
13.54ferve in mezzo e d'asfalti un bulicame
13.55che in cento rivi si dirama, e tutte
13.56per segreti cunicoli e sentieri
13.57pasce le membra degl'imposti monti.
13.58In questa di tremuoti atra officina
13.59lasciò cader Mulcibero l'ardente
13.60irritato carbone. In un baleno
13.61fiammeggiò la vorago, e scoppi e tuoni
13.62e turbini di fumo e di faville
13.63avvolser tutto l'incombusto dio.
13.64Più veloce dell'ali del pensiero
13.65per le sulfuree vie corse la fiamma
13.66licenziosa, ed abbracciò le immense
13.67ossa de' monti, e delle valli i fianchi,
13.68e d'Anfitrite i gorghi. Allor dal fondo
13.69senza vento sospinti in gran tempesta
13.70saltano i flutti: ondeggiano le rupi,
13.71e scuotono dal dosso le castella
13.72e le svelte cittadi. Addolorata
13.73geme la terra, che snodar si sente
13.74le viscere, e distrar le sue gran braccia.
13.75E tu, padre di mille incliti fiumi,
13.76e di due mari nutritor, crollasti,
13.77o nimboso Appennin, l'alte tue cime;
13.78e spezzata temesti la catena
13.79che i tuoi gioghi all'estreme Alpi congiugne;
13.80siccome il dì, che col tridente eterno
13.81percotendo i tuoi fianchi il re Nettuno,
13.82a tutta forza dall'esperio lido
13.83il siculo divise, e in mezzo all'onde
13.84Procida spinse ed Ischia e Pitecusa.
13.85Pluto istesso balzò, forte atterrito,
13.86dal suo lurido trono, e visti intorno
13.87crollar di Dite i muri e le colonne
13.88(ché dritto a piombo su l'inferna volta
13.89il tremoto ruggìa), levò lo sguardo,
13.90e violato dalla luce il regno
13.91de' morti paventò. Stupore aggiunse
13.92l'improvviso nitrito e calpestìo
13.93de' suoi neri cavalli, che, le regie
13.94stalle intronando, inferocìan da strano
13.95terror percossi, e le morate giubbe
13.96e le briglie scuotean, foco sbuffando
13.97dalle larghe narici; infin che desta
13.98a quel romor Proserpina, la bella
13.99d'Averno imperatrice (che sovente
13.100prendea diletto con le rosee dita
13.101porger loro di Stige il saporoso
13.102melagrano divino), ad acchetarli
13.103corse, e per nome li chiamò, palpando
13.104soavemente di que' feri il petto
13.105con le palme amorose. Uscito intanto
13.106era Vulcan dalla tremenda buca
13.107lieto dell'opra, e con piacer crudele
13.108contemplava la polve e il denso fumo
13.109delle svelte città. Giace Mugilla,
13.110e la ricca di pampani e d'olivi
13.111petrosa Ecetra, e la turrita Artena,
13.112e l'illustre per salda intatta fede
13.113erculea Norba, a cui di cento greggi
13.114biancheggiavano i colli. E tu cadesti,
13.115Cora infelice, e nelle tue ruine
13.116le ceneri perîr sante del primo
13.117ausonio padre, né potêr giovarti
13.118di Dardano i Penati, né degli almi
13.119figli di Leda la propizia stella,
13.120che all'aprico tuo suol dolce ridea.
14.1Voi sole a terra non andaste, o sacre
14.2ansure mura; ché di Giove amica
14.3vi sostenne la destra, e la caduta
14.4non permise dell'ara, ove tremenda
14.5riposava la folgore divina.
14.6Sentì di voi pietade il dio, di voi,
14.7e non sentilla delle bianche chiome
14.8d'Alcon, d'Alcone il più giusto, il più pio
14.9dell'ausonia contrada. Umilemente
14.10al suol messo il ginocchio, il venerando
14.11veglio tenea levate al ciel le palme;
14.12e a canto in quel medesmo atto composti
14.13gli eran due figli in vista sì pietosa,
14.14che fatto avrìa clementi anco le rupi.
14.15Quando venne un tremor che violento
14.16crollò la casa pastorale, e tutta
14.17in un subito, ahi! tutta ebbe sepolta
14.18l'innocente famiglia. Unico volle
14.19la ria Parca lasciar Melampo in vita,
14.20raro di fede e d'amistade esempio.
14.21Ei rimasto a plorar su la rovina,
14.22fra le macerie ricercando a lungo
14.23andò col fiuto il suo signor sepolto,
14.24immemore del cibo, e le notturne
14.25ombre rompendo d'ululati e pianti;
14.26finché quarto egli cadde, e non gl'increbbe,
14.27più dal dolor che dal digiuno ucciso.
14.28Fortunato Melampo! se qualcuna
14.29leggerà questi carmi alma cortese,
14.30spero io ben che n'andrà mesta e dolente
14.31sul tuo fin miserando. Il tuo bel nome
14.32ne' posteri sarà quello de' veltri
14.33più generosi; e noi malvagia stirpe
14.34dell'audace Giapeto, a cui peggiori
14.35i figli seguiran, noi dalle belve
14.36la verace amicizia apprenderemo.
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