about
people
how to cite
dataset
versions
json schema
resources
browse
search
authors
books
1.1I lunghi affanni ed il perduto regno
1.2di Feronia dirò, diva latina,
1.3che del suo nome fe' beata un giorno
1.4di Saturno la terra. Ella per fiere
1.5balze e foreste errò gran tempo esclusa
1.6da' suoi santi delubri, e molto pianse,
1.7dai superbi disdegni esercitata
1.8d'una diva maggior, che l'inseguìa,
1.9finché novelli sacrifici ottenne
1.10sugli altari sabini, e le fur resi
1.11per voler delle Parche i tolti onori.
2.1Ma qual de' numi l'infelice afflisse,
2.2e lei, ch'era pur diva, in tanto lutto
2.3avvolgere potéo? Fu la crudele
2.4moglie di Giove, e un suo furor geloso.
2.5Tu che tutte ne sai l'alte cagioni,
2.6tu le mi narra, o Musa, e dall'obblìo
2.7traggi alla luce il memorando fatto
2.8non ancor manifesto in Elicona.
2.9E se dianzi di nuove itale note
2.10l'ira vestendo del Pelìde Achille,
2.11alcuna meritai grazia, o mercede,
2.12su questi carmi, che tentando or vegno,
2.13di quel nettare, o Dea, spargi una stilla,
2.14che dal meonio fonte si deriva,
2.15non già quando con piena impetuosa
2.16gl'iliaci campi inonda, a tal che gonfi
2.17dell'alta strage Simoenta e Xanto
2.18al mar non ponno ritrovar la via,
2.19ma quando, lene mormorando, irriga
2.20i feacii giardini: e dolce rendi
2.21su le mie labbra la pimpléa favella.
3.1Là dove imposto a biancheggianti sassi
3.2su la circéa marina Ansuro pende,
3.3e nebulosa il piede aspro gli bagna
3.4la pomezia palude, a cui fan lunga
3.5le montagne Lepine ombra e corona,
3.6una ninfa già fu delle propinque
3.7selve leggiadra abitatrice, ed era
3.8il suo nome Feronia. I laurentini
3.9boschi, e quei che la fulva onda nudrisce
3.10del sacro fiume tiberin, quantunque
3.11di Canente superbi e di Pomona,
3.12non videro giammai forme più care.
3.13Qual verno fiore che segreto nasce
3.14in rinchiuso giardin, né piede il tocca
3.15di pastor, né di greggia; amorosetta
3.16l'aura il molce, di sue tremule perle
3.17l'alba l'ingemma, e lo dipinge il sole
3.18di sì vivo color, che il crine e il seno
3.19d'ogni donzella innamorata il brama;
3.20tal di Feronia la beltà crescea.
3.21Era diletto suo di peregrine
3.22piante e di fiori in suolo estranio nati
3.23l'odorosa educar dolce famiglia,
3.24propagarne le stirpi, e cittadina
3.25dell'ausonio terren farne la prole.
3.26Sotto la mano della pia cultrice
3.27ricevean nuove leggi e nuova vita
3.28le selvatiche madri, e, il fero ingegno
3.29mansuefatto e il barbaro costume,
3.30del ciel cangiato si godean superbe.
3.31Ed essa la gentil ninfa sagace
3.32con lungo studio e paziente cura
3.33i tenerelli parti ne nudrìa,
3.34castigando i ritrosi, e a culto onesto
3.35traducendo i malnati. Essa il rigoglio
3.36ne correggeva ed il non casto istinto,
3.37essa gli odii segreti e i morbi e i sonni
3.38e gli amor ne curava e i maritaggi,
3.39securo a tutti procacciando il seggio,
3.40e salubri ruscelli ed aure amiche;
3.41né violarli ardìa co' morsi acuti
3.42d'Orizia il rapitor, che irato altrove
3.43volgea le furie, e con le forti penne
3.44l'antiche flagellava àppule selve,
3.45o di Lucrino i risonanti lidi.
4.1Ma chi potrìa di tutti a parte a parte
4.2il sesso riferir, la patria, il nome?
4.3V'era la rosa che mandâr primieri
4.4di Damasco i giardini e di Mileto;
4.5quella rosa che poi, nel fortunato
4.6grembo translata dell'ausonia terra,
4.7fu pestana nomata e prenestina.
4.8Sua sorella minor, ma di più grido,
4.9le fioriva da canto la modesta
4.10licnide figlia delle ambrosie linfe,
4.11di che le Grazie un dì le belle membra
4.12lavâr di Citerea, quando dai primi
4.13ruvidi amplessi di Vulcan si sciolse.
5.1Altro amor di Ciprigna in altra parte
5.2l'amaraco olezzava. In su la sponda
5.3l'avean del Xanto le sue rosee dita
5.4piantato; e il petto e le divine chiome
5.5adornarsi di questo ella solea,
5.6quando desire la pungea di farsi
5.7al suo fero amatore ancor più bella.
6.1Ecco prole gentil d'egizia madre
6.2vivaci aprirsi su l'allegro stelo
6.3il sonnifero loto e il molle acanto
6.4che alla soave colocasia gode
6.5intrecciar le sue fronde. Ecco il portento
6.6dell'arte, che talor vince natura,
6.7il superbo ranuncolo, un dì vile
6.8mal noto fiore, ed or per l'opra e il senno
6.9di Feronia, che molto amor gli pose,
6.10fatto sì bello, che il diresti rege
6.11degl'itali giardini. Aleppo e Cipro,
6.12Candia, Rodi e Damasco in umil pompa
6.13il mandaro alla Diva; ed ella, esperta
6.14de' botanici arcani, immantinenti
6.15di variate polveri ne sparse
6.16l'ima radice, che le bebbe, e a lui
6.17di ben cento color tinse le chiome.
6.18E tale or questo di bell'arte figlio
6.19di donzelle non solo e di fiorenti
6.20spose, a cui lode è la beltà nudrire,
6.21ma di matrone ancor cura e desìo,
6.22ne' romani teatri e ne' conviti
6.23alle antiche patrizie il petto adorna,
6.24ove Amor spegne la sua face, e ride.
7.1Ma più cara alle Grazie ed alla casta
7.2man di Feronia, con più pio riguardo
7.3educata tu cresci, o mammoletta,
7.4tu che negli orti cirenéi dal fiato
7.5generata d'Amore, e dallo stesso
7.6Amor sul colle pallantéo tradutta,
7.7di Zefiro la sposa innamorasti,
7.8e del suo seno e de' pensier suoi primi
7.9conseguisti l'onor. Pudica e cara
7.10nunzia d'april, deh! quando per le siepi
7.11dell'ameno Cernobbio in sul mattino
7.12Isabella ed Emilia, alme fanciulle,
7.13di te fan preda e festa, e tu beata
7.14vai fra la neve de' virginei petti
7.15nuove fragranze ad acquistar, deh! movi,
7.16mammoletta gentil, queste parole:
7.17- Di primavera il primo fior saluta
7.18di Cernobbio le rose, onde s'ingemma
7.19della regale Olona il paradiso,
7.20che di bei fior penuria unqua non soffre.
7.21Felice l'aura che vi bacia, e tutta
7.22di ben olenti spirti in voi s'imbeve;
7.23e felice lo stelo onde vi venne
7.24sì schietta leggiadria: ma mille volte
7.25più felice e beato al par de' numi
7.26chi con man pura da virtù guidata
7.27dispiccarvi saprà dalla natìa
7.28fiorita spina, e d'Imeneo sull'ara
7.29con amoroso ardor farvi più belle;
7.30ché senza amor non è beltà perfetta,
7.31né mai perfetto amor senza virtude. -
8.1Dove te lascio ne' meonii campi
8.2sì lodato, o d'incanti e di malìe
8.3possente domator, tu che dai numi
8.4Moly sei detto con parola al volgo
8.5non conceduta, e sol dal saggio intesa?
8.6(Ché al volto corruttor d'ogni favella
8.7parlar la lingua degli dèi non lice).
8.8Se là di Circe fra le mandre Ulisse
8.9non stampò di ferine orme il terreno
8.10di questa erbetta e del suo latteo fiore
8.11alla virtù si dee: parlante emblema,
8.12del cui velo coprìa l'antico senno
8.13la temperanza, che de' turpi affetti
8.14doma il poter. Di questo portentoso
8.15vegetante fra noi, siccome è grido,
8.16di Maia il figlio dal natìo Cillene
8.17la tenera portò bruna radice,
8.18e dell'accorto dio fu degno il dono.
8.19Con questa ei tutti della maga i filtri
8.20contra l'itaco eroe fece impotenti;
8.21e il suo bel fior, che da non casta mano
8.22sdegna esser tocco, di Feronia poscia
8.23dolce cura divenne, che di mille
8.24felici erbette gli fe' siepe intorno,
8.25altre d'eterno verde, altre dotate
8.26di medica virtude, onde il furore
8.27placar de' morbi, addormentar le serpi,
8.28e sanarne i veleni; altre che il sonno
8.29inducono benigne, il dolce sonno
8.30degli afflitti sì caro alle palpebre.
8.31E tal di tutte un indistinto uscìa
8.32soave olezzo che apprendeasi al core.
9.1Che di mille dirò scelti arboscelli
9.2lieti a dovizia di nettarei frutti,
9.3e di fiori e di chiome, in cui Natura
9.4per infinite variate guise
9.5spiegò la pompa della sua ricchezza?
9.6Alle ben nate piante peregrine,
9.7qual d'arabo lignaggio e qual d'assiro,
9.8qual dall'Indo venuta e qual dal Nilo,
9.9l'italo suolo arrise, e sue le fece;
9.10sì che in lor della patria e della prima
9.11origine il ricordo oggi è perduto.
9.12Tanto è l'amor del nuovo cielo, e tanta
9.13fu la cura di lei, che nel ben chiuso
9.14suo viridario ad educarle prese,
9.15or con arte confuse, ed or disposte
9.16in bei filari, come stral diritti,
9.17rallegrando di molli ombre i sentieri.
10.1Ecco schiuder dal seno i bei rubini,
10.2a Minerva e a Giunon pianta gradita,
10.3e a Cerere cagion d'alto disdegno,
10.4il coronato melagrano, e tutti
10.5adescar gli occhi ed invitar le mani.
10.6Ecco il melo cidonio alle gibbose
10.7sue tarde figlie di lasciva e molle
10.8lanugine vestir le bionde gote,
10.9del cui fragrante sugo hanno in costume
10.10le amorose donzelle in Oriente
10.11nudrir la bocca ed il virgineo fiato,
10.12quando la face d'Imeneo le guida
10.13di bramoso garzone ai caldi amplessi.
10.14Vedi il perso arboscel, che i rosei frutti
10.15ne mostra di lontan; vedi il fratello
10.16d'armena stirpe, che con gli aurei figli
10.17gli contende superbo i primi onori;
10.18perocché dai regali orti sconfitti
10.19dell'atterrata Cerasunte ancora
10.20quel fiammante rival giunto non era,
10.21che, di corpo minor, ma di più viva
10.22porpora acceso, avrìa lor tolto un giorno
10.23e di bellezza e di dolcezza il vanto.
10.24Ma stillante più ch'altri ibléo sapore,
10.25l'onor dispiega di sue larghe chiome
10.26il calcidico fico, il cui bel frutto,
10.27se verace è la fama, alle celesti
10.28mense sol noto, fra' mortali addusse,
10.29e a Fitalo donò la vagabonda
10.30Cerere, allor che tutta iva scorrendo
10.31la terra in traccia della tolta figlia.
10.32All'apparir della divina pianta
10.33di molte forme e molti nomi altera
10.34tutte esultâr le rive; e Cipro e Chio
10.35e gli orti ircani e i misii e il verde Egitto,
10.36e la gran madre d'ogni bella cosa,
10.37l'itala terra, con attento amore
10.38la coltivaro, e de' suoi dolci pomi,
10.39solo a Serse e a Cartago agri e funesti,
10.40fêr gioconde le mense anche più vili.
11.1Né te, quantunque umìl pianta vulgare,
11.2lascerò ne' miei carmi inonorato,
11.3babilonico salcio, che piangente
11.4ami nomarti, e or sovra i laghi e i fonti
11.5spandi la pioggia de' tuoi lunghi crini,
11.6or su le tombe degli amati estinti,
11.7che ne' cupi silenzii della notte
11.8escono consolate ombre a raccorre
11.9sul freddo sasso degli amici il pianto.
11.10Tu non vanti dei lauri e delle querce
11.11il trionfale onor, ma delle Muse,
11.12che di tenere idee pascon la mente,
11.13agli studi sei caro, e da' tuoi rami
11.14pendon l'arpe e le cetre, onde si sparge
11.15di pia dolcezza il cor degl'infelici.
11.16Salve, sacra al dolor mistica pianta,
11.17e l'umil zolla, che i mortali avanzi
11.18del mio Giulio nasconde, in cui sepolto
11.19giace il sostegno di mia stanca vita,
11.20della dolce ombra tua copri cortese.
11.21E tu strazio d'amore e di fortuna,
11.22tu derelitta sua misera sposa,
11.23che del caldo tuo cor tempio ed avello
11.24festi a tanto marito, e quivi il vedi,
11.25e gli parli, e ti struggi in vôti amplessi
11.26da trista e cara illusion rapita,
11.27datti pace, o meschina, e ti conforti
11.28che non sei sola al danno. Odi il compianto
11.29d'Italia tutta; i monumenti mira,
11.30che alla memoria di quel divo ingegno
11.31consacrano pietose anime belle.
11.32E se tanto d'onore e di cordoglio
11.33argomento non salda la ferita
11.34che ti geme nel petto, e tuttavia
11.35il lagrimar ti giova, e forza cresce
11.36al generoso tuo dolor l'asciutto
11.37ciglio de' tristi, che alla voce sordi
11.38di natura e del ciel, né d'un sospiro,
11.39né d'un sol fiore consolâr l'estinto,
11.40dolce almeno ti sia, che su l'avaro
11.41di quell'ossa sacrate infando obblìo
11.42freme il pubblico sdegno, e fa severa
11.43delle lagrime tue giusta vendetta.
12.1Ma dove, o Musa, di sentiero uscita
12.2ti tragge ira e pietà? Deh! torna al riso
12.3del cantato giardin, torna ai profumi,
12.4alle fragranze che l'erbette e i fiori
12.5ti esalano d'intorno. A sé ti chiama
12.6principalmente ed il tuo canto aspetta
12.7l'odorato de' Medi arbor felice,
12.8di cui non avvi più possente e pronto
12.9(se fede acquista di Maron la Musa)
12.10medicame verun contra i veneni
12.11delle dire matrigne, allor che seco
12.12scellerate parole mormorando,
12.13empion le tazze di nocenti sughi.
12.14Chioma e volto di lauro ha l'almo arbusto;
12.15e se diverso e vivo in lontananza
12.16non gittasse l'odor, lauro sarìa.
12.17Candidissimo è il fior di che s'ingemma,
12.18né, per molto soffiar che faccia il vento,
12.19l'onor mai perde della verde fronda.
12.20Ora etrusco limone, or cedro, ed ora
12.21arancio lusitan l'appella il vulgo,
12.22sotto vario sembiante ognor lo stesso.
12.23Questa è la pianta che, nel ciel creata,
12.24l'aureo pomo fatal lassù produsse
12.25ch'Ilio in faville fe' cader: con questo
12.26l'ardito Aconzio e Ippòmene già fêro
12.27(che non insegni, Amor?) alle lor crude
12.28belle nemiche il fortunato inganno.
12.29E fu pur questa che ad immane drago
12.30diè negli orti a vegliar d'Esperetusa
12.31il sospettoso mauritano Atlante,
12.32finché di là la svelse il forte Alcide,
12.33spento il fero custode, e peregrino
12.34seco l'addusse nell'ausonio lito,
12.35quando di Spagna vincitor tornando,
12.36nel Tevere lavò l'armento ibero,
12.37e fe' sopra il ladron dell'Aventino
12.38delle tolte giovenche alta vendetta.
12.39Poi com'egli d'Evandro abbandonate
12.40ebbe le mense e l'ospital ricetto,
12.41e a quel giogo pervenne, ove nascoso
12.42agl'Itali mostrò la prima vite
12.43il ramingo dal ciel padre Saturno,
12.44ivi sul dorso edificò del monte
12.45Sezia, un'umil città, donde Setina
12.46fu nomata la rupe, e qui di Giove
12.47l'errante figlio alla saturnia terra
12.48primiero maritò l'arbor divino
12.49che tutti empié di meraviglia i colli
12.50e d'invidia le selve. Al primo spiro
12.51del suo celeste odor vinta temette
12.52(e fu giusto il timor) la sua fragranza
12.53di Preneste la rosa: al primo aspetto
12.54di quel candido fior vinte temette
12.55le sue vergini tinte il gelsomino.
12.56A baciarlo lascive, a carezzarlo
12.57d'ogni parte volâr l'aure tirrene,
12.58desiose d'aver carchi del caro
12.59effluvio i vanni rugiadosi: corsero
12.60a fregiarsene il crine e il colmo seno
12.61d'Alba le ninfe e di Laurento, e quelle
12.62del Vulturno arenoso e del Taburno.
12.63Corser da tutte le propinque rive
12.64gli Egipani protervi, e saltellando,
12.65e via gittando ognun l'ispido pino,
12.66di questo ramo ghirlandâr le fronti.
12.67Lo volle il dio d'Arcadia, e lo prepose
12.68agli ebuli sanguigni ed ai corimbi;
12.69e lo volle Silvan, dimenticate
12.70le ferule fiorenti e i suoi gran gigli.
12.71Venne anch'essa del Sol Circe la figlia,
12.72e di sua mano un ramoscel spiccando
12.73della scesa dal ciel pianta diletta,
12.74in grembo al sacro suo terreno il pose.
12.75Così crebbe il divin bosco odorato,
12.76che di soave olezzo intorno tutte
12.77della maga spargea le rilucenti
12.78tremende case, ov'ella ognor cantando,
12.79e con l'arguto pettine le tele
12.80percorrendo, facea dolce da lungi
12.81e periglioso ai naviganti invito,
12.82mentre pel buio della tarda notte
12.83lamentarsi e ruggir s'udìan leoni
12.84disdegnosi di sbarre e di catene,
12.85urlar lupi, e grugnire ed adirarsi
12.86nelle stalle cinghiali ed orsi orrendi,
12.87che fur uomini in prima, e della cruda
12.88incantatrice sventurati amanti.
13.1Queste ed altre infinite eran le piante,
13.2e l'erbe e i fiori che godea l'attenta
13.3di Feronia educar mano pudica;
13.4di tutti quanti i fiori ella il più bello.
13.5Ma sotto vago aspetto alma chiudendo
13.6superbetta, d'amor tutte parole
13.7la ritrosa fanciulla ebbe in dispregio.
13.8Né la vinse il pregar di madri afflitte,
13.9che la chiedeano in nuora, e per la schiva
13.10vedean languire i giovinetti figli;
13.11né mai lusinghe la piegâr di quanti
13.12dèi le latine ad abitar contrade
13.13dai pelasghi confini eran venuti;
13.14ch'ella a tutti s'invola, e non si cura
13.15conoscere d'amor l'alma dolcezza.
13.16Ma di Giove non seppe un'amorosa
13.17frode fuggir. La vide, e da' begli occhi
13.18trafitto il nume, la sembianza assunse
13.19d'un imberbe fanciullo, e sì deluse
13.20l'incauta ninfa, e la si strinse al seno
13.21con divino imeneo. L'ombra d'un'elce
13.22del dio protesse il dolce furto, e lieta
13.23sotto i lor fianchi germogliò la terra
13.24la violetta, il croco ed il giacinto,
13.25ed abbondanti tenerelle erbette,
13.26che il talamo forniro; e le segrete
13.27opre d'amore una profonda e sacra
13.28caligine coprìo; ma di baleni
13.29arse il ciel consapevole, ed i lunghi
13.30ululati iterâr su la suprema
13.31vetta del monte le presaghe ninfe.
13.32Questi fur delle nozze inauspicate
13.33i cantici, le faci, i testimoni;
13.34questo alla nuova del Tonante sposa
13.35de' suoi mali il principio, e nol conobbe
13.36l'infelice; ma ben di Giove il vide
13.37l'eterno senno; né potendo il duro
13.38fato stornar, nel suo segreto il chiuse;
13.39e la doglia, che solo il cor sapea,
13.40premendosi nel petto, a far più mite
13.41il funesto avvenir volse il pensiero.
13.42Primamente quel bosco e quella rupe
13.43sì gli piacque onorar, dove la ninfa
13.44dell'occulto amor suo gli fu cortese,
13.45che per loro obbliò Dodona ed Ida,
13.46e men care di Creta ebbe le selve:
13.47tal che le genti la presenza alfine
13.48sentîr del nume, e l'inchinâr devote,
13.49e Giove Imberbe l'invocâr sull'are;
13.50ch'egli loro così mise in pensiero
13.51per la memoria del felice inganno.
13.52Qui del culto novel consorte ei volle
13.53la dolce amica sua; qui degli eterni
13.54in aurea tazza il nèttare le porse,
13.55e la fece immortal. Poscia, tonando,
13.56del monte il fianco occidental percosse;
13.57e una sùbita fonte cristallina
13.58scaturì mormorando, e dalla balza
13.59comandò che perenne ella scorresse,
13.60e da Feronia si nomasse: ed oggi
13.61serba quel nome ed il ricordo ancora
13.62dell'antico prodigio. Allor le volsche
13.63genti lor diva l'adoraro, e lei
13.64Antefora chiamaro e Filostefana,
13.65e Persefone, e tutte a lei de' campi
13.66fur sacre le primizie. Ad inchinarla
13.67sovrana e diva i numi adunque tutti
13.68corser d'Ausonia; ché il voler tal era
13.69del supremo amator: e non pur quelli
13.70a cui per valli e campi e per montagne
13.71fuman l'are latine, e di plebeo
13.72rito van lieti, e di minori han nome;
13.73ma mossero frequenti ad onorarla
13.74di cortese saluto anche i maggiori.
13.75Primo il padre Liéo, ch'indi non lungi
13.76in un temuto e per antico orrore
13.77sacro delubro raccogliea benigno
13.78dal timor de' mortali incensi e voti;
13.79e la bionda inventrice era con lui
13.80dell'auree spiche e delle sante leggi,
13.81Cerere, che solea le pometine
13.82spesso anteporre alle trinacrie messi.
13.83Né te d'Aricia il bosco, e il nemorense
13.84lago trattenne, o vergine Diana;
13.85ché tu pur, del lunato argenteo carro
13.86al temo aggiunte le parrasie cerve,
13.87con gli altri divi ad abbracciar venisti
13.88la novella immortale, e di te degna
13.89fu l'alta cortesia che ti condusse.
14.1Col favor di Feronia iva frattanto
14.2scorrendo i campi l'Abbondanza, e, tutto
14.3versando il corno, ben compiuta e ricca
14.4fea dell'avaro agricoltor la speme.
14.5Ogni prato, ogni colle, ogni foresta
14.6di pastorali avene e di muggiti
14.7e nitriti e belati alto risuona;
14.8e prigioniera dall'opposte rupi
14.9le dolci querimonie Eco ripete.
14.10Venti e quattro cittadi, onde l'immensa
14.11fertile valle si vedea cosparsa,
14.12s'animâr, s'abbelliro, e stretto in nodo
14.13di care parentele, in mezzo al sangue
14.14de' torelli giurâr dell'alleanza
14.15il sacramento; e l'invocata Diva
14.16le dilesse, e su lor piovve la piena
14.17di tranquilla ricchezza. Incontanente
14.18crebbero i lari, crebbero le mura;
14.19di maestà, di forza e di rispetto
14.20le sante leggi si vestîr; fur sacri
14.21i reverendi magistrati; sacra
14.22la patria carità; sacro l'amore
14.23della fatica e dell'industria. Quindi
14.24tutte piene di strepito le vie,
14.25e i teatri e le curie; e dappertutto
14.26un gemere di rote, un picchio assiduo
14.27di martelli e d'incudi, un suonar d'arme
14.28buone in pace ed in guerra, onde sì crebbe
14.29la feroce de' Rutuli potenza,
14.30che al pietoso Troian tanto fe' poscia
14.31sotto il cimiero impallidir la fronte,
14.32quando gli disputâr Camilla e Turno
14.33di Lavinia e d'Italia il grande acquisto.
15.1Eran le genti pometine adunque
15.2molte e forti e felici; e manifesta
15.3di Feronia apparìa per ogni parte
15.4la presenza, il favor, la possa e l'opra.
15.5Però da cento altari a lei salìa
15.6delle vittime il fumo, e ne godea
15.7il tonante amator, che stanco e carco
15.8delle cure del mondo, a serenarle
15.9scendea sovente ne' segreti amplessi
15.10della diva fanciulla. Un aureo nembo
15.11li copriva; e oziosa al sole aprico
15.12col rostro della folgore ministro,
15.13l'aquila sacra si pulìa le piume;
15.14mentre sicure dal furor di Giove
15.15tacean d'Ato e di Rodope le rupi,
15.16e avea Bronte riposo in Mongibello.
16.1Erasi intanto la saturnia Giuno
16.2fatta accorta del dolo, e i suoi grand'occhi,
16.3che gelosia più grandi anche facea,
16.4non fallibili segni avean già scorto
16.5di nuova infedeltà. Raro il soggiorno
16.6del marito in Olimpo: alto il silenzio
16.7dei talami divini: inoltre mute
16.8della foresta dodonéa le querce,
16.9cheti i tuoni dell'Ida, e dissipato
16.10il denso fumo che facea palese
16.11la presenza del nume: onde, turbata
16.12in suo sospetto, alle nevose cime
16.13dell'Olimpo salita, in giù rivolse
16.14l'attento sguardo, e ricercò l'infido
16.15sul mar sidonio, sul nonacrio giogo,
16.16sull'Ismen, sull'Asopo, ove sovente
16.17delle vaghe mortali amor lo prese.
16.18Indi in Ausonia declinando i lumi,
16.19d'Ansuro nereggiar sul balzo vide
16.20tale un nugolo denso, che per vento
16.21non si movea di loco, ancorché tutta
16.22fosse in moto la selva. A cotal vista
16.23le si ristrinse il cor; le corse un gelo
16.24per le membra immortali, e si fêr truci
16.25i neri sopraccigli. Immantinente
16.26Iri a sé chiama, e: - Prestami, - le dice
16.27- su via prestami, o fida, il tuo piovoso
16.28arco d'oro e di luce. - E sì dicendo,
16.29né risposta aspettando, entro si chiude
16.30a' taumanzii vapori, e taciturna
16.31su le rupi setine si precipita.
16.32Tocca pur anco non avea la terra
16.33co' leggeri vestigi, che levarsi
16.34l'invisibile dea l'aquila vide,
16.35l'aquila testimon del dio marito;
16.36e sotto l'ombra delle grandi penne
16.37furtiva e cheta camminar la nube,
16.38e tra le piante dileguarsi. A lei
16.39dovunque passa riverenti e curvi
16.40dan loco i rami della selva; e l'aure
16.41non osano di far rissa e bisbiglio.
16.42Volse indi l'occhio addietro, e, donde tolta
16.43s'era la nube, in piè rizzarsi mira
16.44così bella una ninfa, che alla stessa
16.45corrucciosa Giunon bella parea.
16.46Sventurata beltà! L'ira e il dispetto
16.47tu crescesti nel cor della gelosa,
16.48che spiccossi qual lampo e rabbuffata
16.49con questi accenti alla rival fu sopra:
16.50- E qual ti prese insania ed arroganza,
16.51insolente mortal, che una cotanta
16.52a me far osi ingiuria, e non mi temi?
16.53Ravvisami, proterva; io degli dèi
16.54son l'eterna reina, io la sorella,
16.55io la sposa di Giove. - Scolorossi,
16.56tremò, si sgomentò, non fe' parola
16.57la misera Feronia; e siccome era
16.58scomposta i veli e le bende e le chiome,
16.59dell'amplesso celeste accusatrici,
16.60mise in tutto furor la sua nemica;
16.61la qual su lei di rinnovar bramosa
16.62di Callisto la pena, ad un vincastro
16.63diè rabbiosa di piglio, e la percosse.
16.64Attonito restò l'occhio e la mano
16.65dell'acerba Giunon, quando dell'altra
16.66vide al colpo divino inviolata
16.67resistere la salma, e le primiere
16.68sembianze rimaner: tosto conobbe
16.69che di tempra immortal fatta l'avea
16.70l'onnipossente nume; onde sdegnosa,
16.71ché a vôto mira uscito il suo disegno,
16.72e terribile e ria più che mai fosse:
16.73- Questo - disse - al mio scorno anco mancava,
16.74adultera impudente, che dovesse
16.75farlosi eterno! Sémele ed Alcmena
16.76eran poca vergogna all'onor mio,
16.77e i due figli di Leda, e Ganimede,
16.78ch'altra ancor ne s'aggiunge, e di malnati
16.79mi si fan piene le celesti mense.
16.80Ma inulta non andrò, se Giuno io sono;
16.81né tu senza castigo. Via di qua,
16.82via di qua, svergognata! - E in questo dire
16.83il bianco braccio fieramente stese,
16.84s'aggrandì, si scurò, gli occhi mandaro
16.85due fiamme a guisa di baleni in mezzo
16.86di tenebrosa nube; e la grand'ira,
16.87che il senno ancor degl'immortali invola,
16.88quasi obbliar di diva e di reina
16.89le fe' modi e costumi. E di rincontro
16.90di Giove allor la dolorosa amante,
16.91che di rimorso trema e di rispetto,
16.92con basso ciglio e con incerto piede
16.93lagrimando partissi. Ella per monti
16.94e per valli e per fiumi si dilunga,
16.95e sempre a tergo ha la tremenda Giuno,
16.96che con minacce e dure onte e rampogne
16.97stimola e incalza l'infelice. Ahi! dunque
16.98era da tanto un amoroso errore?
17.1E già varcate avea le veliterne
17.2pendici, e gli ardui sassi, ove costrusse
17.3Cora la sua città, Cora il fratello
17.4di Catillo e Tiburte; e non lontano
17.5era di Cinzia il sacro lago e il bosco,
17.6ove a Stige ritolto, e della ninfa
17.7Egeria in cura, Ippolito traeva,
17.8cangiato in Virbio, la seconda vita.
17.9Qui di Saturno l'adirata figlia
17.10sostenne i passi, e in balze aspre e deserte
17.11qui lasciò la meschina, e, desiosa
17.12di vendetta maggior, diè volta addietro.
18.1Tra le priverne rupi e le setine
18.2s'apre immane spelonca, a cui di sopra
18.3grava il dosso una negra orrida selva,
18.4e per lo mezzo la rinfresca un rivo,
18.5che con grato rumor casca e zampilla
18.6dalle fesse pareti. Ha di sedili
18.7in vivo marmo una corona intorno,
18.8e tal dalle muscose erbe si spande
18.9una fragranza, che da lungi avvisa
18.10veramente di dèi stanza e ricetto.
18.11Qui da tutta la volsca regione
18.12per cento cave sotterranee vie
18.13vengon sovente a visitarsi i fiumi,
18.14il freddo Ufente, il lamentoso Astura,
18.15il sonoro Ninféo, che tra le sacre
18.16sue danzanti isolette ad Anfitrite
18.17rapido volve e cristallino il flutto;
18.18e il superbo Amasen, che le gran corna
18.19mai non si terge, e strepitoso e torbo
18.20empie di loto i campi e di paura.
18.21E cent'altri v'accorrono di fama
18.22poveri e d'onda fiumicei seguaci;
18.23e cento ninfe, che il cader degli astri
18.24conoscono e del sole e della luna
18.25le armoniche vicende, e sanno i venti
18.26e le piogge predire e le procelle.
18.27Colà bieca sbuffando s'incammina
18.28la di vendetta sitibonda dea:
18.29simile a nembo di gragnuole gravido,
18.30che bruno il ciel viaggia, e orrendo stendesi
18.31su la bionda vallea, quando le Pleiadi,
18.32che d'Orion la spada incalza e stimola,
18.33negli atlantici flutti si sommergono,
18.34e tutto ferve per burrasca il pelago.
18.35Tal terribile in vista ella s'avanza;
18.36e giunta al mezzo dello speco, in atto
18.37di maestà, di cruccio e di preghiera,
18.38fa dal labbro volar queste parole:
18.39- Fiumi, a cui delle volsche acque l'impero
18.40diè degli uomini il padre e degli dèi,
18.41e voi le correggete, e a vostro senno
18.42le mandate a nudrir l'onda tirrena,
18.43una vil mia nemica, una spregiata
18.44di boschi abitatrice il cor mi tolse
18.45del mio consorte; e non è tutto. A lei,
18.46a costei l'immortal vita è concessa,
18.47privilegio avvilito, e dea l'adora
18.48la bagnata da voi terra pontina.
18.49Vendicate l'offesa; e s'io dall'etra
18.50vi dispenso le piogge, ite, abbattete,
18.51distruggete, spegnete. Altari e templi
18.52e città rovesciate: io le vi dono,
18.53e saran vostro regno; orma non resti
18.54dell'abborrito culto, e raddolcisca
18.55la mia giust'ira di Feronia il pianto. -
18.56Disse; e per tutti a lei tosto l'Ufente
18.57diserto e chiaro parlator rispose:
18.58- A te l'esaminar conviensi, o diva,
18.59il tuo desire, e l'adempirlo a noi.
18.60Delle piove e de' nembi genitrice
18.61tu ne riempi l'urne, tu ne fai
18.62Giove propizio, e ne concedi a mensa
18.63su l'Olimpo seder con gli altri eterni. -
18.64Ciò detto, frettolosi e furiosi
18.65si dileguâr per la caverna i fiumi,
18.66chi qua, chi là ciascuno alla sua sede;
18.67e partendo ne fêr tale un tumulto,
18.68tale un fracasso, che tremonne il monte.
18.69N'udirono il fragor le pometine
18.70valli da lungi, e ne mandâr muggiti,
18.71di ruina presaghe; e palpitanti
18.72strinser le madri i pargoletti al seno.
19.1Mentre corrono quelli il rio precetto
19.2a compir della diva, e ai duri sassi
19.3aguzzano per via le corna e l'ira,
19.4levossi Giuno in aria, e spiegò il manto,
19.5in cui ravvolge le tempeste e i nembi,
19.6e subito gonfiâr le bocche i venti,
19.7e le nubi aggruppâr, che cielo e luce
19.8ai mortali rapiro, e si fe' notte,
19.9orrenda notte dal guizzar de' lampi
19.10rotta al fero de' tuoni fragor cupo.
19.11Carco d'atre caligini la fronte,
19.12vola l'umido Noto, ed afferrate
19.13con le gran palme le pendenti nubi,
19.14le squarcia risonante, e tenebrosa
19.15sgorga la piova; il rotto aere ne rugge;
19.16e il suol ne geme e le battute selve.
19.17Scende un mar dalle rupi. Allora i fiumi
19.18versano l'urne abbeverate e colme,
19.19e quattro di maggior superbia e lena
19.20da quattro parti sul soggetto piano,
19.21svelte, atterrate le tremanti ripe,
19.22con furor si devolvono. Spumosa
19.23e fragorosa la terribil piena
19.24le capanne divora e i pingui cólti,
19.25e gli armenti e i pastori. E già le mura
19.26delle cittadi assalta e le percote,
19.27di cadaveri ingombra e della fatta
19.28strage ne' campi: già delle bastite
19.29crollano i fianchi: già sfasciati piombano,
19.30e dan la porta all'inimico flutto.
19.31S'alza allora un compianto, un ululato
19.32di vergini, di vegli e di fanciulli:
19.33corrono ai templi; ed invocar Feronia,
19.34e Feronia gridar odi piangenti
19.35le smorte turbe; e non le udìa la Diva;
19.36ché maggior diva il vieta. Essa, la fiera
19.37moglie di Giove, di sua man riversa
19.38dell'esule nemica i simulacri,
19.39ne sovverte gli altari; e la soccorre
19.40ministra al suo furor l'onda crudele
19.41che tutte attorno le cittadi inghiotte.
19.42Tre ne leva sul corno infuriando
19.43il veloce Ninféo che lutulenti
19.44spinse quel dì la prima volta i flutti,
19.45l'umil Trapunzio e Longula e Polusca:
19.46tre la ferocia del possente Astura,
19.47l'opima Mucamite, e l'alta Ulubra,
19.48e la vetusta Satrico, a cui nulla
19.49il nume valse della dia Matuta.
19.50E per te cadde, strepitoso Ufente,
19.51Pomezia, la più ricca e la più bella.
19.52Pianse il giogo circéo la sua caduta,
19.53e la pianser le ninfe, a cui commessa
19.54de' suoi vaghi giardini era la cura.
20.1Il tremendo Amaseno avea frattanto
20.2sotto i vortici suoi sepolti intorno
20.3i Barbarici campi, e fatto un lago
20.4della misera Ausona, e l'alte mura
20.5d'Aurunca percotea, la più guerriera
20.6delle volsche cittadi, e la più antica.
20.7Oltre gli anni di Dardano e Pelasgo
20.8la sua fama ascendeva, e degli Aurunci
20.9venerevoli padri alto suonava
20.10e glorioso fra le genti il grido.
20.11L'avea quel fier divelta e conquassata
20.12dai fondamenti. Alle vicine rupi
20.13traggonsi in salvo gli abitanti; e il fiume
20.14li persegue mugghiando, e ne raggiunge
20.15altri al tallone, e li travolve; ed altri,
20.16che più pronti afferrâr già la montagna,
20.17con l'immenso suo spruzzo li flagella,
20.18e di paura li fa bianchi in viso.
20.19Ben mille ne contorse entro i suoi gorghi
20.20quell'orribile dio; ma di due soli,
20.21Timbro e Larina, il miserando fato
20.22non tacerò, se a tanto il cor resiste,
20.23e pietoso il pensier non mi rifugge.
20.24Amavansi così quegl'infelici,
20.25ch'altro mai tale non fu visto amore,
20.26e d'Imeneo già pronte eran le tede,
20.27e consentìan gioiosi al casto affetto
20.28i genitori. Ahi brevi e false in terra
20.29le speranze e le gioie! In riva al mare,
20.30cui d'Anzio regge la Fortuna, avea
20.31pochi dì prima all'afrodisia madre
20.32pôrti i suoi voti il giovinetto amante,
20.33e abbracciato l'altar. Letta nel Fato
20.34del misero la sorte avea la diva;
20.35e della diva il santo simulacro
20.36tremò, e sudante (maraviglia a dirsi!)
20.37torse altrove il bel capo, e non sostenne
20.38tanta pietà. Ma ben di Giuno il crudo
20.39cor la sostenne; e la virtude umana
20.40abbandonata si velò la fronte.
20.41Nella comun sventura erasi Timbro,
20.42dopo molti in cercar la sua fedele
20.43scorsi perigli, l'ultimo su l'erta
20.44spinto in sicuro; e fra i dolenti amici
20.45di Larina inchiedea; Larina intorno,
20.46Larina iva chiamando, e forsennato
20.47con le man tese e co' stillanti crini
20.48per la balza scorrea; quando spumosa
20.49l'onda, che n'ebbe una pietà crudele,
20.50la morta salma gliene spinse al piede.
20.51Ahi vista! ahi, Timbro, che facesti allora?
20.52La raccolse quel misero, ed in braccio
20.53la si recò; né pianse ei già, ché tanto
20.54non permise il dolor, ma freddo e muto
20.55pendé gran pezza sul funesto incarco,
20.56poi mise un grido doloroso e disse:
20.57- Così mi torni? e son questi gli amplessi
20.58che mi dovevi? e questi i baci? e ch'io,
20.59ch'io sopravviva?... - E non seguì; ma stette
20.60sovr'essa immoto con le luci alquanto;
20.61poi sull'estinta abbandonossi, e i volti
20.62e le labbra confuse, e così stretto
20.63si versò disperato entro dell'onda,
20.64che li ravvolse, e sovra lor si chiuse.
Supported by the Czech Science Foundation (GA23-07727S)