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1.1Vinto da la pietà del nostro male,
1.2che per sonno e vigilie mi molesta,
1.3ch'i' scriva cosa mesta
1.4veduta in sogno, orribile e pietosa,
1.5scrivo, anzi volar voglio senza ale,
1.6ché la matera è grande e non mi presta
1.7alcun valo, ch'io vesta
1.8il nudo 'ngegno a ritrar tanta cosa.
1.9Era la maggior luce ancora ascosa
1.10e biancheggiava giù da l'orïente
1.11quella che dal feriente
1.12suo caldo fugge e subito dispare,
1.13quando dinanzi agli occhi miei appare
1.14una turba di donne tutte a negro
1.15senz'alcun atto allegro
1.16vestite, si dolean sì fortemente
1.17che me con lor fên pianger lì sovente.
1.18Piangendo vanno e nessuna favella,
1.19e io con loro mormorando giva,
1.20come persona priva
1.21d'ogni allegrezza, fino a un bel bosco:
1.22nel quale una più alta e la più bella
1.23pianta, più verde, più fronduta e viva,
1.24vidi che giù cadiva,
1.25onde divenne l'aër tutto fosco.
1.26Una voce sentimo: "Or ben conosco
1.27ch'ogni speranza m'è venuta meno
1.28d'esser mai nel sereno
1.29stato ch'i' fui, più bello e più felice!".
1.30Allor ciascuna delle donne dice:
1.31"Andiano avanti e piangiàn con costei,
1.32che per l'ira de' dei
1.33serva ritorna di reina e donna,
1.34poi ch'è caduta sua ferma colonna".
1.35I mezzo di quel bosco era la pianta
1.36caduta; ivi una donna tanto affritta
1.37che star non potea dritta,
1.38tanto dolor gli avea la mente oppressa;
1.39questa turba di donne tutta quanta
1.40piangendo in terra avante a lei si gitta,
1.41che ben parea sconfitta,
1.42e ciascheduna più suo pianto ap

ressa.

1.43Rizossi quella donna tanto fessa,
1.44c'ha i crin disciolti e lacrimoso il viso,
1.45riguardando lor fiso:
1.46"Oimè (disse), dov'è 'l nostro alunno?".
1.47Costor non tarde né rimesse funno,
1.48ma, rinfrescando 'l pianto, biastimava
1.49la morte oscura e prava,
1.50dicendo: "Chi mai più nostre dottrine
1.51seguiterà, ai, misere tapine?".
1.52Posto silenzio al pianto tra lor tutte,
1.53la più degna di lor, ciò fu Iustizia,
1.54così parlando inizia
1.55con sospiri, con lacrime e strida:
1.56"Donna, le luci mie essere asciutte
1.57di lacrime non ponno per trestizia,
1.58poiché mortal nequizia
1.59tolto m'ha 'l mio temone e la mia guida.
1.60Non serà ma più mia spada fida,
1.61le mie bilance equalmente tenute;
1.62le mie ragion fien mute,
1.63e senza fren ciascun farà sue voglie.
1.64O caro figliuol mio, con le tue spoglie
1.65porrò le mïe, sì che dir si possa:
1.66"D'una sola percossa
1.67morti si veggian per ciascun paese
1.68Iustizia e l'alto duca milanese"".
1.69Iustizia pose fine al suo parlare,
1.70e un'altra di lor si fu levata,
1.71Fortitudo chiamata,
1.72così parlando nel suo gran lamento:
1.73"No mi farò giamai più nominare
1.74Fortezza a mondo, perch'io son privata
1.75di quel ch'era dotata,
1.76né colonna so' più né fondamento.
1.77Tornarò in cielo, poi ch'è 'n terra spento
1.78quel che fermo teneva one consiglio,
1.79il mio diletto figlio
1.80per cui detta era fondamento e torre;
1.81ma questo non mi puo' già, o morte, tôrre:
1.82che l'animo divin ch'el avea seco
1.83no me ne 'l porti meco
1.84e con voi inseme omai delle superne
1.85cose parlare e non pur delle inferne".
1.86Poi dopo questo la nobil Prudenza
1.87si levò suso e con maggior desdegno
1.88di parlar fece segno,
1.89e per dolor la voce tornò indietro.
1.90Restata un poco, cominciò: "Non senza
1.91grave dolore, a recontar io vegno
1.92il caso aspro e malegno
1.93che m'ha tolto di mano il chiaro vetro.
1.94Morte m'ha posta in loco oscuro e tetro,
1.95onde i mie' occhi e 'l mio antivedere
1.96han perduto il potere,
1.97perché mort'è chi li facea lucenti.
1.98Né preterite cose né presenti
1.99né future anche più vedere io posso,
1.100poi che quinci è rimosso
1.101colui che mi portava infino al cielo
1.102ond'io rompeva de' futuri il velo".
1.103Tacette la Prudenza e poi levòse
1.104la quarta donna, detta Temperanza,
1.105parlando con baldanza,
1.106di dolor e d'affanno tutta accesa.
1.107Disse: "O donna eccelsa, le penose
1.108doglie ch'i' sento ciascun'altra avanza,
1.109poi che ogni mia speranza
1.110veggio perduta e crudelmente offesa.
1.111Chi farà più nel mondo ormai contesa
1.112dal poco al molto? E chi portà misura,
1.113poi ch'una sepultura
1.114chiude 'l temperamento d'onne troppo?
1.115Chi sa, desciglia questo amaro groppo:
1.116senza temperamento corta vita
1.117esse debba e finita,
1.118perché cose contrarie insieme stare
1.119senza mezzo non posson né durare".
1.120Finito ch'ebbon le quatro sorelle
1.121il lor lamento, e ciascheduna tacque.
1.122Una che di lor nacque
1.123mùnice contrafece tal cordoglio:
1.124"Poi che morte spiatata mi divelle
1.125dal mio signore, a cui io tanto piacque
1.126che fino all'ultime acque
1.127per lui fu' nominata, move voglio
1.128dall'un balzo del mondo all'altro scoglio.
1.129In ogni nazïon e ogni gente
1.130mostrai quanto possente
1.131e magnanimo fusse 'l mio signore!
1.132Dolgansi tutti del perduto onore,
1.133Almàn, Franceschi, Ungari e Ispani,
1.134saracini e pagani,
1.135e tutti que' signori e gran baroni
1.136che sentirono i frutti de' suo' doni".
1.137Tre sacre donne, che per lor sembianti
1.138Fede, Speranza e Carità mostrâro
1.139tra lor deliberâro
1.140che Carità per tutte e tre parlasse.
1.141Incominciò: "Se i dolorosi pianti
1.142fusse alla morte di costui riparo,
1.143molto mi saria caro
1.144piangere finché gli occhi ci bastasse;
1.145ma se le voglie nostre sono in casse,
1.146che pianger giova senza fine o modo?
1.147Dio ne ringrazio e lodo,
1.148quanto si de' per ogni crëatura;
1.149quanto per carne possa in noi natura,
1.150io mi debbo doler, perché costui
1.151fu con tutte e tre nui
1.152sì fervente ad amar con pura fede,
1.153che merito di ciò presente vede".
1.154Parvemi dopo 'l pianto maraviglia:
1.155tanto silenzio e tanta devozione,
1.156che quella regïone
1.157teneva aflitta e l'aër ne piangeva.
1.158Quella donna ch'io dico alzò le ciglia
1.159e, raguardando tanta afflizïone,
1.160un gran sospir dipone
1.161e poi, parlando, in tal modo diceva:
1.162"Care sorelle mie, io non credeva
1.163a quest'atto dolente avervi insieme,
1.164anzi ch'alle supreme
1.165glorie, promesse a me, esser doveste:
1.166purpura e oro e non sì triste veste,
1.167canti sonori, e non raüchi e fiochi,
1.168
1.169Italia regina esser chiamata
1.170e non vedova sola abandonata!
1.171Ma poi che questi son li onori estremi
1.172che mi dovete fare in sempiterno,
1.173ogn allegrezza sperno
1.174e sol vo' ragionar de' mie' affanni.
1.175La mia misera nave senza remi,
1.176senza vele, temon, senza governo,
1.177veggio nel mar di verno
1.178in gran tempesta tra Cariddi e Scilla;
1.179e veggio spenta l'ardente favilla
1.180ch'aluminava ogni cosa che luce:
1.181or la morte perduce
1.182agli occhi nostri tenebra infinita.
1.183Più non curo oggimai de la mia vita:
1.184costui, che esser dovea mio caro sposo,
1.185loco più glorïoso
1.186eletto egli ha, lasciando questo lito,
1.187ond'io non voglio giamai più marito.
1.188Ma per veder cogl occhi quant'oltraggio
1.189morte n'ha fatto, andiamo ov'egl è morto
1.190 vedremo il gran torto
1.191che fatto ci hanno i fati aspri e sinestri".
1.192E così detto, prese 'l suo vïaggio
1.193e l'altre drieto con grande sconforto,
1.194finché venne a un orto
1.195lì presso, pieno d'animal silvestri:
1.196cani, lïonze e lëopardi destri
1.197ivi erano infiniti mescolati,
1.198né morder né aguati
1.199facean fra lor, ma stavan tristi e vili.
1.200Una bara con drappi vedovili
1.201in mezzo contenea il prence eccelso,
1.202che da noi ha divelso
1.203morte, che 'n uno estremo punto sciolse
1.204tutto 'l poter che mai natura accolse.
1.205Non ave ancor la donna posto fine
1.206al suo lamento, e ciascheduna intenta
1.207costei che si lamenta
1.208stava a udir, com'uom che fermo ascolta;
1.209quando non di mortal, ma di divine
1.210ombre duo schiere verso noi s'avventa
1.211e, come chi paventa,
1.212ciascuna verso 'l Nostro si fu volta.
1.213Dinanzi a tutte della schiera folta
1.214veniva un'ombra di splendor coverta,
1.215tal che nessuna certa
1.216figura si potea da lei ritrare:
1.217drieto a quella io vidi seguitare
1.218gente togata di gran dignitade,
1.219con voci gravi e rade,
1.220degne di tanta reverenza, ch'io
1.221per conoscerli n'arsi del desio.
1.222E quando fatte fû più prossimane,
1.223conobbi che Mercurio quella schiera
1.224sotto la sua bandiera
1.225guidava, quelli grolïosi spirti.
1.226Abiti e veste loro eran umane
1.227e 'l viso di ciascun saria lumera
1.228in questa bassa spera
1.229di tenebra repiena: e chi di sirti
1.230di raggi coronati, e chi di mirti.
1.231Io vidi Varro, Livio e Cicerone,
1.232Virgilio e 'l buon Catone,
1.233e altri molti spirti glorïosi:
1.234questi con umil detti e con pietosi
1.235parea che ragionasson del valore,
1.236de l'ingegno del core
1.237che 'n vita fu capace questo duca,
1.238la cui fama convien che etterna luca.
1.239Marte con l'altra schiera, furebondo
1.240nel viso acceso con focosi rai,
1.241più ch'io non scrivo assai,
1.242terribil venne a' dolorosi lutti.
1.243D'animo vigorosi e di profondo
1.244consiglio sperti vi considerai
1.245tali e tanti, che mai
1.246io non potrei recontartili tutti.
1.247Armati, fieri e sotto l'arme strutti,
1.248Cesare viddi col feroce aspetto
1.249 Alessandro perfetto
1.250ragionar del Bisconte valoroso;
1.251Camillo e l'African vittorïoso,
1.252Anibàlle e 'l Dentato e 'l buon Cursore
1.253lodar questo signore,
1.254dicendo: "Sol costui di Marte 'l segno
1.255fatto ha vittorïoso e d'onor degno".
1.256Subito dopo questo, e duo splendori,
1.257Marte e Mercurio, colle lor corte,
1.258con quelle donne accorte
1.259deliberâr di non lassarlo in terra,
1.260ma farlo degno de' celesti onori
1.261nella spera di Giove e di Mavorte,
1.262ove non pote morte
1.263né del futuro mai porte si serra.
1.264Dell'eloquenza principi e di guerra,
1.265Cesare e Alessandro dall'un lato,
1.266Virgilio e l'Arpinato
1.267dall'altra parte, quella bara prese:
1.268subito l'ale ciaschedun distese,
1.269li dei e quelli spirti eccellenti;
1.270non con pianti e lamenti,
1.271ma con canti e piaceri indi fu tolto,
1.272portato in cielo; e io dal sonno sciolto.
1.273Canzon, tu n'andarai al mio signore,
1.274che teco con dolore
1.275participe con pianto e con disdegno:
1.276costui è tanto grato
1.277che noi odirà volontieri,
1.278quantunqua che leggieri
1.279sieno di sentimento e di dolcezza.
1.280Penso tu 'l moverai per tenerezza
1.281e altro non ti dico, che né come;
1.282ma perché sappi 'l nome,
1.283signor messer Pandolfo ell è nomato,
1.284dei Malatesti eccelso e onorato.
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