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1.1Or, perché tutti in ciel non vanno eguali
1.2I dì che volge il Sol, ma tristi, e lieti,
1.3Come piacque a Colui che vario infuse
1.4Nelle stelle il valor che muove il mondo;
1.5Molto val l'osservar del buon cultore,
1.6La malizia o bontà ch'è in questo o in quello.
1.7Cerchi prima fra sé, che il freddo lume
1.8Del gran vecchio Saturno in parte giri,
1.9Ove contento stia; dove aggia pace,
1.10E riguarde i minor con dolce aspetto:
1.11Che il fiammeggiante Dio del quinto cerchio
1.12Senta in luogo lontan, ch'appena il veggia,
1.13E non sia testimon dell'opre altrui:
1.14L'amorosa Ciprigna e 'l pio Parente,
1.15Da cui quanto è di ben ci piove in terra,
1.16Si vagheggin fra sé con lieto sguardo:
1.17Che 'l figliuol di Latona, e la sorella
1.18Non sian contrari lor, non giunti insieme,
1.19E non divisi ancor dal quarto albergo,
1.20Ma gli possin mirar tra 'l terzo e 'l quinto.
1.21Quando vedi allumar l'Aquario e 'l Toro
1.22Dalla notturna Dea che Cinto onora,
1.23Pianta le vigne allor, sotterra i frutti;
1.24Se la capra Amaltea, se 'l Cancro avverso,
1.25Se la donzella Astrea, se quella parte
1.26Ch'al dì con spazio egual la notte libra,
1.27O 'l cornuto Animal che in mezzo il mare
1.28Condusse Europa; e tu nel grembo allora
1.29Versa del tuo terren le biade e 'l grano.
1.30Ma più di tutti, ben ci segna i giorni
1.31Giocondi e gravi, trascorrendo in giro
1.32Dal luminoso Sol, la casta Luna;
1.33Ch'al nostro umano oprar tanto ha vicina
1.34La possente sua luce, e in così breve
1.35Tempo quante ha nel cielo erranti e fisse
1.36Studia di visitar, che ciò che in esse
1.37Truova di bene o mal, lo versa in noi.
1.38Non dee molto impiagar le piagge e i colli
1.39Il discreto bifolco, s'ella giace
1.40Ascosa col fratello. Il quarto giorno
1.41Che cornuta rivien, coi tre vicini,
1.42Sacrati in terra son; ché in questo nacque
1.43Già di Latona in Delo il biondo Apollo:
1.44Pur l'agnello e 'l vitel potrà nel sesto
1.45Di quel membro privar ch'è sposo e padre;
1.46Benché l'ottavo in ciò più lode porte.
1.47Nei cinque altri miglior che vengon dietro,
1.48Può le piante innestar, spander i semi;
1.49Può il frumento segar, tosar le gregge,
1.50E donarle al monton chi maschio brami;
1.51Tesser da ricoprir le mense e i letti,
1.52E difender dal giel la sua famiglia.
1.53Quel che segue costor, contrario al seme,
1.54È secondo al piantar: ché 'l troppo umore,
1.55Come in quello è nemico, in questo è caro.
1.56Quando ella contro al Sol, con larga fronte,
1.57Del fraterno suo raggio tutta splende,
1.58Si den l'opre fuggir; ch'è lor molesto:
1.59Sol aprir si convien con lieto canto
1.60Del prezïoso vin l'antico vaso,
1.61Che conservi il sapor nell'ultime ore:
1.62Solo è il tempo a domar col nuovo giogo
1.63L'aspro, torvo giovenco; e con lo sprone
1.64E col morso al caval frenar l'orgoglio:
1.65E chi femmine vuol, marite il giorno,
1.66Delle mandre ch'ei tiene, il forte duce.
1.67Fugga il quinto ciascun, con quelli insieme
1.68Ch'hanno il nome da lui: ché in cotali ore
1.69L'impie Furie infernali intorno vanno
1.70Tutte, empiendo d'orror la terra e l'onde.
1.71Quel che ne vien da poi ch'ella ha più lume,
1.72Non si tocchin le piante; e l'altro appresso
1.73Per ventilar il gran n'apporta l'ora:
1.74Puosse in questo atterrar nei boschi alpestri
1.75L'alto robusto pin, l'abete e 'l faggio,
1.76Nel verno, a fabbricar palazzi e navi;
1.77Benché forse indugiar, quando è più scema
1.78L'alma sua luce in ciel, non spiace a molti.
1.79Nel vigesimo dì, nell'altro innanzi,
1.80Così benigno il Sol ci apporta l'ore,
1.81Che ben puote il villan con ferma speme,
1.82In quel che pregia più, dispensar l'opre:
1.83E se creder si può, questo è quel giorno
1.84In cui nascon color ch'hanno arte e senno
1.85Di misurar fra noi le stelle e 'l cielo,
1.86E narrar quel che può natura e fato.
1.87Gli altri quattro dipoi speranza e tema
1.88Di quel ch'aggia a venir, ne danno eguale:
1.89I due son da fuggir che vengon poscia.
1.90Negli altri giorni, allor ch'ella è vicina
1.91Per ripigliar dal Sol novella face,
1.92Puosse il toro domar, romper la terra,
1.93Tirar le navi al mar, tagliar i legni,
1.94E le sue botti aprir. Né sia schernita
1.95L'antica osservazion; ché spesso alfine
1.96Lo spregiar cose tali apporta danno:
1.97Ché matrigna talor, talvolta madre
1.98Vien la luce del dì nell'opre umane;
1.99E sol l'incominciar può t"rre e dare
1.100Tutto quel che si cerca: e ciò n'avviene
1.101Perché piacque a Colui che tutto muove.
1.102Non dico io già, che se 'l buon tempo e l'opra
1.103Perde l'occasïon che non si deggia
1.104Pur invocando Dio, tirar alfine
1.105Quei che troppo indugiar gran danno f"ra.
1.106E perch'il crudo giel, la pioggia e 'l vento
1.107Che improvviso ci vien, può nuocer molto;
1.108Qui il perfetto cultor la mente inchini
1.109Al suo sommo Fattor, divoto, umìle
1.110Sacrifici porgendo, preghi e voti,
1.111Che il nostro in lui sperar non caggia indarno;
1.112Né ch'al nostro sudor sia tolto il pregio:
1.113Poi fra le stelle in ciel riguardi, e 'mpari
1.114Qual ci dà troppo umor, qual troppa sete;
1.115Chi ci muova Aquilon, chi ghiaccio apporte,
1.116E con qual compagnia qual parte lustri;
1.117Chi surga o scenda: e la natura e 'l nome,
1.118Tutto aver si convien, né men che quelli
1.119Ch'al tempestoso mar credon la vita,
1.120O che il rozzo guardian che 'n parte dorme,
1.121Ove ha capanna il ciel, la terra letto.
1.122Questi i primi già fur, cui lunga pruova
1.123Mostrò il corso lassù coi vari effetti
1.124Ch'or di sì gran dottrina empion le carte,
1.125Che dei primi inventor vergogna ha seco.
1.126Non si sgomenti adunque, e certo speri
1.127Il discreto villan poter d'altrui
1.128Quell'imparar, che da sé stesso apprese
1.129E 'l pastore e 'l nocchier tra i boschi e l'onde
1.130Qualor Delia vedrem contraria o giunta;
1.131O che dal quarto albergo irata guarde
1.132Quel Pianeta crudel che mangia i figli;
1.133Piogge porta in april, nel luglio nebbia,
1.134Gran pruine all'ottobre, e nevi al verno.
1.135Quando il padre riguarda, ovunque sia,
1.136Rende in ogni stagion dolcezza e pace.
1.137Scaccia il freddo e l'umor ch'al mondo truova,
1.138Mirando Marte: e quando incontra o guarda
1.139Ben vicino il fratel, turba ogni stato;
1.140L'onda, l'aria, il terren rimuove e cangia.
1.141Colla ciprigna Dea, secondo i tempi,
1.142Umor reca e calor; pur nebbia e nevi
1.143L'autunno e 'l verno, ma soavi e piane;
1.144Ché dal regno d'Amor non cade asprezza.
1.145Col divin Messaggier, maisempre quasi
1.146Suole i giorni voltar ventosi e foschi.
1.147Tutto quel che diciam, la vaga Luna
1.148In men di trenta dì compie e rinnuova,
1.149Trapassando in viaggio or questo or quello.
1.150Ma quelli altri maggior ch'han sopra il corso,
1.151Non così spessi già, ma di più forza
1.152Fanno effetti quaggiù, secondo il loco
1.153Che si truovan tra lor, secondo il tempo
1.154Che 'l suo propio valor giungendo ad essi,
1.155Puon crescer e scemar quel ch'ave in seno.
2.1Qualunque errante in ciel incontri e guardi
2.2L'alato Ambasciador, nell'aria sveglia
2.3Sempre il rabbioso suon di Borea o Noto,
2.4O di Zeffiro o d'Euro; o torbo o chiaro,
2.5O con nevi o con piogge, come aggrada
2.6Al compagno ch'egli ha; ch'a tutti è servo.
3.1La stella Citerea, coll'avo antico,
3.2Talor raffredda il ciel, talor lo bagna,
3.3Ma dolcemente pur; ché mal si accorda
3.4Col suo secco venen nemico a tutti:
3.5Col gran pio genitor, in chiare tempre
3.6Più soave il calor, meno aspro il gielo
3.7Rende; e l'aria e la terra e l'onde insieme,
3.8Di vaghezza e d'amor tutto riempie.
3.9Al suo fero amator la fiamma e l'ira
3.10Colle piogge e col gielo ammorza o spegne:
3.11Al luminoso Sol, con fosche nubi
3.12Pregne di largo umor la vista ingombra;
3.13Forse temendo ancor, ch'un'altra volta
3.14Non l'accusi a Vulcan, se Marte alloggia.
3.15Grandini, piogge, nevi, lampi e tuoni
3.16Tempestoso e crudel ci porta Apollo,
3.17Ove incontri Saturno, ovunque il guardi.
3.18Folgori, venti, giel raddoppia in terra
3.19(Benché sì dolce sia), s'ei corre a Giove:
3.20S'al bellicoso Dio, rabbiosi e secchi
3.21E caldi fiati aviam; né stanno in posa
3.22Tra i liti sicilian l'eterne incudi.
4.1Con più terribil suon procelle e turbi,
4.2Qualor Libra o Monton pareggia i giorni,
4.3Saette al caldo ciel, poi folte nevi
4.4Quando è più breve il dì, dal quinto foco
4.5Nascon, dove ei talor rivolga il guardo
4.6Nel gran Superïor: se Giove ha in vista,
4.7Tempestoso pur vien, ventoso e torbo;
4.8Né per nuova stagion la voglia cangia.
4.9Se 'l gran padre e 'l figliuol ch'ebbero ognora
4.10Sì diverso il voler s'incontran pure
4.11O coll'occhio o col piè (che raro avviene);
4.12Torbido e grave umor, tempeste e fuoco
4.13Mandan per l'aria; e fanno al mondo fede
4.14Che mai nulla fra lor fu pace e tregua.
5.1Vuolsi saper ancor chi monti o scenda,
5.2E chi sia presso al Sol, chi sia lontano
5.3Dei celesti Animai, dell'altre stelle
5.4Che stan fisse tra lor, né cangian loco,
5.5Se non quanto le vien dal cerchio ottavo
5.6Che nei cento anni appena un passo muove.
5.7Quando al tempo novel dapprima il Sole
5.8Al felice Monton le corna indora,
5.9L'accompagnan quel dì Favonio e Coro.
5.10Poiché verso il mattin, quasi in un punto
5.11Il Corsier pegaseo si mostra e cela
5.12Tra i crin di Apollo, si rinnuova il fiato
5.13Che da settentrion le forze prende.
5.14Indi che 'l buon Frisseo si mostra in parte
5.15Scarco dal suo signor, tre giorni almeno
5.16Soglion turbi venir tra piogge e nevi.
5.17Già s'avvicina april; già verso l'alba
5.18Il crudele Scorpion la coda asconde,
5.19Che ci suol risvegliar Zeffiro ed Ostro
5.20Con minaccioso ciel: poi quando al vespro
5.21Si comincian veder tuffar fra l'onde
5.22Le figliuole di Atlante, allor ne sembra
5.23Ch'altro verno novel ci guasti aprile.
5.24Quinci che il vago Sol, montando al Tauro,
5.25S'accompagna con lor; ci dona spesso
5.26Ai crescenti arbucei soavi piogge.
5.27Quando al primo imbrunir di notte oscura,
5.28Già in orïente appar d'Orfeo la Lira,
5.29Ben minaccia il terren d'aspra procella.
5.30Se la Capra al mattin si mostra aperta,
5.31E si asconde tra i monti al tardo oscuro
5.32L'ardente Sirio, allor pruine o piogge,
5.33O 'l ciel cruccioso ci s'attenda intorno.
5.34Or si mostra il Centauro, e seco adduce
5.35Piovose nubi: e poi le sette stelle
5.36Ch'or vanno innanzi al Sol sereno e dolce,
5.37Ci rendon vento, e cel ritoglie Arturo,
5.38Che cadendo sul dì, minaccia il cielo.
5.39Qui tra i due buon German s'accoglie Apollo;
5.40E l'Aquila vien fuor ventosa e molle:
5.41Il pietoso Delfin da sera monta
5.42Coi suoi Zeffiri in sen: or nell'aurora
5.43Il suo crudo veneno asconde l'Angue
5.44Tra l'onde salse, e fa turbar il tempo,
5.45Non però sì, che col Favonio e l'Austro
5.46Non sia sommo calor: poi la Corona
5.47Della vaga Arianna, al primo aspetto
5.48Del mattutino albòr si attuffa in mare
5.49Con affanno e sudor: né lunge a lei,
5.50E nel tempo medesmo, già in occaso
5.51Va il Capricorno in parte: e 'nver la sera
5.52Si può Cefeo veder, che ci minaccia
5.53Pioggia e tempesta: e pur nel mondo sveglia
5.54Quel soffiar di Aquilon, che il sermon greco
5.55Prodromo appella, ch'a predir ci viene
5.56Che l'uno e l'altro Can che han seggio in alto,
5.57Tosto denno apparir là vêr l'aurora
5.58Con sete e rabbia: e dopo lui riprende
5.59L'Etesio il corso, e con più forza assai
5.60Ci fa il mar tremolar, crollar le fronde,
5.61Mentre che luce il Sol; poi dorme il vespro,
5.62Così la notte ancor; né cangia stilo
5.63Fino in quaranta dì. Già lassa Febo
5.64Più che mezzo il Leon, sicché ci mostra
5.65Poco avanti al mattino in mezzo il petto
5.66La sua stella maggior ch'ogni altra avanza
5.67Di possanza e d'onor; ma in quello stato,
5.68L'aer puro e seren fa torbo e fosco.
5.69Guarde il chiaro splendor ch'è il tesor primo
5.70Della vergine Astrea, che 'l nome porta
5.71Del buon vendemmiator, ch'or surge avanti
5.72Al ritornar del Sole; e 'l freddo Arturo,
5.73Già bagnando il terren, si asconde e fugge.
5.74La Donna di Etiopia, amata e culta
5.75Dal volator Perseo, nel primo bruno
5.76Si mostra in oriente, e turba il mondo.
5.77I due Pesci e 'l Monton, sotto all'occaso
5.78Discendendo al mattin, di Noto e d'onde
5.79Lascian segnati i dì che veggion giunto,
5.80Per le notti adeguar, già in Libra il Sole.
5.81Or nel tempo medesmo, al loco istesso
5.82Si attuffa irato il tempestoso Auriga
5.83Che sovente al villan fa guerra e danno.
5.84Quando al freddo Scorpion Delio ritorna,
5.85Si vede ir nel mattin con austro e pioggia
5.86Il principio del Tauro all'occidente:
5.87Or con brina o con giel caggiono in mare,
5.88Quando ci spunta il Sol, le sette stelle
5.89Ch'ei porta in fronte; e la sementa invita:
5.90Or si asconde da noi Cassiopeia
5.91Ventosa e turba; e tra ghiacciosi spirti
5.92Il lucente Scorpion la fronte scuopre.
5.93Già del canuto verno i dì son giunti,
5.94Che 'l famoso Chiron riscalda Apollo:
5.95Già minaccioso in ciel, tra piogge e venti,
5.96Quando si colca il Sol, nasce Orïone.
5.97Or quanti segni ha in ciel, quante facelle,
5.98E surgendo e cadendo, a pruova fanno
5.99Chi più nevi, tempeste e piogge adduca.
5.100Poco creda il villan, poca aggia spene,
5.101Quando va sotto il Can ch'innanzi caccia
5.102La paventosa Lepre; e quando torna
5.103L'Aquila nel mattin cogli altri insieme
5.104Ch'ai buon tempi miglior vedea la sera;
5.105E mentre scorre il Sol l'irsuto vello
5.106Del barbato Animal ch'a noi furando
5.107Sì gran spazio del dì, lo dona altrui;
5.108E mentre umidi tien gli aurati crini,
5.109Quasi rubello a noi, di Aquario in seno,
5.110Ch'ogni sforzo lassù soggiace al verno.
5.111Quando ripiglia alfin l'albergo in Pesci,
5.112Già cresce il giorno assai, che viene appunto
5.113Quando il fero Leon tutto è in occaso.
5.114Qui dal settentrion, soave spira
5.115Certo fiato gentil ch'Ornitio ha nome:
5.116Fugge Calisto allora, e fuor ci manda,
5.117Per le nevi addolcir, Favonio amato
5.118Che quanto compie in ciel la Luna un corso,
5.119Tien qui l'impero, e ci rimanda allora
5.120O dai liti affricani o d'altra parte
5.121Sopra i tetti a garrir la vaga Progne.
5.122La celeste Saetta inver la sera
5.123Pur con varie tempeste in alto sale;
5.124Quella onde già pietoso il forte Alcide
5.125Uccise il fero uccel ch'a Prometeo
5.126Il rinascente cor gran tempo rose.
5.127Poi si rivede il ciel aperto e chiaro;
5.128E sette giorni e sette al tristo sposo,
5.129Alla fida Alcïone Eolo prestare
5.130Tranquillo e queto il mar, mentre ei fra l'onde
5.131Van tessendo e formando il nido ai figli:
5.132Ma quando veggion poi che tutta appare
5.133Argo la nave in ciel; cotal gli accora
5.134La rimembranza ancor del legno antico
5.135Ove solcando già morì Ceice,
5.136Che si ascondon temendo; e 'l re dei venti
5.137Riprende il corso, e con Nettuno giostra.
6.1Or non pur il saper come e 'n qual loco
6.2Segghin le stelle in ciel, chi scenda o monti,
6.3E la forza e 'l valor di questa e quella,
6.4Pòn mostrar il seren, la pioggia e i venti
6.5Al pratico cultor, ch'appresso vanno;
6.6Ma il gran Padre del ciel pietoso ancora
6.7Al suo buon seme uman, per mille modi
6.8In aria, in terra, in mar, la notte e 'l giorno
6.9Ci dà fermo segnal del suo pensiero,
6.10Tanto innanzi al seguir, che ben si puote
6.11Molti danni schivar per chi gli ha cura.
6.12Quando tornando a noi novella Luna
6.13Mostri oscure le corna, e dentro abbracci
6.14L'aer che fosco sia; tema il pastore,
6.15Tema il saggio cultor; ché larga pioggia
6.16Debbe tutte inondar le gregge e i campi:
6.17Ma se dipinte avrà le guance intorno
6.18D'un virgineo rossor; di Borea in preda
6.19Darà la terra e 'l ciel più giorni e 'l mare:
6.20E s'al quarto suo dì ch'agli altri è duce,
6.21Lieta la rivedrem, di puro argento,
6.22Senza volto cangiar, lucente e chiara;
6.23Non pur quel giorno allor, ma quanti appresso
6.24Saran nel corso suo, sereni e scarchi
6.25E di venti e di piogge andranno intorno.
6.26Allor potrà il nocchier sicuro al porto
6.27Drizzar la prora, e scior cantando i voti
6.28A Glauco, Panopea, Nettuno e Teti.
6.29Non men ci dona il Sol non dubbi segni,
6.30Quando surge al mattin, quando s'attuffa
6.31Tra l'onde al vespro; ; e ci ammaestra e 'nsegna
6.32Qual si deve aspettar la luce e l'ombra.
6.33S'al suo primo apparir ne mostra il volto
6.34D'alcun nuovo color turbato o tinto,
6.35E i dorati capei non sparge in lungo,
6.36Ma gli annoda alla fronte, e gli inghirlanda
6.37D'un doloroso vel; sia certo il mondo
6.38Di bagnarse quel dì: ché 'l mar turbando,
6.39Ci vien Noto a trovar, mortal nemico
6.40Alle piante, alle gregge, ai culti colli.
6.41Se riportando a noi la fronte ascosa
6.42Tra spesse nubi pur, se in più d'un loco
6.43Qualche raggio veggiam romper la gonna,
6.44Spuntando intorno; o se la bianca Aurora,
6.45Lassando il suo Titon, pallida surge;
6.46Triste le vigne allor! ch'a salvar l'uve
6.47Non è il pampino assai, sì folta il cielo
6.48Con orribil romor grandine avventa.
6.49Poi quando i suoi corsier vanno all'occaso,
6.50Più si deve osservar; ch'assai sovente
6.51Suol da noi dipartir con vario aspetto.
6.52Il suo rancio color ci annunzia umore,
6.53Borea il vermiglio; e se 'l pallor dell'oro
6.54Già il fiammeggiante crin meschiato avesse
6.55Di triste macchie ancor, vedrasse il mondo
6.56Andar preda di par tra piogge e venti;
6.57Non discioglia il nocchier dal lito il legno
6.58In simil notte mai; né il buon pastore
6.59Meni, il dì che verrà, le gregge ai boschi,
6.60Né il discreto arator nel campo i buoi.
6.61Ma quando ei ci ritoglie o rende il giorno,
6.62S'ei mostra il lume suo lucente e puro,
6.63Non avrem piogge allor; ma dolce e chiara
6.64Verrà l'aura gentil crollando i rami.
7.1Così ne mostra il Sol, chi ben l'intende,
7.2Quel che la notte, il dì, l'estate e 'l verno
7.3Deggia Zeffiro far, Coro, Euro e Noto,
7.4E l'ore a noi portar serene o fosche.
8.1Or senza alta tener la vista al cielo,
8.2Mill'altri segni aviam, ch'aperto fanno
8.3Quel che ci dee venir. Non sentiam noi,
8.4Quando s'arma Aquilon per farci guerra,
8.5Sonar d'alto romor gran tempo innanzi
8.6Le selve alpestri, e minacciar da lunge
8.7Con feroce mugghiar Nettuno i liti?
8.8I presaghi dalfin fuggirse a schiera,
8.9Ove il futuro mal men danno apporte?
8.10E se dall'alto mar, con più stese ali
8.11Rivolando tornar si sente il mergo,
8.12E con roco gridar fra cruccio e tema
8.13D'un non solito suono empier gli scogli;
8.14O se l'ingorde folaghe intra loro
8.15Sopra il secco sentier vagando stanno;
8.16O il montante aghiron, poste in oblio
8.17Le native onde sue, paludi e stagni,
8.18Consideriam fra noi volando a giuoco
8.19Sopra le nubi alzarse; allor chi puote
8.20Ratto schivar il mar, si tiri al porto;
8.21E chi ne sta lontan, nei voti appelli
8.22E Castore e 'l fratel; ch'ei n'ha mestiero.
8.23Or dal notturno ciel cader vedrai,
8.24Quando il vento è vicin, lucente stella,
8.25Di fiammeggiante albor lassando l'orme;
8.26Or secchissima fronde, or sottil paglia
8.27Gir per l'aria volando; or sopra l'onde
8.28Leve piuma apparir, vagando in giro.
8.29Ma se 'nvêr l'Aquilon son lampi e fuochi,
8.30Se di Zeffiro o di Euro il ciel rintuona;
8.31Nuotan le biade allor, né fia torrente
8.32Che non voglia adeguar l'Eufrate e 'l Nilo;
8.33E bagnandosi i crin, gravose e molli
8.34Il turbato nocchier le vele accoglie.
8.35Quanti son gli animai che ti fan segno
8.36Della pioggia che vien! l'esterno grue
8.37Dalle palustri valli al ciel volando,
8.38La mostra aperta: il bue coll'ampie nari,
8.39Sollevando la fronte, l'aria accoglie:
8.40La rondinella vaga, intorno all'onde
8.41S'avvolge e cerca; e dal lotoso albergo
8.42Il noioso garrir la rana addoppia.
8.43Or l'accorta formica a ratto corso
8.44Con lunga schiera a ritrovar l'albergo
8.45Intende, e bada alla crescente prole.
8.46Puossi verso il mattin, tra giallo e smorto
8.47Talor l'Arco veder, che l'onde beve
8.48Per riversarle poi: dei tristi corvi
8.49Veggionsi attorno andar le spesse gregge,
8.50Di spaventoso suon l'aria ingombrando:
8.51Ogni marino uccello, ogni altro insieme
8.52Ch'aggia in stagno, in palude o 'n fiumi albergo,
8.53Sopra il lito scherzar ripien di gioia
8.54Veggiam sovente; e chi la fronte attuffa
8.55Sott'acqua, e bagna il sen; chi nell'asciutto
8.56S'accorca e s'alza, e ne dimostra aperto
8.57Van desìo di levarse, e dolce speme.
8.58Or l'impura cornice a lenti passi
8.59Stampar l'arena, e con voci alte e fioche
8.60Veggiam sola fra sé chiamar la pioggia.
8.61Né men la notte ancor sotto il suo tetto
8.62La semplice donzella il dì piovoso
8.63Può dappresso sentir, qualor cantando
8.64Trae dalla rocca sua l'inculta chioma:
8.65Ché 'l nutritivo umor montando in cima
8.66Dell'ardente lucerna ingombra il lume,
8.67E scintillando vien di fungo in guisa.
8.68Cotal si può veder tra l'acque e i venti
8.69Il buon tempo seren ch'appresso viene,
8.70A mille segni ancor: ciascuna stella
8.71Mostra il suo fiammeggiar più vago e lieto;
8.72E la Luna e 'l fratel più chiaro il volto:
8.73Non si veggion volar per l'aria il giorno
8.74Le leggier foglie, né sul lito asciutto
8.75Spande il tristo alcïon le piume al sole:
8.76Non coll'immonda bocca il lordo porco
8.77Or di paglia or di fien sciogliendo i fasci,
8.78Gli getta in alto, e già seggon le nebbie
8.79Dentro le chiuse valli in basso sito,
8.80Né quel notturno uccel ch'Atene onora,
8.81Già spiato del Sol l'ultimo occaso,
8.82Di noioso cantar intuona i tetti.
8.83Vedesi spesso allor per l'aër puro
8.84Niso in alto volar, seguendo i passi
8.85Della figlia crudel, per far vendetta
8.86Del suo purpureo crin: ma quella leve,
8.87Pur coll'ali tremanti il ciel segando,
8.88Va quinci e quindi, e già del padre irato
8.89Troppo sente vicin l'adunco piede.
8.90Sentonsi i corvi allor di chiare voci
8.91Empier più spesso il ciel, poi lieti insieme,
8.92Di dolcezza ripien, per gli altri rami
8.93Menar festa tra lor, ché già le piogge
8.94Veggion passate, e con desio sen vanno
8.95I figli a riveder nel nido ascosi.
8.96Già non voglio io pensar ch'augello o fera
8.97Per segreto divin prevegga il tempo
8.98Chiaro o fosco che vien, né sian per fato
8.99Di più senno o veder creati al mondo;
8.100Ma dove o la tempesta o 'l leve umore
8.101Van cangiando il sentier (ché 'l padre Giove
8.102Or con Austro or con Borea or grossa or rara
8.103Fa l'aria divenir), gli spirti e l'alme
8.104Diversi hanno i pensier che nascon dentro
8.105Dal varïar del ciel: però veggiamo,
8.106Quando torna il seren, tra i verdi rami
8.107Dolce cantar gli augei, scherzar le gregge,
8.108E più lieto apparir cantando il corvo.
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