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1.1Santo Vecchio divin, di Giove padre,
1.2Che dell'antica Italia in tanta pace
1.3Tenesti il regno, e ne mostrasti il primo
1.4Dell'inculto terren la miglior ésca;
1.5Vieni, o sommo Signor, e teco adduci
1.6Il tuo amico Bifronte che ti porse
1.7Al tuo primo arrivar, cortese e largo,
1.8Di quel che possedea la maggior parte:
1.9Vien; ché in onor di voi cantar intendo
1.10Dell'algente stagion, ch'a voi sagrata
1.11Fu per celeste dono, e notte e giorno
1.12Gli incensi, i sacrifici, i lieti canti
1.13Spende in nome di voi, Saturno e Iano.
2.1Già l'acceso Scorpion dai raggi oppressa
2.2Non sente più la venenata coda:
2.3Già il famoso Chiron vicino invita
2.4Che nell'albergo suo discenda il Sole:
2.5Già si veggion tuffar nel fosco Occaso,
2.6Pria che ritorni il dì, coll'altre cinque
2.7Taïgete e Meròpe, e 'n fronte al Toro
2.8Di tempesta e di giel ci fanno segno.
2.9Or nuove arti ritrovi, or nuovi schermi
2.10Contro all'armi del verno il buon villano,
2.11Che lo torna a ferir con nuovi assalti.
2.12Nel suo primo apparir, pensiero avaro
2.13Non ti muova ad oprar l'aratro e 'l bue
2.14Per la terra impiagar; ché troppo f"ra
2.15Il folle affaticar dannoso e grave.
2.16Pur poiché dopo lui, veloce e snella
2.17Ha seguito un viaggio in ciel la Luna,
2.18E ch'ei dell'età sua già compie il terzo,
2.19E sia il tempo seren; ben puote allora
2.20L'asciutto campicello, il colle, il monte
2.21Cominciarse a toccar; ma il grasso e molle,
2.22A più lieta stagion si serve intero.
2.23Colla vanga maggior rivolga appresso
2.24Il più caro terren; ch'ivi entro possa,
2.25Quando il tempo sarà, versare i semi
2.26Dei ventosi legumi, e d'altre assai
2.27Biade miglior che 'l vomero hanno a schivo.
2.28Poi volga il passo alla seconda cura
2.29Dei morti prati; e sopra quelli sparga
2.30Quel sottil seme che negletto resta
2.31Sotto il tetto talor ove il fien giacque.
2.32Già quel ch'ogni altro di tardezza avanza,
2.33Il buon frutto di Palla, il verde manto
2.34Volge in oscuro, e ti dimostra aperta
2.35La sua maturità che giunge a riva:
2.36Muovansi adunque allor la sposa e i figli
2.37A dispogliar l'uliva; e ponga cura
2.38Che si coglin con man, senza altra offesa;
2.39Pur quando forza sia, battendo in alto
2.40Farle a terra cader; men fia dannosa
2.41Del robusto baston, la debil canna;
2.42Ma dolcemente percotendo in guisa,
2.43Che 'l picciol ramuscel con lei non vegna;
2.44Perché vedresti poi qualch'anno appresso
2.45Steril la pianta: ed è credenza in molti,
2.46Che ciò sia la cagion ch'il più del tempo
2.47Il secondo anno sol ci apporte il frutto.
2.48Chi il dolce, più che l'abbondanza, stima
2.49In quel santo liquor, le coglia acerbe:
2.50E chi il contrario vuol, quanto più indugia,
2.51Tanto più colmerà d'olio i suoi vasi.
2.52Dênsi l'ulive poi comporre insieme
2.53In brevi monticei, ristrette alquanto;
2.54Perché il caldo tra loro affina in tutto
2.55Quella maturità, qual pensa alcuno
2.56Che sopra l'arbor suo per tempo mai
2.57Non potrebbe acquistar: così crescendo
2.58Si va dentro l'umor: ma guardi pure
2.59Di non troppo aspettar, che prenda poi
2.60E 'l sapor e l'odor ch'offende altrui:
2.61S'è pur forza indugiar, sovente il giorno
2.62L'apra e rinfreschi ventilando in alto.
2.63Cerchi a premerle poi la grave mole,
2.64Aspra quanto esser può, rigida e dura;
2.65E ben purgate pria da foglie e rami,
2.66Al pesante suo incarco le commetta:
2.67Discioglial tosto, ché dannaggio avrebbe
2.68Dalla vil compagnia dell'atra amurca,
2.69La qual non dee però gettarse indarno
2.70Dal discreto villan che sa per pruova
2.71Quanto agli arbori suoi giovò talora,
2.72E quante erbe nocenti ha spente e morte;
2.73E ch'ungendone i seggi, l'arche e i letti,
2.74I vermi ancise che lor fanno oltraggio.
2.75Quinci dentro forbiti e saldi vasi
2.76L'umor ch'è giunto al suo perfetto stato
2.77Dispensi e cuopra, e gli procacci albergo
2.78Tepido e dolce, ove trapasse il lume
2.79Del Mezzogiorno, che dell'Orse ha tema.
3.1Or la tagliente scure il buon villano
3.2Prenda, e felice i folti boschi assaglia,
3.3E le valli palustri, e i monti eccelsi:
3.4Or il frassin selvaggio, or l'alto pino,
3.5E quegli arbor miglior ch'ivi entro vede,
3.6Tronchi e ricida; e nol ritenga orrore
3.7Che si cruccino in ciel Tirintio e Giove:
3.8Ch'egli han sommo piacer che 'l buon cultore,
3.9Che sovente lor poi gli altari incende,
3.10Fermi e sostegna l'innocente albergo;
3.11E l'aratro e 'l marron, cogli altri arnesi
3.12Che tragghin dal terren più largo il frutto,
3.13De' famosi arbor suoi componga ed armi:
3.14Ché questa è la stagion che 'l freddo e 'l ghiaccio
3.15Han cacciato il vigor, constretto il caldo
3.16Sotterra addentro all'ultime radici
3.17Che d'ogni infermità dan lor cagione:
3.18E tanto più se della Luna il lume
3.19Vedrà indietro tornarse, il cui valore
3.20Toglie a Teti l'umor, non pur ai boschi.
3.21Poiché tagliati avrà, sospenda al fumo
3.22Quei che si denno armar di acuti ferri
3.23Da impiagar le campagne a miglior giorni.
3.24Gli altri ch'a fabbricar capanne e tetti
3.25Furo in terra abbattuti, alquanto tempo
3.26Seccar gli lasce, e poi gli ponga in opra.
3.27Ove non vegna umor, né scenda pioggia,
3.28Perché dolce e leggier, l'abeto è il meglio:
3.29Posti dentro al terren, la quercia e 'l cerro
3.30Più d'altri han vita; il popolo e l'ontano,
3.31Sott'acqua, o presso al rio: coperto, il faggio
3.32Molto incarco sostien: frassini ed olmi,
3.33Se lor togli il piegar, son duri e forti:
3.34Ma il robusto castagno ogni altro avanza
3.35In durar, e portar gravezza estrema;
3.36Da vestir forma in sé, per dotta mano
3.37D'onorato scultor, d'uomini e Dei,
3.38Più di tutti è richiesto il salcio e 'l tiglio,
3.39E 'l colorato busso; il mirto e 'l cornio,
3.40A far l'aste miglior possenti a guerra:
3.41Più rendevole all'arco e il crudo nasso:
3.42Sovra l'onde correnti il leggiero alno
3.43Volentier nata: e ben sovente danno
3.44Nella scorza dell'elce al regno loro
3.45L'api il gran seggio, e nel suo tronco ancora
3.46Già per soverchio umor corrotto e cavo;
3.47L'odorato cipresso in più leggiadri
3.48Delicati lavor si mette in uso;
3.49Da servar gli ornamenti e i dolci pegni
3.50D'amorosa donzella che tacendo
3.51Cela in seno il desio del nuovo sposo.
3.52Né si dee non saver come ciascuno
3.53Arbor che in quella parte i rami stese
3.54Che guarda al Mezzodì, miglior si truova:
3.55L'altro a Settentrion, più dritto e bello
3.56Si dimostra e maggior; ma il tempo in breve
3.57Scuopre difetto in lui, che 'l tutto appaga.
3.58Questo è il tempo a tagliar la canna e 'l palo,
3.59E i vincigli sottil dal lento salcio,
3.60Che sien secchi dappoi quando conviene
3.61La vite accompagnar nel nuovo incarco.
3.62Or si deggion purgar le siepi intorno,
3.63Che sien soverchie; e riportarne a casa
3.64Per l'ingordo camin l'esca novella:
3.65Quinci, senza indugiar, zappar a dentro
3.66L'util canneto, che ti porti allegro
3.67Nell'altro anno avvenir l'usata aita.
3.68Già il più vecchio letame, ch'a quest'uso,
3.69Ove la pioggia e 'l sol lo bagni e scaldi,
3.70Riponesti a finar gran tempo innanzi,
3.71Sopra i ghiacciati monti e i freddi colli
3.72Con la treggia e col bue portar si deve.
4.1Ora è l'ora miglior (chi non si sturba
4.2Da qualche opra maggior) che 'l buon bifolco
4.3In questa parte e 'n quella attorno vada
4.4Là 've il popol s'aduna ai giorni eletti
4.5Pronto al guadagno, con armenti e gregge.
4.6Ivi l'infermo bue cangi in più forte,
4.7Giungendo il prezzo; e quell'antico e tardo,
4.8Già del giogo impotente, ingrassi, e quivi
4.9Lo venda quei che ne fanno esca altrui:
4.10Dappoi qualche vitel, qualche giovenco
4.11Quasi selvaggio ancor, procacci allora
4.12Per nutrirse e domarse; acciò che in breve
4.13Quanto perdeva in quei, ristore in questo.
4.14Non si lasce invecchiar sotto l'albergo
4.15Il suo pigro asinel: guardi alle gregge,
4.16E rinnuovi tra lor chi troppo visse;
4.17Poi, per liti schifar dal mal vicino,
4.18Manifesto segnal di ferro e foco
4.19Lor faccia tal, che non vi vaglian frode.
4.20Or perché le campagne e i nudi colli
4.21Non han più da nodrir gli erranti buoi;
4.22Sotto il tetto di quei, di nuovi cibi
4.23La mensa ingombri: e perché spesso il fieno
4.24Manca in più luoghi, e per sé stesso ancora
4.25Non gli basta a tener le forze intere;
4.26Le cicerchie e i lupin, fra l'onde posti
4.27Gran tempo a macerar, con trita paglia
4.28Mischiar si deve: e se non hai legumi,
4.29Puoi la vinaccia tor, che dà vigore
4.30Non men che quelli; e vie miglior si truova
4.31La men pressa e lavata, che di vino
4.32E di vivanda in un forza ritiene;
4.33Onde lieti si fan, lucenti e grassi.
4.34Non rifiutan talor la secca fronde
4.35Della vite, dell'elce e dell'alloro,
4.36E del ginepro umil che punga meno,
4.37Colla dodonea ghianda; avvegna pure,
4.38Che scabbiosi alla fin gli può far questa.
4.39L'altre gregge minor l'istessa cura
4.40Quasi han, che quelli, alla stagion nevosa.
4.41Ma perch'oltra il cibar, conviensi ancora,
4.42Che 'l bifolco e 'l pastor pio veggia innanti,
4.43Che nulla infermità lor faccia offesa,
4.44Ma che 'l natio valor rimanga intero,
4.45Ed or più che giammai, che l'acqua e 'l gielo,
4.46E sovente il digiun, più danno reca,
4.47Che del luglio il calor; prendasi adunque
4.48Cipresso e 'ncenso ch'una notte sola
4.49Tenne sotto al terren nell'acqua immerso;
4.50E per tre giorni poi lo doni a bere
4.51Al mansueto bue: ma questo fasse
4.52Anco ai tempi miglior, non pur al verno.
4.53Chi gli spinge talor dentro alla gola
4.54Intero e crudo a viva forza un uovo;
4.55Poi l'odorato vin dove sia misto
4.56Dell'aglio il sugo, nelle nari infonde;
4.57La tristezza gli ammorza, e 'l gusto accende.
4.58Altri metton nel vino olio e marrobbio,
4.59Altri mirra, altri porri, altri savina,
4.60Altri della vite alba, altri scalogni,
4.61Chi il minuto serpillo, e chi la squilla,
4.62E chi d'orrida serpe il trito scoglio,
4.63Che scaccian tutto il mal, purgan le membra,
4.64E le fanno al lavor robuste e ferme.
4.65Ma sopra ogni altra alfin la negra amurca
4.66Per ingrassar gli armenti ha più virtude;
4.67E felice il villan che a poco a poco
4.68Gli può tanto avvezzar, che d'essa, al pari
4.69Delle biade e del fien, gli renda ingordi!
4.70Poi guardi ben, ch'al suo presepio intorno
4.71L'importuna gallina o 'l porco infame
4.72Non si possa appressar, che d'essi scenda
4.73Penna o lordura, che n'ancise spesso:
4.74Né il tuo picciol figliuol per colli e prati
4.75L'affanni al corso; ché soverchia noia
4.76Così grave animal ne sente e danno.
4.77Or che già scorge alla grassezza estrema
4.78Tra la quercia e 'l castagno il porco ingordo,
4.79Tempo è di far della sua morte lieta
4.80L'alma Inventrice delle bionde spighe;
4.81E quando gira il ciel più asciutto e freddo,
4.82Seppellirlo nel sal per qualche giorno;
4.83Trarlo indi poscia, e lo tener sospeso
4.84Ov'è più caldo e più fumoso il loco,
4.85Esca e ristoro all'affannata gente
4.86Che dai campi a posar la notte torna.
5.1Tempo è di visitar le regie soglie
5.2Dell'api al più gran giel, che dentro stanno,
5.3Né s'ardiscon mostrar la fronte al cielo;
5.4E bene esaminar se i lor tesori
5.5Sien ripieni abbastanza: ché sovente
5.6O l'avaro villan troppo ne tolse,
5.7O qualch'altro animal n'ha fatto preda;
5.8Ond'a 'l freddo e 'l digiun restano inferme.
5.9Qui non gravi al cultor di propria mano
5.10Portar nuova esca: delle arenti rose,
5.11Del cotto mosto, delle più dolci uve
5.12Che seccò nel settembre, i verdi rami
5.13Di timo e rosmarin, dell'aspra galla,
5.14Del dolce mellifil, della cerinta,
5.15Della centaurea, del fiore aurato
5.16Che gli antichi chiamâr nei prati amello,
5.17La radice di cui bollendo in vino,
5.18Vien medicina e cibo in tale stato.
6.1Or che l'opre maggior n'han dato loco,
6.2Esca il saggio cultor nei campi suoi
6.3Cogli strumenti in man, donando loro
6.4Quanto possa miglior forma e misura:
6.5Perché possa dappoi, contando seco,
6.6La sementa saper, l'opere e i giorni
6.7Ch'ivi entro ingombra; e che sicura faccia
6.8Dispensar e segnar le biade e 'l tempo.
6.9Il quadrato più val: ché non è solo
6.10Più vago a riguardar, ma ben partito
6.11In ogni suo canton, può meglio in breve
6.12Per le fosse sfogar l'onda soverchia;
6.13Purché non molto di grandezza avanzi
6.14Quel che rompe in un dì solo un bifolco:
6.15Perché il dannoso umor che troppo lunge
6.16Aggia il varco maggior, nel campo assiede.
6.17Nella piaggia e nel colle ove egli scorre
6.18Più licenzioso assai, più spazio puote
6.19Cinger d'un fosso sol: ma ponga cura
6.20Ch'ei non rovini in giù rapido e dritto;
6.21Ma traversando il dorso umile e piano
6.22Con soave dolcezza in basso scenda.
6.23Guardi poi tutto quel ch'egli ave in cura:
6.24Pensi al bisogno ben; ch'al maggior uopo
6.25Non s'avveggia il villan, che i buoi son meno
6.26Di quel ch'esser devrieno al suo lavoro.
6.27Là dove il campo sia vestito e culto
6.28Del sempre verde ulivo o d'altra pianta,
6.29Solo a tanto terren ne basta un paro,
6.30Quanto in ottanta dì solca un aratro:
6.31Ma nell'ignudo pian non gli è soverchio
6.32Lo spazio aver, che cento giorni ingombra.
6.33Pur si deve avvertir che non son tutti
6.34Simiglianti i terren: quello è pietroso;
6.35Quello è trito e leggier; quello è tenace,
6.36Che ritrar se ne può il vomero appena:
6.37Onde spesso l'oprar s'affretta o tarda;
6.38Ma la pruova e 'l vicin ti faccian saggio.
7.1Già perché spesso pur bisogno avviene
7.2O d'albergo cangiar non bene assiso,
7.3O d'un nuovo compor, che sia ricetto
7.4Del maggior tuo figliuol che già più volte
7.5Veduto ha partorir la sua consorte;
7.6E la famiglia è tal, che fa mestiero
7.7D'altra nuova colonia addurre altrove;
7.8Ora è il tempo miglior di porre insieme
7.9E la calce e le pietre e i secchi legni,
7.10Colla coperta lor, che i tetti ingombre;
7.11Così tutto condur nel luogo eletto,
7.12Perch'al bisogno poi null'altra cosa
7.13Ti convegna trovar, che l'arte e i mastri.
7.14Ma innanzi a questo far, consiglio e senno
7.15Molto convien per disegnar il sito,
7.16Che come utile e bel non truove infermo.
7.17Quel felice è da dir, che i campi suoi
7.18Di qualch'alma città non ha lontani,
7.19Che più volte raddoppia ai frutti il pregio:
7.20Poi quello ancor, che sentir puote appresso
7.21Franger Nettuno, e che serrato il vede
7.22Tra colli e scogli ove di Borea e d'Ostro
7.23Non pavente il nocchier, né tema il legno;
7.24O ch'ha fiume vicin, che il greve incarco,
7.25E scendendo e montando, in pace porte.
7.26Ma perché a questo aver, talor contende
7.27La nuda povertà dei pigri amica,
7.28Talor fortuna, che tra monti e sassi
7.29Diede il natio terren, come si vede
7.30L'industre fiorentin, che lunge ascose
7.31Intra l'alpi e i torrenti all'onde salse;
7.32Or, poiché contro al fato andar non vale,
7.33Cerchisi aver almen salubre il cielo,
7.34E fertile il terren, che sia diviso
7.35Parte in campestre pian, e parte in colli
7.36Ch'a l'Euro e 'l Mezzodì voltin la fronte:
7.37Quel, per più larga aver la sua sementa,
7.38E dar caro ricetto ai verdi prati,
7.39E la canna nutrirne, il salcio e l'olmo;
7.40Questi, per rivestir di vari frutti,
7.41E lieti consacrargli a Bacco e Palla:
7.42Altri alle gregge pur per cibo e mensa
7.43Lassarne ignudi; e per frumenti ancora,
7.44Quando piove soverchio, usar si ponno.
7.45Picciole selve poi, pungenti dumi
7.46Si den bramar, e le fontane vive
7.47Per trar la sete il luglio a gli orti e 'l fieno.
8.1E sopra tutto ben si guarde intorno
8.2Chi sia seco confin: ché minor danno
8.3Alle biade fiorite a mezzo il maggio
8.4Porta il secco aquilon, o in sullo agosto
8.5L'impia grandine a Bacco, o 'l marzo il ghiaccio,
8.6Che 'l malvagio vicino al pio cultore.
8.7Non pòn sicure andar armenti o gregge;
8.8Ch'a difender non val pastore o cane:
8.9Non può il ramo servar al tempo i frutti,
8.10Né lunghi giorni star la pianta verde;
8.11Ch'invidioso e rapace aspra procella
8.12Si può dir al terren cui presso giace.
8.13Molti han pensato già che miglior fusse
8.14Il nulla posseder, che averse accanto
8.15Chi pur la notte e 'l dì con forza e 'nganno
8.16Dell'altrui faticar si pasca e vesta.
8.17Quanti han lassate già le patrie case
8.18Per fuggir i vicin, portando seco
8.19In paese lontan gli Dei penati!
8.20Or, non si vider già sì lieti campi
8.21E l'Albano e l'Iber lasciar, fuggendo
8.22Del Nomade vicin l'inculta rabbia?
8.23Il Siculo e l'Acheo cangiaro albergo
8.24Per l'istessa cagion: quelli altri appresso,
8.25Ch'ebber in Lazio poi sì larga sede,
8.26Gli Aborigeni, gli Arcadi e i Pelasgi,
8.27Qual altra occasïon condusse allora
8.28Di lasciar il terren che tanto amâro,
8.29E trapassar del mar gli ampli sentieri,
8.30Se non l'impio furor, gli aspri costumi
8.31Dei rapaci tiranni intorno posti?
8.32Ma non pur quei che fuor d'umana legge
8.33Popoli ingiusti e rei ch'a schiera vanno,
8.34Rendon di abitator le terre scarche;
8.35Ma quei privati ancor, che pochi han seco
8.36Compagni intorno, fan non meno oltraggio
8.37A chi del suo sudor, tranquillo e queto,
8.38Cresce il paterno ben; siccome vide
8.39Già il famoso Parnasso e l'Aventino,
8.40L'Aütolico quel, questo altro Cacco;
8.41E quanti oggi ne tien l'Italia in seno,
8.42Dalle rapaci man di cui, sicuri
8.43Non pur armenti e biade, arbori e vigne
8.44Possan lì presso star; ma la consorte,
8.45Le pargolette figlie e le sorelle
8.46L'invitto animo lor, le caste voglie
8.47Ben p"n monde servar, ma non le membra!
8.48E 'l misero villan, piangendo (ahi lasso!)
8.49E di questo e di quel l'albergo in preda
8.50Di Vulcan vede; e poi si sente alfine
8.51Dal suo crudo vicin lo spirto sciorre.
8.52Or questa è la cagion, che i larghi piani
8.53Ch'Adda irriga e Tesin, che i culti monti
8.54Sopra l'Arno e 'l Mugnon, che i verdi colli
8.55Di Tebro e d'Allia, e le campagne e valli
8.56Del famoso Vulturno e di Galeso
8.57(Che già furo il giardin di quanto abbraccia
8.58Serrato da tre mar la fredda Tana)
8.59Nudi di abitator, son fatti selve;
8.60E che il gallo terren, l'Ibero, e 'l Reno
8.61Dell'italica gente ha maggior parte,
8.62Che l'infelice nido ov'ella nacque.
9.1Guardi adunque ciascun (che tutto vale)
9.2Quando vuol fabbricar, mutando albergo,
9.3E terren rinnovar, ch'ei prenda seggio
9.4Ove il frutto e l'oprar non sia d'altrui:
9.5Guardi poscia tra sé, ch'ei non si estenda
9.6Vie più là del poter coll'ampie voglie:
9.7Chi vuol troppo abbracciar, nïente stringe.
9.8Lode i gran campi, e nei minor s'appiglie
9.9Chi cerca d'avanzar; sicché il terreno,
9.10Contrastando talor, non possa mai
9.11Lui sopraffar, ma dal lavor sia vinto:
9.12Ch'assai frutto maggior riporta il poco
9.13Quando ben culto sia, che 'l molto inculto
9.14Or poich'a cominciar la casa viene,
9.15S'elegga il sito che nel mezzo sieda,
9.16Quanto esser può, delle sue terre intorno,
9.17In colle o in monticel levato in alto,
9.18Sicché possa veder tutto in un guardo.
9.19Non gli assegga vicin palude o stagno
9.20Che col fetido odor gli apporte danno,
9.21E del suo tristo umor l'aria corrompa;
9.22E che d'altri animai noiosi e gravi
9.23Tutto il cielo e la terra ivi entro ingombre.
9.24Il principal cammin lontano alquanto
9.25Si devrebbe bramar; che sempre reca
9.26Al giardino, al padron gravezza e spesa.
9.27Cerchi di presso aver la selva e 'l pasco,
9.28Perché possa ad ognor le gregge e 'l foco,
9.29Senza molto affannar, cibare il verno.
9.30Ma più che in altro, aver cura si ponga
9.31Dentro il medesmo albergo, o intorno almeno,
9.32Chiara onda e fresca di fontana viva
9.33Cui non beva l'umor l'agosto e 'l luglio:
9.34E se quel non potrà, profondo cavi
9.35Qualche pozzo o canal che l'acqua aduni
9.36Che sapor non ritenga amaro o salso,
9.37Né di loto o terren ti renda odore:
9.38E se mancasse ancor, di ampie citerne
9.39Supplisca al fallo, ove per tutto accoglia
9.40Quanta pioggia ritien la corte o 'l tetto.
9.41Così lì presso, e del medesmo umore,
9.42In qualche altro ricetto ove alle sponde
9.43S'agguaglin l'acque, per armenti e gregge
9.44Faccia al tempo piovoso ampio tesoro.
9.45Questa si vede a manifesta pruova,
9.46Ch'è più salubre all'uom dell'altre tutte,
9.47E di più gran virtude; ed è ben dritto,
9.48Se per man di Giunon ci vien dal cielo.
9.49L'altra è poi la miglior, che nata in monte,
9.50Vien ratta in basso, e per sassosi colli
9.51Il lucente cristallo e 'l freddo affina.
9.52La terza è quella che del pozzo saglia;
9.53Purché 'n valle non sia, ma in alto assisa.
9.54Quella è dappoi, che di palude uscendo,
9.55Pur così lentamente il corso prende.
9.56L'ultima alfin, che del suo basso stagno
9.57Non sa muovere un passo, e pigra dorme:
9.58Questa è maligna tal, che non pur l'uomo,
9.59Ma tutto altro animal fa infermo e frale.
9.60Or se per caso alcun ti desse il sito,
9.61Di fiume o di ruscel qualche alta riva;
9.62Prender si puote ancor; ma far in guisa
9.63Che l'uno e l'altro pur dietro all'albergo
9.64Mormorando e rigando il sentier prenda;
9.65Perché essendo davanti, offendon molto
9.66Nell'estate il vapor, la nebbia il verno,
9.67Che dal perpetuo umor surgendo in alto,
9.68Porta a l'uomo e le gregge occulta peste.
9.69Dênsi poi riguardar quanti e quai venti
9.70Son quei che 'ntorno con rabbiosi spirti
9.71Fan più danno al paese ove ti truovi;
9.72E del tuo fabbricar da' lor le spalle.
9.73Ove è l'aria gentil, salubre e chiara;
9.74A l'Orïente volta o 'l Mezzogiorno
9.75Tenga la villa tua la fronte aperta
9.76Ove sia grave il ciel, dritto riguarde
9.77Verso il settentrion l'Orsa e Boote.
9.78Ma più felice è quella, aprica e lieta,
9.79Che 'l volto tiene onde si lieva Apollo
9.80Ch'a la Libra e 'l Monton riscalda i velli:
9.81Questa offender non può il superbo fiato
9.82Di Borea e d'Austro che del ciel tiranni,
9.83Di piogge s'arma l'un, l'altro di nevi:
9.84Vie più dolci e fedei riceve il luglio
9.85L'aure soavi; e vie più tosto il verno
9.86Vede al sol mattutin disfarse il ghiaccio,
9.87E seccar la rugiada e le pruine,
9.88Le quai restando in piè, non l'erbe pure
9.89Fan passe e grame, ma gli armenti e gregge
9.90Ponno in gravi dolor condur sovente
9.91Faccia l'albergo suo, che 'n tutto agguaglie
9.92Le biade e i frutti che d'intorno accoglie,
9.93E sia quanto conviensi a quei che denno
9.94Al bisogno supplir dei campi suoi,
9.95E le mandre e i giovenchi in guardia avere:
9.96E chi 'l farà maggior che non gli chiede
9.97Il suo poco terren, sarà schernito
9.98Dal più saggio vicin; poi seco istesso
9.99Avrà sdegno e dolor, vedendo vota
9.100Di frutti e d'animai la più gran parte:
9.101E chi l'avrà minor, vedrà talora
9.102Le ricolte guastar, ché 'n sé ristrette
9.103Più che non si devea, corrotta e guasta
9.104Ne sarà parte, e parte a 'l caldo e 'l gielo
9.105Si vedrà rimaner negletta e nuda
9.106Sotto l'aperto ciel, di tutti preda:
9.107Il cornuto montone, il pio giovenco,
9.108Ch'ebber più del dover angusto il letto,
9.109Sempre afflitti saranno: il buon bifolco,
9.110Il tuo vago pastor, se non ha il modo
9.111Di la notte acquetar le membra stanche;
9.112L'un dormendo sul dì, vedrai le capre,
9.113Non cacciate d'altrui, mangiar l'ulivo;
9.114E 'l solco torto andar per mezzo i campi.
9.115Ponga tre corti pria dentro i suoi muri:
9.116Questa, per ricettar le gregge e i buoi
9.117Che ritornin dal pasco e dal lavoro,
9.118Ove d'acque ad ognor truovin ridotto:
9.119L'altra, per disgombrar le stalle e 'l tetto
9.120D'ogni bruttura loro, ed ivi addurre
9.121Il letame, le frondi e la vil paglia
9.122Che si stia a macerar l'estate e 'l verno
9.123Per al tempo ingrassar le piagge e i colli:
9.124La terza, ove più scalde il mezzogiorno,
9.125D'assetate oche, di galline ingorde,
9.126E d'altri tali uccei che son tesoro
9.127Della consorte tua, sia fatta seggio.
9.128Innanzi a tutti poi, gli alberghi faccia
9.129A' suoi cari animai che 'l membro primo
9.130Dell'ampia possession sono e gli spirti.
9.131Truovin le pecorelle il loro ostello
9.132Che temperato sia tra 'l caldo e 'l gielo,
9.133E di Zeffiro e d'Euro il fiato accoglia;
9.134Così la capra ancor: ma mezzo sia
9.135Ben serrato di sopra; e l'altro resti
9.136Sotto l'aperto ciel, di muro cinto,
9.137Per potersi goder sicure il luglio,
9.138Senza lupo temer, l'aria notturna.
9.139Doppio albergo al giovenco, acciò che pose
9.140Ove guarda Aquilon, la calda estate;
9.141E 'l verno, in quel che sia contrario all'Orse:
9.142Sia largo sì, ch'acconciamente possa,
9.143Ruminando, giacer disteso a terra;
9.144E 'l bifolco talor, quando ha mestiero
9.145Di pascerlo o nettar, girargli intorno:
9.146Ampio il presepio, e che d'altezza arrive
9.147Ove appunto si aggiunge al collo il petto:
9.148Cotal per l'asinello; e ponga cura
9.149Di edificarlo sì, ch'ivi entro pioggia
9.150Non vaglia a penetrar: lo smalto monti
9.151Verso la fronte alquanto, e scenda indietro,
9.152Acciocché nullo umor seggio ritruove,
9.153Ma discorrendo fuor vada in un punto,
9.154Né indebilisca il sito, e non ti rechi
9.155O di gregge o di armenti all'unghie offesa.
9.156Il lordo porco anch'ei truove ove porre
9.157L'aspre membra setose alla grande ombra,
9.158E mangiar le sue ghiande: ma lontano
9.159Sia pur da tutti, e 'n basso sito angusto.
9.160L'altro albergo dappoi deve in tre parti
9.161Ben distinte tra lor con dotta forma,
9.162E con misura eguale, esser diviso.
9.163La prima, in cui dimori il pio cultore
9.164Colla famiglia sua dagli altri sciolto:
9.165Nella seconda, quei ch'all'opre sono
9.166Della sua possession condotti a prezzo:
9.167L'altra, ricetto sia di quanti accoglie
9.168Dal suo giusto terren nell'anno frutti.
9.169Quella eletta per lui, componga in guisa,
9.170Che ben possa schivar l'estate e 'l verno
9.171E del caldo e del giel gli assalti feri:
9.172Là dove vuol dormir quando più neva,
9.173Guardi alla parte che nel mezzo è posta
9.174Tra l'Euro e l'Ostro; e dove debbe poi
9.175Colla famiglia sua sedersi a mensa,
9.176Addrizzi al Mezzogiorno e 'n quella parte
9.177Ove col suo Monton riscaldi Apollo:
9.178Indi che s'alza il Sol, gli estivi letti
9.179Distenda in parte che vaghegge il cielo
9.180Ch'assai presso a Boote il giro mena;
9.181E per la cena allor si toglia un loco
9.182Ch'al brumale Orïente il seno spieghi:
9.183Quella parte comun dove esso accoglie
9.184I suoi dolci vicin, gli antichi amici,
9.185E per cacciar la noia, innanzi e 'ndietro
9.186Con lenti passi mille volte il giorno
9.187Va misurando, e ragionando insieme,
9.188Guardi nel Mezzodì, coperta in modo,
9.189Che poiché 'l caldo Sol più in alto sale
9.190Ch'ove il meridïan per mezzo parte
9.191Il cerchio equinozial, non possa unquanco
9.192Ivi entro penetrar coi raggi suoi:
9.193Così avrà nel calor più fresca l'ombra,
9.194E nei giorni minor più dolce il cielo.
9.195Or quel membro ove star den tutti in uno
9.196I bifolchi e i pastor cogli altri insieme
9.197Ch'al servigio dei campi eletti furo,
9.198Aggia un gran loco dove in alto surga
9.199Il gran tetto spazioso e ben per tutto
9.200Contro agli assalti di Vulcano armato:
9.201In larghissimo giro in mezzo segga
9.202Poco alzato da terra ampio camino,
9.203Perch'il verno, da poi ch'ei fan ritorno
9.204La notte dal lavor bagnati e lassi,
9.205Faccian contenti al desiato foco
9.206Ghirlanda intorno; e ragionando, in parte
9.207Delle fatiche lor prendin ristoro.
9.208Ponga loro a dormir dove percuota
9.209Vulturno e Noto, in semplicette celle
9.210Ben propinque a le stalle, e ben ristrette
9.211Tutte fra lor, perché in un punto possa
9.212Ritrovargli il villan davanti al giorno,
9.213E scacciargli di fuor: né gli bisogne
9.214Troppo tempo gettar cercando i letti:
9.215E l'un per l'altro da vergogna spinto,
9.216E 'nvidioso al vicin, men pigro viene.
9.217Chi tien la cura lor, si faccia albergo
9.218Pur vicino alla porta, acciò che veggia
9.219Chi torni e vada, e che spiar ne possa
9.220La cagione, e garrir chi truove in fallo.
9.221Cotal della famiglia il vecchio padre
9.222Sopra quel di costui prenda dimora
9.223Per l'istessa cagion, tenendo fiso
9.224L'occhio in colui che gli governa il tutto.
9.225L'ultima parte alfin della tua villa,
9.226Con maggior cura aver si dee riguardo
9.227Che ben composta sia: ché 'n sen riceve
9.228Del tuo lungo affannar l'intero pregio.
9.229Il ricetto del vin sia in basso sito,
9.230Pur con brevi spiragli e vòlti all'Orse;
9.231Lontan dal fumo e dove scalde il foco;
9.232Non confino a citerne o donde possa
9.233Trapassarvi liquor: né presso arrive
9.234Della stalla il fetor; né sopra o intorno
9.235Di soverchio romor lo turbi offesa.
9.236Quel ch'ha in guardia il liquor da Palla amato,
9.237Pur sia in basso terren; ma caldo e fosco,
9.238Senza fuoco sentir, che assai l'aggreva.
9.239Per le biade e per gran gli alberghi faccia
9.240Nel più alto solar dove non possa
9.241Mai l'umor penetrar: e questo ancora
9.242Per finestrette anguste Borea accoglia.
9.243Chi il pavimento sotto, e 'ntorno il muro
9.244Con calce edificò, che mischia avesse
9.245Dentro al tenace sen la fresca amurca,
9.246Dai vermi predator sicuro il rende,
9.247Poi per l'ésca dei buoi, per paglia e fieno,
9.248Di ben contesti legni in alto levi
9.249Ben serrata capanna; e sia in disparte
9.250Dall'albergo disgiunta, in luogo dove
9.251Né pastor né bifolco il lume apporte.
9.252Ove si face il vin, sia sopra appunto
9.253Alla cava, s'ei può. La chiusa stanza
9.254Ove l'amara uliva olio diviene
9.255Sotto il pesante sasso, e bassa e scura
9.256E lontana da l'altre esser conviene:
9.257Ché l'odor e 'l romor fa danno a molti.
9.258Ove giace il villano, elegga accanto
9.259Qualch'ampia sala ove serrati insieme
9.260Sien gl'instrumenti suoi, che d'ora in ora,
9.261Quanto il bisogno vien, gli truovi al loco,
9.262Né convegna cercar, perdendo il giorno
9.263E l'opera miglior: ma in guisa faccia
9.264Del discreto nocchier che doppie porta
9.265Sarte, antenne, timoni, ancore e vele;
9.266E nei tempi seren le alluoga in parte,
9.267Che nel più fosco dì, tra nebbia e pioggia,
9.268Al tempestoso ciel, la notte oscura
9.269Ch'or Euro or Noto al faticato legno
9.270Percuote il fianco, e l'Aquilon la prora,
9.271Solo in un richiamar l'ha preste innanzi.
10.1Ivi in disparte sia l'aratro e 'l giogo,
10.2E più d'un vomer poi, più stive e buri,
10.3Lo stimolo, il dental; sievi il timone,
10.4Più picciol legni, ch'a grand'uopo spesso
10.5Gli ritrovò il villano in mezzo l'opra:
10.6Poi le zappe, i marron, le vanghe, i coltri,
10.7Le sarchielle, i bidenti, e quell'altre armi
10.8Onde porta il terren l'acerbe piaghe,
10.9Sian messe tutte insieme; e tante n'aggia,
10.10Che n'avanzi al lavor qualcuno ognora:
10.11Più là sien per potar gli aguti ferri,
10.12Il tagliente pennato, il ronco attorto:
10.13Doppie scure vi sien, le gravi e levi,
10.14Per tagliar alle piante il braccio e 'l piede:
10.15Delle biade e del fien le adunche falci
10.16Li sospenda tra lor; né lunge lasse
10.17Qualche pietra gentil ch'aguzze e lime,
10.18E l'incude e 'l martel, che renda il taglio:
10.19Lì, per batter il gran nei caldi giorni,
10.20Il coreggiato appenda, il cribro e 'l vaglio,
10.21La vil corba, la pala, e gli altri arnesi
10.22Da condur le ricolte al fido albergo.
10.23Ma che? voglio io contar tutte le frondi
10.24Che in Ardenna crollar fan l'aure estive,
10.25S'io mi metto a narrar quanti esser denno
10.26Gli instrumenti miglior di che il villano
10.27Tutto il tempo ha mestiero, e ch'ei si deve
10.28Procacciar e servar gran tempo innanzi?
10.29Chi porìa nominar tanti altri vasi
10.30Per la vendemmia poi? tanti altri ingegni
10.31Per ulive, per frutti? e tante sorti
10.32Sol di carrette, d'erpici e di tregge,
10.33Le quai, benché hanno albergo in altro loco,
10.34Pur saria senza lor la villa nuda?
10.35E tutti denno aver suo proprio seggio;
10.36E dal suo curator con sommo amore
10.37Rinnovati talor, più spesso visti.
11.1Ponga il forno vicin: ponga il mulino
11.2Sopra l'acqua corrente; e s'ella manca,
11.3Ponga il pigro asinel di quella in vece,
11.4Che la pesante pietra intorno avvolga.
12.1Or ch'ha l'albergo suo condotto a porto,
12.2E di quanto ha bisogno appien fornito;
12.3Già rivolga il pensiero in quei che denno
12.4Nel lavor soprastar, solcar i campi,
12.5E le gregge e gli armenti al pasco addurre.
12.6Chi non può sempre aver la vista sopra
12.7Della sua possession, ma intorno il meni
12.8Qualche causa civil, qualch'altra cura
12.9Di patria, di signor, di studio o d'arme;
12.10Si truove un curator che guarde il tutto.
12.11Non elegga un di quei, ch'essendo nato
12.12Dentro a qualche città, più tempo in essa,
12.13Che nei campi di fuor, si truovi spesso.
12.14Sia rustico il natal; né gustato aggia
12.15Le delizie civil, l'ombra e 'l riposo:
12.16E s'ancor fusse tal, che non sapesse
12.17Di dì in dì le ragion produrre in carte,
12.18Nol lascerei perciò: ché questi sono
12.19Di memoria maggior, né per sé ponno
12.20Da ingannar il signor finger menzogne;
12.21E 'l fidarse d'altrui che 'l falso scriva,
12.22Troppo periglio tien; ma indotto e rozzo
12.23Più sovente danar che libri apporta.
12.24Non sia giovin soverchio, o troppo antico;
12.25Ch'a quel la degnità, la forza a questo
12.26Abbastanza non fia: l'età di mezzo
12.27L'una e l'altra contiene, e ch'aggia sposa
12.28Che sì bella non sia, che dal lavoro
12.29Amore o gelosia lo spinga a casa;
12.30Né tal ancor, che fastidioso vegna,
12.31Ricercando l'altrui, del proprio albergo.
12.32Dai festivi conviti, e d'altrui giuochi
12.33Viva sempre lontan: non vada intorno
12.34Fuor delle terre sue, se non vel mena
12.35Il vendere o 'l comprar bestiami o biade.
12.36Non si cerchi acquistar novelli amici;
12.37Né di quel ch'egli ha in casa, sia cortese:
12.38Non inviti o riceva entro all'albergo,
12.39Se non quei del padron congiunti e fidi.
12.40Non lasce ai campi suoi far nuove strade;
12.41Ma quelle ch'ei trovò, con siepi e fosse
12.42Negli antichi confin ristrette tenga.
12.43Quel che riporta onor, grazia e bellezza,
12.44Lasci far a chi 'l paga; e solo intenda
12.45Al profitto maggior la notte e 'l giorno.
12.46Non sia nel comandar ritroso ed aspro,
12.47Ma sollecito e dolce a quei che stanno
12.48Sotto l'impero suo, ponendo lieto
12.49Sempre il primo tra lor la mano all'opra:
12.50Largo lor di mercè, di tempo scarso
12.51Per ciascuna stagion, ch'un'ora sola
12.52Del commesso lavor non passe indarno:
12.53Al più franco villan sia più cortese
12.54Di vivande talor, talor di lode,
12.55Perch'aggia ogni altro d'imitarlo ardore:
12.56Non con grevi minacce o con rampogne,
12.57Ma insegnando e mostrando induca il pigro
12.58A divenir miglior; poi rappresenti
12.59Di sé stesso l'esempio: in quella forma
12.60Che 'l saggio imperator, che 'ndietro vede
12.61Pallida e con tremor la gente afflitta
12.62Tornar fuggendo, e sbigottita il campo
12.63Al suo fero avversario aperto lascia;
12.64Che, poiché nulla val conforto e prego,
12.65Egli stesso alla fin cruccioso prende
12.66La trepidante insegna, e 'n voci piene
12.67Di dispetto e d'onor la porta, e 'n mezzo
12.68Dell'inimiche schiere a forza passa;
12.69Ch'allor riprende ardir l'abbietta gente;
12.70E da vergogna ind¢tta, e dal desio
12.71Di racquistar l'onor, sì forte l'orme
12.72Segue del suo signor, che in fuga v"lto
12.73Ritorna il vincitor del vinto preda.
12.74Della famiglia sua la fronte e 'l piede
12.75Tenga coperti ben; né contro al verno
12.76Gli manchin l'arme, ché cagion non aggia,
12.77Quando sia vento o giel, di starsi al foco.
12.78Non deve il curator vivande avere
12.79Differenti da lor, né prender cibo
12.80Se non tra' suoi villan nel campo o in casa:
12.81Ché lui compagno aver, gli fa del poco
12.82Più contenti restar, che senza lui
12.83Non farebbe ciascun del molto spesso.
12.84Vieti loro il confin dei suoi terreni
12.85Senza licenza uscir; né deve anco esso
12.86Fuor di necessità mandargli altrove.
12.87Chi far porìa ch'al sonno e alla quïete,
12.88Piuttosto ch'ai piacer, dopo il lavoro
12.89Dessero il tempo suo, più sani e lievi
12.90E forti al faticar gli avrebbe molto.
12.91Deve il buon curator vender assai;
12.92Poco o nulla comprar, sebben vedesse
12.93Certo il guadagno e doppio: ché tal cura
12.94Lo fa spesso obliar quel che più vale,
12.95E 'ntricar la ragion col suo signore.
12.96Piuttosto impieghi, se gli avanza, il tempo
12.97A 'mparar dal vicin con quale ingegno
12.98Fe la terra ingrassar ch'avea sì magra;
12.99O con qual arte fa che i frutti suoi,
12.100Quando gli altri hanno i fior, sien già maturi.
12.101Doni alle gregge umìli un tal pastore,
12.102Che diligente, parca, e 'ntesa all'opra,
12.103Più che robusto il corpo, aggia la mente.
12.104Di spaventosa voce, alto e membruto
12.105Prenda il bifolco, che bene entro possa
12.106Portar l'aratro, e maneggiar la stiva,
12.107E per forza addrizzar, s'ei torce, il solco;
12.108Poi d'orribil clamor l'orecchie empiendo,
12.109Del suo timido bue più spesso affrette,
12.110Che battendo o pungendo, il lento piede:
12.111E sia di mezza età; ché quinci o quindi
12.112Non gli vole il pensier, ma fermo il tenga.
12.113Di più giovin valor, quadrato e basso,
12.114Si sceglia il zappator: ma in quel che deve
12.115Piante e vigne potar, l'amore, il senno,
12.116La pratica, il veder, gli aguti ferri
12.117Più si den ricercar, che 'l corpo e gli anni.
12.118Servi il dritto a ciascun, né prenda speme
12.119Di tener l'opre rie gran tempo ascose:
12.120Sia sempre verso il Ciel fedele e pio;
12.121Guardi le leggi ben, né venga all'opre
12.122Contra i comandi suoi nei festi giorni:
12.123Né gli lasce ir però del tutto indarno
12.124Dietro a folli piacer; ché in essi ancora,
12.125Senza offender lassù, può molto oprare.
12.126Poiché son visitati i sacri altari,
12.127Già non ti vieta il Ciel seccare un rivo
12.128Che può il grano inondar; drizzar la siepe
12.129Che 'l vento o 'l viator o 'l mal vicino,
12.130Per furar il giardin, per terra stese;
12.131Non le gregge lavar, che scabbia ingombre;
12.132Non le fosse mondar, purgar i prati;
12.133Non sospender talora i pomi e l'uve,
12.134O l'ulive insalar; né trarre il latte,
12.135E 'l formaggio allogar che in alto asciughi;
12.136O 'l suo pigro asinel d'olio e di frutti
12.137Carcar talvolta, e che riporte indietro
12.138Dalla antica città la pece e 'l sevo;
12.139E molte cose ancor che nulla mai
12.140Vietò religion. Poi gli altri giorni
12.141Che la legge immortal concede a tutti
12.142L'uscir fuori al lavor, ma cel contende
12.143L'aria che noi veggiam crucciosa e fosca
12.144Di piogge armarse, che nel sen gli spinge
12.145Dal suo nido affrican rabbioso Noto;
12.146Non si dee in ozio star sotto al suo tetto;
12.147Ma le corti sgombrar, mondar gli alberghi
12.148Delle gregge e dei buoi, condur la paglia
12.149Nel fosso a macerar per quello eletta;
12.150Il vomero arrotar, compor l'aratro;
12.151Or tutti visitar gli arnesi, e i ferri
12.152Rammendar, e forbir chi n'ha mestiero:
12.153Or il torto forcon col dritto palo
12.154Aguzzar e limar; or per la vigna
12.155I vincigli ordinar dal lento salcio;
12.156Or gli arbori incavar, che sien per mensa
12.157Del porco ingordo, o per presepio al toro:
12.158Poi per la sua famiglia or seggi or arche
12.159Pur rozzamente far, che sien ricetto
12.160Del villesco tesoro, or ceste or corbe
12.161Tesser cantando; or misurar le biade,
12.162E i numeri segnar; or dell'alloro,
12.163Or del lentisco trar l'olio e 'l liquore
12.164Per gli armenti sanar da mille piaghe.
12.165Or, che vogl'io più dir? ché tante sono
12.166L'opre che si pon far quando è negato
12.167Dall'avversa stagion toccar la terra,
12.168E ch'al tempo miglior son poscia ad uopo,
12.169Ch'io nol saprei narrar con mille voci:
12.170Ma tutte al curator saranno avanti
12.171Quando vorrà pensar che l'ozio è 'l tarlo
12.172Che le ricchezze, il cor rode e l'onore,
12.173E di scherno e di duol compagno e padre.
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