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LIBRO SECONDO.

Della coltivazione

PoeTree.it

1.1lma cortese Dea che 'l verde e i fiori
1.2Coll'aurato color conduci al frutto,
1.3E dài larga mercede a chi bene opra;
1.4Porgi aiuto al mio dir: ché vedi omai,
1.5Ch'al tuo nuovo apparir fuggita è Clori
1.6Con la sorella sua, la vaga Flora;
1.7Talché tu sola sei di noi sostegno.
1.8E tu, Madre onorata, che lasciasti
1.9Per consiglio divin la figlia sposa
1.10Al suo gran rapitor, del tutto erede;
1.11Vien' meco a dimorar nel tuo bel regno:
1.12Ch'or che in alto sta il sol, ch'egli arde il giorno,
1.13Tra i più lieti villan, discinto e scalzo,
1.14Velato il capo sol delle tue spighe,
1.15Qui cantar m'udirai per campi e piagge
1.16L'altere lodi tue, purché tu voglia,
1.17Quando il bisogno fia, compagna farte.
1.18Vien' tosto, vieni a noi succinta e snella;
1.19Né quella bionda treccia oggi si sdegni
1.20Di talor sostener la corba e 'l vaglio
1.21E gli altri arnesi tuoi: non tardar molto;
1.22Che già ti chiaman le campagne e i colli,
1.23Ch'hanno all'ultimo dì condotto il parto
1.24Per riposarlo poi nel tuo gran seno.
1.25Tu, d'Anfriso pastor, a parlar nosco
1.26Non ti gravi il venir; ch'io sento ancora
1.27D'amoroso muggito empier le valli,
1.28E le spose chiamar gli armenti tuoi.
2.1Quando montando il sol si lascia indietro
2.2Il cornuto animal ch'addusse Europa
2.3Dentro all'onde salate; e 'n sen rifugge
2.4Dei duo chiari fratei, di Leda figli;
2.5Prenda il buon metitor la lunga falce,
2.6E degli erbosi prati il frutto accoglia:
2.7Ma guardi prima ben se tutti avranno
2.8Al suo maturo fin rivolti i fiori;
2.9Ne s'indugi però, che i troppi giorni
2.10Faccian d'essi piegar le spoglie a terra:
2.11Ché quel verria ripien di van liquore;
2.12E 'l notritivo umor quell'altro perde.
2.13Quando il tempo talor n'affretta e 'l loco,
2.14Non si deve spregiar colui che 'nsegna
2.15Ch'a migliore stagion le stoppie e i prati
2.16Nella tacente notte, alla fredda ombra,
2.17Del suo ferro fatal sentan la piaga:
2.18Pur, quando avvampa il dì, quando è più chiaro,
2.19Che sospetto non sia di pioggia o nebbia,
2.20Conforto il segator; e s'egli avviene
2.21Che improvvisa talor tempesta assaglia,
2.22Non l'ardisca toccare infin che torni
2.23Con più possanza il sol ch'asciughe il tutto.
2.24Quel che giacque di sotto, in alto volga;
2.25E procuri sì ben, che molle intorno
2.26Da nulla parte sia: ché fòra in breve,
2.27Con tristissimo odor, corrotto e guasto.
2.28Né lasci anco venir secchezza estrema;
2.29Ché 'n brevissimo andar fia trita polve.
2.30Poi il chiuda in parte ove temer non possa
2.31Il piovifero autunno, o 'l freddo verno:
2.32E dove manchi altrui capanna o tetto,
2.33Serrilo tutto in un, di meta in guisa,
2.34Sicché l'onda che vien, non trovi seggio,
2.35Anzi rotando in giù sì tosto caggia,
2.36Che quel poco lassù sia scudo al molto.
2.37Poi drizze il passo, ove all'uscir del verno
2.38Senza spargersi seme andò l'aratro:
2.39E si ricordi allor, che questa è l'ora
2.40Di dar traversa la seconda riga
2.41A i colli e i campi, che la terza poi
2.42Denno aspettar quando il signor di Delo,
2.43Compito il maggior dì, ritorna indietro.
2.44I primi a tutti sien gli acquosi e grassi,
2.45In cui l'erba peggior più forza prende.
2.46L'aspra lappola vil, l'inutil felce,
2.47L'importuna gramigna, e l'empio rogo,
2.48Pria ch'il nascente fior si volga in seme,
2.49Tanto adopre il poter, ch'aperte al cielo
2.50Mostrin tutte quel dì le sue radici.
2.51E mentre egli opra tal, la sua famiglia
2.52Con semplici sarchielle attorno mande
2.53Svegliendo quel che tra 'l frumento acerbo
2.54Noioso accresce, e la ricolta mischia.
2.55Gli altri campi felici, in cui si veggia
2.56L'alme biade ondeggiar come il mar suole;
2.57Poich'il tenero fior pendente scorga
2.58Nel sommo ancor della non ferma spiga,
2.59Se da mille erbe o più sentisse offesi,
2.60Non gli soccorra allor, ché tutto nuoce,
2.61Né si deggion crollar da parte alcuna.
2.62Preghi divoto pur Eolo e Giunone,
2.63Che ritenghin lassù la pioggia e 'l vento:
2.64Poi con buono sperar disegni il loco
2.65Ove al maturo dì cantando scarche
2.66Dei suoi frutti miglior l'arida spoglia.
3.1Al fido albergo suo, quanto esser puote,
3.2Prenda il saggio villan l'aia più presso,
3.3Per meno affaticar chi carco viene
3.4Di monde biade, e men sospetto avere
3.5Il mal vicin che dell'altrui si pasce;
3.6Purché sotto non sia giardino o pianta
3.7Che si deggian pregiar; che tutto ancide
3.8La sottil paglia e le pungenti reste
3.9Che 'n su le verdi fronde il vento spinge.
3.10Sia in alto assisa, e d'ogni parte possa
3.11L'aura tutta sentir; né monte o colle,
3.12D'alcun luogo che spiri, occupe il fiato.
3.13Sia la forma ritonda: il mezzo in suso
3.14Pur con misura egual s'elievi alquanto.
3.15Chi la potesse aver di vivo sasso,
3.16Ben felice saria; ma perché avviene
3.17Questo raro o non mai, le pietre e l'erbe
3.18Pria sveglia ivi entro, e tritamente poi
3.19Batta il terreno, e 'n ogni parte adegui.
3.20Poi di putrida morchia il tutto sparga,
3.21E la lasse scaldar più giorni al sole:
3.22Questa chiude il terren; questa è veneno
3.23Alla notturna talpa, al topo ingordo,
3.24Alla terrestre botta, a tutti quelli
3.25Vermi crudei ch'a depredar son pronti
3.26Le fatiche d'altrui; questa è cagione
3.27Che null'erba nocente ivi entro nasce.
3.28Poi pigli un tronco, ove talor si truove,
3.29Di marmorea colonna, e non perdoni
3.30Al suo stato real, se fu sostegno
3.31D'acquidotti alcun dì, d'archi e teatri:
3.32Vada rotando pur di parte in parte,
3.33Tal che, s'altro riman, del tutto spiani.
3.34Or s'apparecchi ogni uomo al miglior punto:
3.35Che lo smeraldo fin si è volto in oro.
3.36Già puoi sentir le biancheggianti spighe,
3.37Che alle dolci aure percotendo insieme
3.38Con più acuto romor chiaman la falce:
3.39Già risveglian altrui, ch'accoglia il frutto
3.40Della sementa sua, né troppo attenda;
3.41Ché 'l soverchio aspettar, soverchio offende.
3.42Parte di mille augei diventa preda;
3.43Parte all'estivo Sol s'astringe e 'ncende,
3.44E 'l già troppo maturo in terra cade.
3.45Quanto temer si denno, in tale stato,
3.46Grandini e piogge e tempestosi torbi!
3.47Non si fidi il villan nel lungo giorno;
3.48Ché non ha legge il ciel fra noi mortali.
3.49Quante volte già fur, ch'al dì sereno,
3.50Laddove nulla nube il ciel velava,
3.51Vidi in un punto solo i venti e 'l mare
3.52Con sì crucciosa fronte a guerra insieme,
3.53Ch'ei parea che Nettuno andasse in alto
3.54Per furar al fratel le stelle e 'l seggio!
3.55E 'l buon nocchier che sulla poppa assiso
3.56Pur or cantando a suo diporto stava,
3.57La voce e 'l fischio poteo trarre appena
3.58Per porre in basso la gonfiata vela,
3.59Ch'ei si trovò così dall'onde involto!
3.60Il pio cultor che rendea grazie a Dio
3.61Che delle sue fatiche il premio addusse;
3.62Né più, stolto, temea periglio o danno;
3.63Vide in un punto le mature biade
3.64(Mentre aguzzava ancor la falce e i ferri)
3.65Della rabbia del ciel, dei venti preda,
3.66Giacerse in terra: come spesso avviene,
3.67Poi ch'hanno insieme due nimiche schiere
3.68L'empio ferro e la man di sangue tinta;
3.69Che l'incerta vittoria or quinci or quindi
3.70Con simulato amor più volte ha corso:
3.71Stanca alfin di mirar, l'arme riprende
3.72Per la parte miglior che 'n fuga volge
3.73L'aspro avversario; onde veder si puote
3.74Con miserabil suon per terra steso
3.75Chi colla fronte in giù, chi al ciel supino;
3.76E 'l nuovo peregrin che i campi scorge
3.77Sì di morti ripien, di sangue rossi,
3.78E serrato il cammin, nel volto tinto
3.79Di spavento e pietà, rifugge indietro.
3.80Come adunque il villan dappresso vede
3.81Biancheggiar le campagne, il braccio stenda,
3.82E cominci a segar le sue ricolte:
3.83Né si lasce indurar del tutto il grano;
3.84Ch'entr'alle biche, e nell'albergo poi
3.85In grandezza e bontà ricrescer suole.
4.1Son di mieter più modi. Altri hanno in uso
4.2(Come i nostri Toscan) dentata falce
4.3Che di novella luna in guisa è fatta,
4.4Arcata e stretta; e colla man si prende,
4.5Quasi spada il guerrier, tra l'elsa e 'l pome:
4.6Colla sinistra poi si giunge insieme
4.7Quante puoi circondar col pugno spighe;
4.8E segando le paglie or alte or basse
4.9(Come chiede il voler), in un raccoglie
4.10Picciol fascetti, e coll'istesse biade,
4.11Quanto più ferme può, rattorce e lega.
4.12Altri ch'han le campagne aperte e piane,
4.13E le biade più rare; e l'erba e 'l fieno
4.14Hanno in uso maggior che paglia o strame;
4.15Con carri alati e di rastrelli in guisa,
4.16Van raccogliendo sol le somme spighe,
4.17Le quai soglion servar sotto i suoi tetti
4.18Nel più gran verno, ove di giorno in giorno,
4.19Quando il bisogno viene, a parte a parte
4.20Colle sue verghe in man scuotono il grano.
4.21Altri han vari instrumenti: e 'n somma sono
4.22Pur, secondo i lor siti, attati in modo,
4.23Ch'ogni usanza che sia ritorna in una.
4.24Quei primi adunque che la paglia insieme
4.25Colle spighe han segata, i picciol fasci
4.26In molti monticei compongan tutti,
4.27Ch'ei non possin sentir tempesta o pioggia,
4.28Poiché scaldati sian d'alquanti Soli,
4.29Nel cocente vapor gli apporte all'aia.
4.30Ivi il basso cultor dei pochi campi
4.31Coi coreggiati in man batter gli puote
4.32Con più vantaggio assai: ma il buon villano
4.33Che grassissime avrà le sue ricolte,
4.34Sotto il fervente dì con più prestezza
4.35Gli stenda in terra, e da' suoi stessi armenti
4.36Faccia in giro calcar la paglia e 'l grano;
4.37E fia molto miglior, s'il modo avesse,
4.38Il veloce caval che 'l lento bue;
4.39E se ne fusser pochi, intorno meni
4.40Quante più larghe puote erpici e tregge,
4.41Ove un solo animal per molti adopra.
4.42Qui preghi il ciel che del suo fiato mande
4.43Per poter rimondar, gittando in alto,
4.44Il battuto frumento: e d'ogni vento,
4.45Favonio è il primo; ch'all'estivo tempo
4.46D'una dolcezza ugual perpetuo spira.
4.47Ma s'ei mancasse pur, follia sarebbe
4.48Troppo aspettarlo: ch'a sì gran bisogno,
4.49Di qualunque altro sia prendiamo aita.
4.50Or se l'aria, la terra e 'l mar d'intorno
4.51Con tranquillo silenzio avesser pace,
4.52Né si vedesse in ramo muover foglia,
4.53Né l'onde alzarse; come avvien talora,
4.54Quando Ciprigna nella conca aurata
4.55Tra i bei candidi cigni a suo diporto
4.56Il salato sentier rigando solca;
4.57Sia presto il cribro, e per sé stesso adopre:
4.58Ché dopo lunga pace è più sospetta
4.59Del ciel la guerra che 'n un punto solo
4.60Faccia vano il lavor d'un anno intero.
4.61Chi, per util maggior, più tempo cerca
4.62Servarlo intero, vie più metta cura
4.63Ch'ei sia due volte e tre vagliato e mondo:
4.64Che l'inutil gorgoglio e gli altri vermi,
4.65Ove purgato è più, men fanno oltraggio.
4.66Chi negli acconci suoi di punto in punto
4.67Per la pia famigliuola il prende in uso,
4.68Più non s'affanni, e pur contento sia
4.69Ch'ei si rinfreschi alquanto a l'ombra e l'"ra;
4.70Poscia il riponga al destinato albergo.
4.71Qui la cara consorte, i suoi germani,
4.72La vecchia madre ancor, l'antico padre
4.73(S'ei fusse in vita allor) s'accinga all'opra;
4.74Ch'ogni uom deve aiutar chi a casa porta.
4.75Questo misuri il gran; quello apra il sacco;
4.76Quest'altro il prenda, e l'attraversi al dorso
4.77Del suo pigro asinel; quell'altro il punga,
4.78E con grida e rampogne il cacci e guidi.
4.79Con prestezza minor, con maggior soma
4.80Altri intenda a menar le tregge e i buoi:
4.81L'altro il discarche, e sopra il collo il porte
4.82Nel più alto solaro ove non vada
4.83L'importuna gallina e gli altri uccelli.
4.84Come talor veggiam per lunga riga
4.85Le prudenti formiche innanzi e 'ndietro
4.86Or andar or venir dal chiuso albergo
4.87A i campi e i colli che involando vanno;
4.88Chi tien la preda in sen, chi l'ha deposta,
4.89Chi ricercando ancor novello incarco
4.90Va quinci e quindi, perché poi non manche,
4.91Quando il verno le assal, l'amato cibo
4.92Per sostenersi: e cotal sembri allora
4.93Col felice signor la sua famiglia.
4.94L'altre biade più vil, gli altri legumi
4.95E segando e battendo, il proprio modo
4.96Tener si dee che del frumento istesso.
4.97Qual felice nocchier che lunge avendo
4.98Di peregrine merci il legno carco,
4.99Già compito il cammin tra mille e mille
4.100E di scogli e di mar perigli estremi,
4.101Lieto in porto si trova, e i voti scioglie
4.102A Glauco e Panopea, mostrando aperte
4.103A chi più caro il tien le sue ricchezze;
4.104Tal coi dolci vicin, coi suoi congiunti
4.105Qui s'allegre il villan, qui grazie renda
4.106Alla spigosa Madre, agli altri Dei
4.107Che negli aperti campi il seggio fanno.
4.108Poiché in sicura parte accolta vede
4.109Dei suoi primi desir la maggior parte,
4.110Colla sua famigliuola a l'ombra e 'l verde
4.111L'ampia ricolta sua si goda in pace.
4.112Non ai superbi regi, ai duci invitti
4.113Aggia invidia tra sé, né speri in terra
4.114Ritrovar, più del suo, diletto e gioia.
4.115Pur gli sovvenga poi, che non han fine
4.116Le fatiche e i pensier del buon cultore;
4.117Né sol basta curar le biade e 'l grano:
4.118Ché non consente il Ciel, ch'un uom mortale,
4.119Senza mille sudor, mille alti affanni,
4.120Meni i suoi giorni, e pigramente avvolto
4.121Neghittoso nel sonno indarno viva.
5.1Non soleva il bifolco innanzi a Giove
5.2Coll'aratro impiagar le piagge e i colli;
5.3Non misura, o confin di fosso o pietra
5.4Dividean le campagne: ivi ciascuno
5.5Prendea il frutto comun: l'antica Madre,
5.6Senza fatica altrui, nodriva i figli:
5.7D'aure soavi e di dolcezza colma
5.8Era l'aria ad ognor: e 'l cielo intorno
5.9Sempre menava i Sol tepidi e chiari:
5.10Avea di frutti e fior, d'erbe e di fronde
5.11In un medesmo tempo il sen ripieno,
5.12Senza tempre cangiar, l'aprica terra:
5.13Davan le querce il mel; correano i rivi,
5.14Pur di latte e di vin le sponde carchi.
5.15Poiché crescendo, e del suo regno a forza
5.16Scacciò il sacro figliuol l'antico padre,
5.17Tutto in un punto si rivolse il mondo;
5.18E come esser solea per tutto eguale,
5.19Intra cinque confin diviso il feo.
5.20Ai duoi più lunge e che più in alto stanno,
5.21E più veggion vicin l'un polo e l'altro,
5.22Sì la strada del Sol lontano pose,
5.23Che di nebbia e di giel son preda eterna.
5.24Quel ch'in mezzo restò, sì sopra scorge
5.25Il bel carro di Febo e i suoi destrieri,
5.26Che non può sostener la luce e 'l foco.
5.27L'altre due parti a cui più visse amico,
5.28Infra 'l mezzo e l'estremo in guisa accolse,
5.29Che le nevi, il calor, la notte e 'l giorno
5.30Non pon loro, alternando, oltraggio fare.
5.31A noi diede il veder l'Orse e Boote
5.32Che non si attuffa in mar, ma intorno gira
5.33Sopra i monti Rifei, dal freddo Scita,
5.34Ove pose Aquilon l'altero seggio.
5.35L'altro, di tutto il ciel sostegno fisso,
5.36Sotto il nostro terren s'asconde in loco
5.37Ove sol pare a chi gelato e secco
5.38Può ben l'austro sentir, ch'a noi fa pioggia.
5.39Quinci adunque ci pose; e tolse Giove
5.40Quella prima dolcezza e quella pace,
5.41In cui senza affannar vivea ciascuno
5.42Mentre il vecchio Saturno il regno avea:
5.43Tolse alle fronde il mele, e 'l latte e 'l vino
5.44Tolse ai rivi correnti; ascose il foco;
5.45Fe il lupo predator dell'umil gregge,
5.46Dei colombi il falcon, dei cervi il tigre,
5.47E dei pesci il delfino; ai negri serpi
5.48Diede il crudo veneno; ai venti diede
5.49L'invitta potestà d'empier il cielo
5.50Di rabbioso furor, di pioggia e neve,
5.51E di franger il mar tra scogli e lidi,
5.52All'estate il seccar le frondi e l'erbe,
5.53E l'aprir il terreno; al verno diede
5.54Lo spogliar, l'imbiancar le piagge e i monti,
5.55E col canuto giel legare i fiumi.
5.56Poi, per sempre tener l'ingegno aperto
5.57Del miser seme umano, ascose l'esca
5.58Sotto la dura terra, onde non saglia
5.59Fuori all'aperto ciel, se in mille modi
5.60Non la chiama il cultore; e 'ntorno pose
5.61Mille vermi crudei, mill'erbe infeste,
5.62E di Soli e di giel perigli estremi.
5.63L'aspra necessità, l'usanza e 'l tempo
5.64Partorir di dì in dì l'astuzia e l'arte;
5.65Fu ritrovato allor versare i semi
5.66Tra i solchi in terra; e per le fredde pietre
5.67Fu ritrovato allor il foco ascoso:
5.68Allor prima sentîr Nettuno e i fiumi
5.69Gli arbor cavati, e poi di merce carchi:
5.70Allor diede il nocchier figura e nome
5.71A le stelle lassù; conobbe allora
5.72La fida Tramontana, il Carro e l'Orse:
5.73Allor tra i boschi le correnti fere
5.74Fu trovato il pigliar con lacci e cani;
5.75E la forza e gl'inganni ai levi augelli,
5.76Di rapaci falcon, di visco e ragne;
5.77E l'annodate reti ai muti pesci:
5.78Fu ritrovato il ferro; e lungo tempo
5.79Venne ad util d'altrui; poi tosto crebbe
5.80Il desir di regnar, l'invidia e l'ira
5.81Ch'a le morti e 'l furor lo volse in uso:
5.82Poi con danno maggior l'argento e l'oro,
5.83Per le Furie infernal da' regni stigi
5.84Riportato nel mondo, apparve allora:
5.85Venne il lascivo amor, di cui veggiamo
5.86I giovinetti cor preda e rapina.
5.87Ma che deggio io più dir? non venne allora
5.88Qui mandata dal Ciel coll'empio vaso
5.89L'empia Pandora a chi pensava indarno
5.90Di poter contro a Giove avere scampo?
5.91Indi venner del tutto, e tutto intorno
5.92Empier quanto contien la terra e 'l mare,
5.93I difetti mortai, gl'inganni e i frodi,
5.94Il simulato amor, gli odii coverti,
5.95L'allegrezza del mal, del ben la doglia,
5.96Che si scorge in altrui; tante altre pesti,
5.97Ch'a dir poco saria terrena voce.
5.98Ahi cieco seme uman! se tu vedessi
5.99In quante, lasso! stai miserie avvolto,
5.100Tal sovente di te pietade avresti,
5.101Che bramando il morir, nemico estremo
5.102Il tuo giorno natal più d'altro f"ra.
5.103Perché, stolti, cerchiam ricchezze e stato?
5.104Perché, folli, portiam supremo onore
5.105A chi tien più d'altrui terreno e impero?
5.106Deh perché pur cerchiam che lunga sia
5.107Questa vita mortal che in un sol giorno,
5.108Come nasce un fanciul, viene a vecchiezza,
5.109E d'oscura prigion per morte fugge?
5.110Ma poiché la natura e 'l cielo avaro
5.111Con queste condizion n'ha posti in terra,
5.112Usar ce le convien: ché 'n vano adopra
5.113Contro a loro il poter l'ingegno umano.
5.114Vie più saggio è colui ch'il dorso piega
5.115All'incarco mondan con meno affanno,
5.116E senza calcitrar soggiace al fato,
5.117E prende al faticar più bel soggetto.
5.118Nessun pensi tra sé, che l'ozio e 'l sonno,
5.119Lo star la notte e 'l dì tra i cibi e Bacco,
5.120Possin leve tornar quel che n'aggreva:
5.121Anzi, s'ei cerca ben, null'altro fia,
5.122Ch'alla soma mortal più peso aggiunga.
5.123Son le membra per lor sì frali e 'nferme,
5.124Ch'al fiorir dell'età tornan canute:
5.125Poi, qual punger poria più aguta spina,
5.126Che 'l sentirsi talor nel loto involto,
5.127Coi più vili animai vivendo a paro?
5.128E rimirar lassù l'estrema altezza
5.129Che mostrandoci ognor forme sì vaghe,
5.130Con sì dolci ricordi a sé ne chiama?
5.131Nessun lasci andar via, vivendo a voto,
5.132Quel che senza tornar trapassa e vola:
5.133In qualch'opra gentil dispense il tempo,
5.134Ove l'inchinan più natura ed arte;
5.135Onde a cosa immortal più s'assimiglie.
5.136Quel coll'armata man (se 'l ciel lo spinge)
5.137Del suo natio terren difenda i lidi
5.138Dal nimico crudel: quell'altro, in pace,
5.139A' suoi buon cittadin ricordi e mostri
5.140Come giustizia val, com'ella è sola
5.141Che mantien libertà sicura e lieta:
5.142Quell'altro spieghi in onorati inchiostri
5.143Le cagioni e 'l cangiar del corso umano:
5.144Stenda l'altro, scrivendo, i fatti illustri
5.145Di quei nostri miglior mille anni innanzi:
5.146E chi non trova pur, qual brama, aita
5.147O di Marte o di Febo, al buon Saturno
5.148Ratto il passo rivolga, e meco vegna
5.149Coll'aratro, col bue, cogli altri ferri
5.150A rigar il terreno, a versar biade
5.151Che raddoppien più volte il seme e 'l frutto.
6.1Prenda al suo bene oprar la gente umana,
6.2Glorïoso Francesco, in voi l'esempio;
6.3E vedrà come in vano ora o momento
6.4Non lasciate fuggir dei vostri giorni:
6.5Ch'ora all'armi volgete, ora alle Muse
6.6L'intelletto real ch'a tutto è presto;
6.7Ora al santo addrizzar le torte leggi,
6.8Come più si conviene a 'l tempo e 'l loco,
6.9Ora al bel ragionar di quei che furo
6.10Più d'altri in pregio; e terminar le liti,
6.11Con dotto argomentar, dei saggi antichi.
6.12Così meno a passar n'aggreva il tempo;
6.13Così dopo il morir si resta in vita,
6.14E più caro al Fattor si torna in cielo.
6.15Ma perché io sento già chiamar da lunge
6.16Il pampinoso Bacco, e dir cruccioso,
6.17Che troppo indugio a dar soccorso omai
6.18All'arbor suo che nella prima estate
6.19Da mill'erbe nocenti intorno offeso,
6.20Senza l'aiuto altrui si rende vinto;
6.21Per divisar ritorno al buon cultore,
6.22Quel che deggia operar, pur ch'a voi piaccia
6.23L'alte orecchie reali avere intente.
7.1Poiché rimonta il Sol tra i due Germani,
7.2Già la seconda volta armato saglia
7.3L'invitto zappator; né sia cortese
7.4A chi fura alla vigna il cibo e 'l latte;
7.5Ma con profonde piaghe al ciel rivolga
7.6Di quell'erbe crudei l'empie radici
7.7Che negli altrui confini usurpan seggio:
7.8E ciò far si conviene innanzi alquanto
7.9Ch'ella mostri i suoi fior; ché allora è schiva
7.10Di qualunque crollando ivi entro vada.
7.11Ma guardi prima ben, che dentro o fuore
7.12Non sia molle il terren, che troppo nuoce:
7.13Poi con amica man d'intorno sveglia
7.14Le frondi al tronco, che soverchie sono,
7.15O che chiudan del Sol la vista all'uve.
7.16Così del tralcio la più acuta cima
7.17Coll'unghie spunti, perché meglio intenda
7.18Quella virtù che si sperdeva in alto,
7.19A nutrir e 'ngrossar gli acerbi frutti.
7.20Or poiché giunto al suo più degno albergo
7.21Della Fera nemea si sente Apollo,
7.22E che 'l celeste Can rabbioso e crudo
7.23Asciuga e fende le campagne e i fiumi;
7.24Quando il crescente raspo a poco a poco
7.25Già si veste il color aurato o d'ostro,
7.26La terza volta alfin ratto ritorni
7.27A rivolger la terra il buon cultore,
7.28Perch'al suo maturar s'affrette il tempo:
7.29Ma questo adopre alla surgente aurora,
7.30O quando fugge il dì verso l'occaso;
7.31E nel più gran calor perdoni all'opre.
7.32Quanto può, nel zappar, la polve innalzi,
7.33Perché l'uve adombrando, ella si faccia
7.34Contro a la nebbia e 'l Sol corazza e scudo.
8.1Or non lasce il villan per l'altre cure
8.2Gli armenti, in questi dì, soli e negletti:
8.3Ch'Admeto e gli altri che l'Arcadia onora,
8.4Fur di sì gran valor, ch'ei vanno al paro
8.5Alla madre Eleusina, a quel che sparse
8.6Già nell'indico mar di Tebe il nome.
8.7Furo i sacri pastor quei che già diero,
8.8Quando Giove restò del regno erede,
8.9Al primo seme uman la miglior forma.
8.10Quei le mugghianti vacche in larghe schiere,
8.11Le feroci cavalle in lunghe torme,
8.12Le pecorelle umil, le capre ingorde
8.13Giungendo in gregge, di dolcezza e d'arte
8.14Senza altrui danneggiar nutriro il mondo.
8.15Quei dal sole e dal gielo ivan coverti
8.16Di spoglie irsute delle mandrie istesse:
8.17Ch'allor non ci mandava il Siro e 'l Perso
8.18La seta e i drappi aurati, e Tiro l'ostro.
8.19Fu l'albergo più bel di frondi e giunchi,
8.20O sotto aperto ciel, vitelli e latte
8.21Eran l'esca miglior: le fonti e' rivi
8.22(Che pampinosa ancor Silen la fronte
8.23Non aveva in quei dì) spegnean la sete:
8.24I cibi peregrin, l'ozio e le piume
8.25Non turbavan la mente: il corpo, infermo
8.26Non potea divenir; ma quelli istessi
8.27Eran dopo il mangiar, che avanti furo.
8.28Vivea il mondo per lor tranquillo e queto:
8.29Non poteva ivi alcun per gemme ed oro
8.30La libertà furar; che nessun pregio
8.31Avea loco fra lor, se non la pace.
8.32Questi son quei miglior che furo il seme
8.33Di mille alme città, di Sparta e Roma:
8.34Che se d'essi seguian l'antico piede,
8.35Men forse nome Epaminonda avrebbe;
8.36Né Silla e Mario, e quel che tutto spinse
8.37In sì misero fin, Cesare invitto,
8.38Contra il natio terren le patrie insegne
8.39Con sì crude vittorie avriano addotte.
8.40Prenda adunque il villan, né se ne sdegni,
8.41Degli onorati armenti estrema cura,
8.42(Che 'l profitto maggior, la miglior parte
8.43Son di quei che fuggendo i falsi onori,
8.44Dal suo dolce terren, quanto più sanno,
8.45Coll'onesto sudor ritraggon frutto.
8.46Quando il giorno maggior ci porta il sole,
8.47Apparecchie il pastor nuovo consorte
8.48All'amorose vacche, acciò che veggia
8.49Dopo il decimo mese il parto uscire
8.50Sotto il cortese april, né caldo o gielo
8.51Al teneretto figlio oltraggio faccia.
8.52Molto più che nel toro, aggia riguardo
8.53In elegger la madre: ch'ella istessa
8.54Dà il bene e 'l mal nella futura prole.
8.55Quella vacca è miglior, che in ampia fronte
8.56Minacciosa ha la vista, il ciglio oscuro;
8.57Spazioso il collo; e che il ginocchio offenda
8.58La pelle, andando, che dal mento cade:
8.59Siano irsute l'orecchie, e negro il corno;
8.60Righi dietro il terren la lunga coda;
8.61Sian larghissimi i fianchi, e magro il piede;
8.62Sia brevissima l'unghia; e s'ella avesse
8.63D'alcun vario color la veste tinta,
8.64Sarebbe il meglio: e se talor paresse
8.65A chi le sia vicin crucciosa e fera,
8.66Non la spregi perciò ché più si brama,
8.67Quanto più nell'oprar simiglia il maschio:
8.68Né di Lucina ancor sostenga il frutto
8.69Priaché 'l terzo anno sia, né dopo i dieci.
8.70Prenda il marito poi, che tutta mostri
8.71Senza sproporzïon la forma altera:
8.72Ben levato da terra, e stretto il ventre;
8.73La sembianza superba, ardito il guardo,
8.74Le corna arcate; e nell'andar dimostri
8.75Sopra gli altri vicin tenere il regno:
8.76Soave al maneggiar; l'età sia tale,
8.77Che senza esser fanciul, non già sia vecchio.
8.78Io vidi molti già, che troppe diero
8.79Al possente marito in guardia spose:
8.80Ma il discreto pastore, a fin che il seme
8.81Venga di più valor, soverchie estima
8.82Chi di due volte sette il segno avanza;
8.83E con gran cura, pria che s'appresenti
8.84Sopra i campi d'amor, lo tien lontano
8.85Quanto pena a passar due segni Apollo,
8.86Sempre di biade e fien pasciuto e grasso.
8.87Ma sia guardato ben: che s'ei potesse
8.88Colla mente spiar là dove sono
8.89L'alme consorti sue, non fiumi o stagni,
8.90Non solitarie selve o monti eccelsi,
8.91Non di lupi terror, non lacci o ferro
8.92Lo porian ritener; ché 'l foco invitto,
8.93Vener, che vien da te, lo scalda in modo,
8.94Ch'altro non sa veder che quel ch'ei brama:
8.95Come esser suole al dipartir del verno,
8.96Poiché zeffir disfà la neve e 'l ghiaccio,
8.97E larghissima pioggia il ciel ricopre,
8.98Torrente alpestre che repente cade
8.99Di salto in salto, e che spumoso e torbo,
8.100Quanto trova in cammin, l'abete, il faggio,
8.101L'antichissime pietre, i colli colti,
8.102Con tal orrendo suon conduce al piano,
8.103Ch'empie tutti i vicin di doglia e tema.
8.104E se 'l fero rival per caso incontre,
8.105Ch'all'amata giovenca intorno pasca;
8.106Quasi folgori ardenti a ferir vansi
8.107Colle corna e col petto, infin che l'uno
8.108Di vergogna, di duol, di sangue tinto,
8.109Sdegnoso fugge in qualche ascosa valle,
8.110D'empia rabbia ripien; e 'l monte e i boschi
8.111Del cruccioso mugghiar risuona intorno:
8.112E senza ivi curar di fonti o d'erbe
8.113(Ché del patrio terren si trova in bando)
8.114Si sta piangendo; e 'n un momento poi
8.115(Sì lo ripunge amore) ancor ritorna
8.116Di nuovo in guerra, e del passato danno,
8.117Rimirando i suoi ben, non gli sovviene.
8.118Alle spose convien nuova altra cura:
8.119Che sì tosto che veggia il buon guardiano
8.120D'amoroso desio le vacche punte,
8.121Or le affanni nel corso, or sopra l'aia
8.122Le faccia in giro andar premendo il grano,
8.123Or le affatichi al carro, ora alla treggia;
8.124E lor tenga lontan l'erbe e le frondi,
8.125Le fonti, i fiumi; e con digiuno e sete
8.126Lungamente le servi: e tutto fasse,
8.127Che per soverchio peso non sien pigre
8.128Alle presenti nozze, e vegna il solco
8.129Al seme genital più largo e pronto.
8.130Poiché gravide sien, le tenga in pace,
8.131E senza esercitar pasciute e grasse.
8.132Or drizze il guardo alla crescente prole
8.133Il suo governator: e 'n quei che truove
8.134Destinati a solcar le piagge e i colli,
8.135O per gli aperti pian destar intorno
8.136Colle avvolgenti ruote al ciel la polve,
8.137O la treggia condur; poi ch'han pasciuti
8.138Già del secondo maggio i fiori e l'erbe,
8.139S'apparecchie a tagliar, soave e piano,
8.140Quelle membra miglior che forza danno
8.141A tutto il seme uman, ma son cagione
8.142Che 'l superbo vitel non cede al giogo,
8.143Non ascolta il bifolco; e chi lo punge,
8.144Or col piede or col corno, irato offende.
8.145Ma perché la natura ivi ripose,
8.146Quasi in albergo suo, maggior virtude;
8.147Molta convien usar dolcezza ed arte:
8.148Poscia al taglio mortal si truove impiastro
8.149Cener sottile e pece, aggiunto insieme,
8.150Pallade, il tuo liquor; benché Vulcano
8.151Il soccorso miglior talvolta doni.
8.152E per più giorni poi sì parco sia
8.153E del cibo e del ber, ch'ei possa appena
8.154Tenerse in vita; perché meno abbonde
8.155A genital difetto umore e sangue.
8.156Gli altri maggior fratei che negli armenti
8.157Si ritrove il guardian, ch'un anno almeno
8.158Di tal piaga sentir la doglia innanzi;
8.159Gli comince a drizzar di giorno in giorno,
8.160Sì che sostenghin poi l'aratro e 'l giogo.
8.161Non cruccioso garrir, non verga o ferza
8.162Adopre il domator: ché ciò gli face
8.163Sol per disperazion sì arditi e crudi,
8.164Che non temon d'altrui, né pon soffrire
8.165Chi più là del voler gli meni attorno.
8.166Or non veggiam noi ben l'accorto e saggio
8.167Ch'al tenerel fanciul le prime insegne
8.168Mostrar vuol già degli onorati inchiostri;
8.169Ch'or con preghi, or con doni, or con lusinghe,
8.170Or con vaghe pitture, a poco a poco
8.171L'induce a tal, che per diletto prende
8.172Quel che già gli parea noioso e duro?
8.173Prima d'erbe e di fior gli cinga il collo,
8.174Poi d'un cerchio leggier, poi d'un più grave;
8.175Poi venga al giogo: e per compagno elegga
8.176Chi di senno e di età mille altri avanze:
8.177E gli scemi dell'esca, acciò che manche
8.178E la forza e l'orgoglio, onde si renda
8.179Al suo comandator più basso e vinto.
8.180All'inerte asinel con meno affanno
8.181Pur provegga il villan; che sempre avanze
8.182Alla madre che tien, novella erede.
9.1Tu, largo abitator dell'ampie ville,
9.2Se ti ritrovi aver campagne e prati,
9.3E ricche onde correnti, e fresche valli,
9.4Non lasciar di nutrir l'armento fero
9.5Che Nettuno produsse, e Marte onora;
9.6Il qual lode, diletto e frutto apporta.
9.7E nel tempo medesmo, o poco avanti,
9.8L'animoso corsier, che 'l toro ardito,
9.9Già devria d'Imeneo gustar i frutti,
9.10Ché la consorte sua prolunga il parto
9.11Dopo le dolci nozze all'anno intero;
9.12E vorria pur trovar l'erbe e le frondi,
9.13Quando nasce il figliuol, non morte ancora.
9.14Grande il cavallo, e di misura adorna
9.15Esser tutto devria, quadrato e lungo:
9.16Levato il collo, e dove al petto aggiunge,
9.17Ricco e formoso; e s'assottiglie in alto:
9.18Sia breve il capo, e s'assomiglie al serpe;
9.19Corte l'acute orecchie: e largo e piano
9.20Sia l'occhio, e lieto, e non intorno cavo;
9.21Grandi e gonfiate le fumose nari;
9.22Sia squarciata la bocca, e raro il crino;
9.23Doppio, eguale, spianato e dritto il dorso,
9.24L'ampia groppa spaziosa: il petto aperto;
9.25Ben carnose le cosce, e stretto il ventre:
9.26Sian nervose le gambe, asciutte e grosse;
9.27Alta l'unghia, sonante, cava e dura;
9.28Corto il tallon, che non si pieghi a terra:
9.29Sia rotondo il ginocchio; e sia la coda
9.30Larga, crespa, setosa, e giunta all'anche,
9.31Né fatica o timor la smuova in alto.
9.32Poi del vario vestir, quello è più in pregio
9.33Tra i miglior cavalier, che più risembra
9.34Alla nuova castagna allor che saglie
9.35Dall'albergo spinoso, e 'n terra cade,
9.36Agli alpestri animai matura preda;
9.37Purché tutte le chiome, e 'l piede in basso
9.38Al più fosco color più sieno appresso.
9.39Poi levi alte le gambe, e 'l passo snodi,
9.40Vago, snello e leggier: la testa alquanto
9.41Dal drittissimo collo in arco pieghi,
9.42E sia ferma ad ognor; ma l'occhio e 'l guardo
9.43Sempre lieto e leggiadro intorno giri;
9.44E rimordendo il fren di spuma imbianchi.
9.45Al fuggir, al tornar sinistro e destro,
9.46Come quasi il pensier sia pronto e leve:
9.47Poscia al fero sonar di trombe e d'arme
9.48Si svegli e 'nnalzi, e non ritrove posa,
9.49Ma con mille segnai s'acconci a guerra.
9.50Nol ritenga nel corso o fosso o varco
9.51Contro al voler giammai del suo signore:
9.52Non gli dia tema, ove il bisogno sproni,
9.53Minaccioso il torrente, o fiume o stagno;
9.54Non colla rabbia sua Nettuno istesso:
9.55Nol spaventi romor presso o lontano
9.56D'improvviso cader di tronco o pietra;
9.57Non quello orrendo tuon che s'assimiglia
9.58Al fero fulminar di Giove in alto,
9.59Di quell'arme fatal che mostra aperto
9.60Quanto sia più d'ogni altro il secol nostro
9.61Già per mille cagion lassù nemico.
10.1Il gran Padre del ciel pietoso ascose
10.2Tutto quel che vedea dannoso e grave
10.3Al suo buon seme uman: l'empio metallo
10.4Fe nascer tutto tra montagne e rupi
10.5Sì perigliose, fredde, aspre e profonde,
10.6Ch'eran chiuse al pensier, non pur al piede:
10.7L'elemento crudel che strugge e sface
10.8Col tirannico ardor ciò ch'egli incontra,
10.9Sì dentro pose alle gelate vene
10.10Di salde pietre, che ritrar non puosse
10.11Senza assai faticar di mano ed arte:
10.12Il doloroso zolfo intorno cinse
10.13Di bollenti acque e d'affocate arene,
10.14E di sì tristo odor, ch'augelli e fere
10.15Non si ponno appressar ove esso è donno:
10.16Il freddissimo nitro in le spelonche
10.17E 'n le basse caverne umide mise,
10.18Ove razzo del sol mai non arrive;
10.19O tra 'l brutto terren corrotto e guasto
10.20Dalle gregge di Circe, ond'esce appena
10.21Dopo assai consumar di foco e d'onde.
10.22Ma l'ingegno mortal, più pronto assai
10.23Nell'istesso suo mal ch'al proprio bene,
10.24Da sì diverse parti e sì riposte
10.25Queste cose infernali accolte insieme,
10.26Con arte estrema a viva forza inchiude
10.27Dentro al tenace bronzo onde Vulcano
10.28Con sì gran fulminar, con sì gran suono,
10.29Con sì grave furor, così lontano
10.30Va spingendo per l'aria o ferro o pietra,
10.31Ch'ei fa sotto agli Dei tremar Olimpo.
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