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1.1Che deggia, quando il sol rallunga il giorno,
1.2Oprar il buon cultor nei campi suoi;
1.3Quel che deggia l'estate, e quel che poscia
1.4Al pomifero autunno, al freddo verno;
1.5Come rida il giardin d'ogni stagione;
1.6Quai sieno i miglior dì, quali i più rei;
1.7O magnanimo Re, cantare intendo,
1.8Se fia voler del Ciel. Voi, dotte Suore,
1.9Lontan lasciando d'Elicone il fonte,
1.10Non v'incresca a venir qui dov'infiora
1.11Lari e Duranza le campagne intorno.
1.12Vengan lieti con voi l'antica madre
1.13Della spiga inventrice, e quel che primo
1.14Di sì dolce liquor la sete indusse:
1.15Il cornuto Pastor co' suoi Selvani,
1.16Co' suoi Satiri e Fauni a lui compagni,
1.17Vengan colle zampogne a schiera a schiera:
1.18Venga l'altera Dea che al mondo diede
1.19Già con l'asta fatal l'eterna uliva:
1.20Venga il possente Dio che seco a pruova
1.21Il feroce corsier col suo tridente
1.22Produsse in terra; e minaccioso e torvo,
1.23Il barbato Guardian degli orti ameni
1.24Non resti indietro, perch'io possa alquanto
1.25Dei cortesi suoi don parlar con lui.
2.1Voi, famoso Signor, cui solo adora
2.2Il gallico terren; sotto il cui regno
2.3Quanto è verace onor s'ha fatto nido;
2.4Deh porgete al mio dir sì larga aita,
2.5Ch'io possa raccontar del pio villano
2.6L'arte, l'opre, gl'ingegni, e le stagioni:
2.7Ché dovreste saver per prova omai,
2.8Che dal favor di voi, non d'altri, puote
2.9Nascer virtù che per le tosche rive
2.10Or mi faccia seguir con degno piede
2.11Il chiaro Mantovan, l'antico Ascreo;
2.12E mostrar il cammin che ascoso giace.
3.1Tosto ch'il ciel, tutti i rabbiosi venti
3.2Discacciando da sé, zeffiro accoglie
3.3A distrugger fra noi la neve e 'l ghiaccio,
3.4Esca il cultivator del chiuso albergo,
3.5E d'ogn'intorno visitando vada
3.6Tutto il terren ch'alla sua cura è dato;
3.7E con riguardo pio l'orrende piaghe
3.8Cerchi, ch'il tempo rio, la pioggia, il vento
3.9Alle piante, alle fosse, ai loro angusti
3.10Argini han fatte; e gli sovvenga allora,
3.11Che bench'ai miglior dì s'arrenda il verno,
3.12Nulla è stagion dove sì spesso adopre
3.13L'umido suo valor l'austro, ch'il cielo
3.14Delle nubi affricane ingombra e bagna.
3.15Né pur ei sol, ma di favonio il fiato
3.16Tepido e dolce dispogliando in alto
3.17Del suo nevoso vel l'alpi canute,
3.18Fan sì ricco il terren d'onde novelle,
3.19Che l'erboso ruscello, il picciol rio,
3.20Il pietroso torrente, il fiume altero,
3.21Dispregiando ogni legge, ardito cerca
3.22Di tor dal corso suo l'antico freno:
3.23Onde chi pigro vien, sovente piange;
3.24Ché un picciol varco ch'al buon tempo puote
3.25Chiuder poco terren con breve fascio,
3.26Cotal poscia divien, ch'ivi entro passa
3.27Quant'acqua scende, e gli depreda i campi;
3.28E con danno mortal di tempo e d'opre,
3.29Al suo primo sentier lo torna appena.
3.30Dunque al principio suo con terra e pietre,
3.31Con nodosi virgulti e legni aguti
3.32Serri tutto all'intorno, ove esso veggia
3.33Nuovamente passar l'invitto umore.
3.34L'arbor che sovr'un colle o in piaggia assiede,
3.35Ben cerchi e guardi; e se da quella il senta
3.36Ch'alle radici sue sostenga oltraggio,
3.37Con poca riga che più in alto muova,
3.38La svolga altronde; o lui circonde in giro,
3.39A guisa di castel, di sterpi e sassi.
3.40Ma perch'il tempo, allor piovoso e molle,
3.41Pur il tutto compir forse contende;
3.42Basti principio dar con forma tale,
3.43Che non venga infinito il danno avuto;
3.44Finché l'altra stagion più secca e calda,
3.45Torni ai bisogni altrui più fida aita.
3.46Indi volga il pensier coll'opra insieme
3.47Intorno ai prati ch'il passato verno
3.48Aperti, in abbandon, negletti furo,
3.49Agli armenti, ad ogni uom pastura e preda.
3.50Quei con fossi talor, talor circondi
3.51Con pali e siepi: o se n'avesse il loco,
3.52Può di sassi compor muraglie e schermi;
3.53Talché il rozzo pastor, la greggia ingorda
3.54E col morso e col piè non taglie e prema
3.55La novella virtù ch'all'erbe infonde
3.56Con soave liquor la terra e 'l cielo.
3.57Poi quinci e quindi, ove mancar si veggia
3.58Il notritivo umor, non prenda a sdegno
3.59Colle sue propie man di lordo fimo
3.60Satollar sì, che vive forze prenda.
3.61Il più novel che nella mandra truove.
3.62Quello a ciò fia miglior: ma d'alta parte
3.63Di monte in monte lo distenda in basso,
3.64Perch'il fetido odor più passe addentro;
3.65E ciò far si convien qualor più fugga
3.66Delia dal suo fratel, crescendo il lume.
3.67E sappia pur ciascun, che l'erbe e i fieni
3.68Son che fan ricche le campagne e i colli;
3.69E chi nol pensa, al primo verno scorge
3.70Stanco e 'nfermo giacer l'amato tauro,
3.71Che fra le nevi e 'l ciel vagando il giorno
3.72Non può tanto trovar di frondi e giunchi
3.73Ch'in vita il tenga, e poi la notte vede,
3.74Colpa del suo signor, la mandra nuda;
3.75E tal in breve andar magrezza sente,
3.76Ch'in piè sta appena, e tra 'l digiuno e 'l freddo
3.77Non ha spazio a veder distrutto il ghiaccio.
3.78Il misero bifolco al tempo eletto,
3.79Tardi avveduto, lagrimando mira
3.80L'altrui campo vicin solcato e lieto,
3.81Il suo vedovo e sol; l'aratro e 'l giogo
3.82Starsi, lassi! lontan negletti e sparti:
3.83Né può trovar alcun, per preghi o pianti,
3.84Che del giovenco suo gli sia cortese;
3.85Ché chi 'l seppe nodrir, per sé l'adopra
4.1Quinci i prati lassando, a i campi e i colli
4.2Rivolga il passo; e sotto il fascio antico
4.3Il mansueto bue riponga il collo;
4.4E già senta il terren (ché n'è ben tempo)
4.5Del suo vomer novel la prima piaga.
4.6Avanti a tutti, il pio bifolco truove
4.7Il più grasso terren che meno abbonde
4.8D'umor soverchio; il vago colle umìle,
4.9La piaggia aprica che più guarde il sole,
4.10Il secco monte: ma l'acquosa valle,
4.11Finché più caldo sol non vesta il Tauro,
4.12Non senta oltraggio: e nel terren più leve,
4.13Sia raro e basso; e nel più vivo e lieto,
4.14Spesso e profondo sia menato il solco;
4.15Perché l'erbe peggior che in questo sono,
4.16Mostrando al ciel le sue radici aperte,
4.17Restin sepolte, e che nell'altro poi
4.18La sua poca virtù non resti spenta.
4.19Sia dritto e largo, e di lunghezza avanze
4.20Poco oltra più che cento volte un piede.
4.21Ove in alto pendente il campo stia,
4.22Meni a traverso pur l'aratro e i buoi;
4.23Perché se l'onda poi, che scorre in basso,
4.24Scender trovasse alle sue voglie il rigo,
4.25Rapidamente, oimè! donna e regina,
4.26La sementa e 'l terren trarrebbe al fiume.
4.27Ma guardi prima ben (ché troppo nuoce,
4.28Né lo puon ristorar fatica o tempo)
4.29Che non tocchi il suo campo, o ferro adopre,
4.30Se troppo il senta dalla pioggia oppresso;
4.31Perché tal diverria (creda a chi 'l prova)
4.32Che render non poria di seme il frutto.
4.33E se dopo gran sete asciutto e stanco,
4.34Sia da nube leggier di sopra asperso;
4.35O misero cultor! sia lunge allora,
4.36Sia lunge allor da lui l'aratro e 'l bue;
4.37Perché, solcato sol, tal rabbia e sdegno
4.38Prende col suo signor, ch'all'anno terzo
4.39Non si degna mostrar le spighe appena.
4.40Ma se 'l vomero tuo, la terra aprendo,
4.41Netto e lucido vien qual puro argento;
4.42Lieto e sicuro allor, doppiando l'opre,
4.43Segui l'util lavor; ch'al tempo amato
4.44Fian la speme e 'l desio dal frutto vinte.
4.45Or prendendo il villan (ché l'ora è giunta)
4.46Dal chiuso albergo, e la famiglia insieme,
4.47I semplici legumi, e l'altre biade
4.48Che nel felice agosto in seme scelse;
4.49Cerer chiamando e chi dei campi ha cura,
4.50Alle fatiche sue larga mercede;
4.51Già commetta al terren la sua sementa.
4.52Sian la fava pallente, il cece altero,
4.53Il crescente pisel, l'umil fagiolo,
4.54La ventosa cicerchia in parte dove
4.55Senza soverchio umor felice e lieto
4.56Trovin l'albergo lor: la lente pure
4.57Dello steril sentir non è sì schiva.
4.58Venghin dopo costor l'orzo e l'avena:
4.59Ma ponga cura in ciò, ché questa suole
4.60Vie più danno portar, seccando i campi,
4.61Al non saggio arator, che spighe e strame;
4.62Come la spelda ancor, ch'a lei s'agguaglia:
4.63Ma il magro monticel ch'inutil vegna
4.64Ad ogni altro valor, per loro elegga.
4.65Né men crudel ancor si sente il lino
4.66A chi 'l riceve in sen: ma tal è l'uso,
4.67Ch'io consiglio ciascun, ch'a forza il brami,
4.68E che seggio gli dia purgato e grasso;
4.69Che non avendo ciò, sì basso e frale
4.70Vien poscia e 'nfermo, che la fida sposa,
4.71Le caste figlie sue vedrà piangenti
4.72Aver al più gran giel la fronte aperta,
4.73E nel più sacro dì la mensa e 'l letto
4.74Senza candido vel negletti e nudi.
4.75La vermiglia saggina, il bianco miglio,
4.76Il panico sottil, d'uccei rapina,
4.77Lungo il chiaro ruscel, vicino al fonte
4.78Onde distille umor, la sede agogna:
4.79E rivien da costor sì larga prole,
4.80Ch'un poco seme gran ricolta ingombra.
4.81Non basti al buon villan la sua sementa
4.82Sparger nei campi, e leggermente poi
4.83Parte coprirne, e ritrovar l'albergo:
4.84Ma la sposa, il fratel, le figlie insieme,
4.85Colle sue marre in man, non lunge sieno
4.86Al buon bifolco; e rinettando i solchi,
4.87E tritando le zolle, ascondin tutto,
4.88Con aguto cercar, che sopra appare:
4.89E gli sovvenga pur, ch'intenti stanno
4.90Il loquace fringuel, l'astuta e vaga
4.91Passera audace, il calderugio ornato,
4.92Il colombo gentil, l'esterno grue,
4.93E con mill'altri poi l'ingorda pica,
4.94L'importuna cornice, il corvo impuro,
4.95Che non trovando allor più degno cibo,
4.96Pur si dànno a furar l'altrui fatiche.
4.97Dunque di veste vil, di pelli oscure,
4.98Di piume e di baston componga in giro
4.99A' seminati campi orrende facce
4.100Di tirannico uccel, di fera e d'uomo
4.101Ch'in disusato suon rotando al vento,
4.102Spavente i predator dai danni suoi.
4.103Quinci levato al ciel, con voti e preghi
4.104Chiami la pioggia, perch'il verno possa,
4.105Ov'al bisogno suo fallisse il grano,
4.106Non lunge al foco, senza affanno e cura
4.107Che gli presti il vicin quel ch'ha d'avanzo,
4.108Di tai frutti nutrir la sua famiglia.
4.109Ma non deve obliar ch'il suo terreno
4.110(Quantunque grasso) del soverchio peso,
4.111Com'ogni altro mortal, troppo s'affanna;
4.112E che riprende in sen forza e ristoro
4.113D'aver pace d'altrui d'un anno almeno,
4.114E d'avuta pietà non torna ingrato.
4.115Pur chi avaro pensiero o povertade
4.116Sproni al troppo bramar, suggetto mute;
4.117Perch'il cibo cangiar risveglia il gusto.
4.118Ove il tristo lupino o l'umil veccia
4.119Féro a' venti tenor coi secchi rami;
4.120Più con la vanga in man che coll'aratro,
4.121La qual più muove addentro e più rinnova
4.122La stanca terra, e più bramata viene
4.123A gli amici legumi e molte biade,
4.124Può l'altr'anno versar vari altri semi,
4.125E del frumento ancor, sol che non lasce
4.126O di cenere immonda o di letame
4.127Porgergli aita, o far al tempo poi
4.128L'aride stoppie sue di Vulcan preda,
4.129Che per mille cagion più beni apporta;
4.130E sovente opra sì, che s'il buon campo
4.131Trova al suo desiar benigno il cielo,
4.132Tanto felici e belle alza le biade,
4.133Che nel tempo novel menar conviene
4.134La pecora e l'agnel che col pio morso
4.135Loro affreni talor l'aperto orgoglio.
5.1Pensi appresso fra sé, ch'al gran cultore
5.2Nei bei giorni miglior non basta sola
5.3La sementa, il zappar, solcar la terra;
5.4Ma che le vigne ancor, le piante e i frutti,
5.5Già fuggendosi il giel, chiaman da lunge
5.6Dolce soccorso, promettendo in breve
5.7Al suo buon curator premio e ricchezza.
5.8Non ci rimena il sol sì bella e chiara
5.9La fiorita stagion, perché poi deggia
5.10Il discreto villan passarla indarno.
6.1Alma Ciprigna Dea, lucente stella,
6.2De' mortai, degli Dei vita e diletto;
6.3Tu fai l'aer seren, tu queti il mare,
6.4Tu dài frutto al terren, tu liete e gai
6.5Fai le fere e gli augei; che dal tuo raggio,
6.6Tutto quel ch'è fra noi, raddoppia il parto.
6.7Al tuo santo apparir, la nebbia e 'l vento
6.8Parton veloci, e le campagne e i colli
6.9Veston nuovi color di fiori e d'erbe;
6.10Tornan d'argento i ruscelletti e i fiumi:
6.11Dal tuo sacro favor le piume spiega
6.12Zeffiro intorno, e gli amorosi spirti,
6.13Ovunque teco vien, soave infonde
6.14La chiara Primavera, e 'l tempo vago
6.15Che le piante avverdisce, e pinge i prati:
6.16E quanto bene abbiam, da te si chiame.
6.17Dunque te, più d'altrui, per guida appello
6.18Al mio nuovo cantar; ch'io mostri appieno
6.19L'alta virtù ch'il tuo venire adduce,
6.20Al glorïoso Re Francesco, eletto
6.21Per far ricco tra noi d'onor il mondo,
6.22Come tu il ciel del tuo splendore eterno.
6.23Deh fa', sacrata Dea, ch'in terra e 'n mare
6.24L'antico guerreggiar s'acqueti omai:
6.25Perché tu sola puoi tranquilla pace
6.26Portar nel mondo: ché il feroce Marte
6.27Tutto acceso d'amor, ti giace in grembo,
6.28E fermando nei tuoi gli ardenti lumi,
6.29In te vorria versar tutti i suoi spirti;
6.30Né può grazia negar che tu gli chieggia.
7.1Or qui surga il villan, né tempo aspetti
7.2Di veder già spuntar le frondi e i fiori,
7.3Del tuo sommo valor cortesi effetti;
7.4Ma con speme ed ardir riprenda in mano
7.5Gli aguti ferri suoi, truovi la vite
7.6Che dal materno amor sospinta, forse
7.7Tanti figli a nodrir nel seno avrebbe
7.8(Chi nol vietasse allor) che 'n brevi giorni
7.9Scarca d'ogni vigor s'andrebbe a morte.
7.10Taglie i torti sermenti, i larghi, e quelli
7.11Che contra ogni dover e 'ndarno veggia
7.12Crescer nel tronco, e quei che troppo ingordi
7.13Tra le robuste braccia han preso il seggio,
7.14E la parte miglior s'han fatta preda.
7.15Se fia lieto il terren, sia più cortese
7.16Il saggio potator; che in ogni tronco
7.17Può due germi lasciar tagliati in modo,
7.18Che 'l secondo occhio si ritenga appena.
7.19Ma dove magro appar, sovente suole
7.20L'imprudente cultor con danno e scorno
7.21Pianger l'anno avvenir la sua pietate,
7.22Perché due ne lasciò, bastando un solo.
7.23Se giovinetta sia, non bene ancora
7.24Alle pene mortali al mondo avvezza;
7.25Ah perdoni all'età, non sia crudele,
7.26Lasce il novello umor più largo alquanto
7.27Prender diporto; e se di Bacco teme,
7.28Stia lunge il ferro, oimè! ch'assai le fia
7.29Dolcemente spogliar coll'unghie intorno
7.30Ove il bisogno vien, donando pure
7.31Con paterno riguardo e forma e modo
7.32Da condurla ove vuol nei dì perfetti.
7.33Ma perché sotto il ciel cosa mortale
7.34Non può stato trovar ch'eterno duri;
7.35Né men che gli animai, le piante e l'erbe
7.36Han nel primo avvenir natura amica,
7.37La qual, fuggito il giovinetto tempo,
7.38Così fatta crudel com'era pia,
7.39Ci getta in preda alla vecchiezza stanca,
7.40Che per mille dolor, per mille piaghe,
7.41Debili, infermi e vil, ci mena a morte;
7.42Né possiamo scampar, ma quella istessa
7.43Impia (che così vuol) natura avara
7.44Ne insegna pur, che ciò che manca in noi
7.45Si stenda in altri, e che di prole in prole
7.46Viva il mondo per lei qual sempre visse.
7.47Ciò sapendo il villan, qualor potando
7.48Nella prima stagion l'antiche piante,
7.49Vedesse una di lor, che voto un seggio
7.50Per suo fero destin di sé lasciasse;
7.51O qualcuna altra pur sì vecchia e grama
7.52Che inutil fusse, o di tal frutto acerbo,
7.53Che tra l'altre restar chiamasse indegna;
7.54Quindi la sveglia, e dal vicin più presso
7.55Il più nodoso tralcio in vece prenda,
7.56E 'n guisa d'arco ripiegando in basso,
7.57Dentro il sotterri, purché resti almeno
7.58La quarta gemma fuor, ch'è più congiunta
7.59Al suo natio pedal; ché tutto essendo
7.60Posto dentro il terren, soverchie avrebbe
7.61Radici intorno; e 'l vigoroso e poco
7.62Vie più si dee pregiar, che 'l molto e frale.
7.63Poscia il terzo anno, chi 'l secondo teme,
7.64Lieto il diparta dal materno stelo;
7.65Ché ben potrà, senza nutrice, allora
7.66La sua vita menar tra frondi e frutti.
7.67Poi, perché il nuovo umor che sotto surge
7.68Mosso dalla virtù che 'l tempo adduce,
7.69Trovi al suo pullular più larga strada;
7.70Perché il tepido sol più passe addentro;
7.71Perché l'erba crudel che parte invola
7.72Del nutrimento pio ch'a lei si deve,
7.73Con giusto guiderdon si resti ancisa;
7.74L'invitto zappator l'arme riprenda,
7.75E cavando il terren dentro e d'intorno,
7.76Lo smuova, l'apra, e sottosopra il volga;
7.77Guardando (ahi lassa lei!) che poco accorto
7.78Alla vite gentil non faccia piaga.
7.79Dal robusto castagno e salcio acquoso,
7.80Dalla nodosa quercia, e d'altri molti
7.81Prenda i rami dappoi, che sian sostegno
7.82Alle sue membra; ove al bisogno estremo,
7.83A tal uso miglior, la canna manche.
7.84Poi la lenta ginestra in un gli accinga,
7.85Sicché il fero aquilon, da Bacco odiato,
7.86Non trionfi di lei; ma lieta un giorno
7.87Le pampinose corna, i tralci e l'uve
7.88Sovra il sostenitor sicura avvolga.
7.89Ma tutto si proveggia avanti molto
7.90Che, gonfiando la buccia, ardita scorga
7.91Già di fuori spuntar la gemma acuta:
7.92Ch'allor più si convien che lunge stia
7.93Colui che l'ama il più, che serri intorno
7.94E di sterpi e di pietre, e faccia in guisa,
7.95Che non possa varcar chi crolli i rami.
8.1Non però si convien che l'alma intenda
8.2A Bacco tal, che a Giove, a Febo, a Palla,
8.3Non curando di lor, si faccia odioso:
8.4Ma visitando vada ogni altra pianta
8.5Che la riva o la piagga o 'l colle adombre.
8.6La morta cima, il ramuscel troncato
8.7Tagli; ch'assai sovente il secco offende
8.8Premendo il verde, e le conduce al fine.
8.9Poi tutto quel che di soverchio nato
8.10Di parto adulterin nel tronco truova
8.11O nelle sue radici, accorto sveglia
8.12Il buono sfrondator; ch'all'altra prole
8.13Di legittimo amor non furi il latte:
8.14E de' rami miglior, quantunque verdi,
8.15Non perdoni a tagliar; ma quelli istessi
8.16Ch'adombran più da quella parte donde
8.17Passe il raggio del sol, che possa meglio
8.18Dentro tutto scaldar; se vuol più lieto
8.19Il ricco arbore aver, più dolci i pomi.
8.20E perché il pio cultor non deve solo
8.21Sostener quello in piè ch'il padre o l'avo
8.22Delle fatiche sue gli ha dato in sorte,
8.23Ma far col bene oprar che d'anno in anno
8.24Cresca il patrio terren di nuovi frutti,
8.25Quanto l'albergo umìl di figli abbonda:
8.26Né veggia, oimè! tra pecorelle e buoi
8.27La figlia errar dopo il vigesimo anno,
8.28Senza ancor d'Imeneo gustar i doni,
8.29Discinta e scalza; e di vergogna piena
8.30Fuggir piangendo per boschetti e prati
8.31L'antica compagnia che in pari etade
8.32Già si sente chiamar consorte e madre;
8.33Né i miseri figliuoi, pasciuti un tempo
8.34Pur largamente nel paterno ostello,
8.35E di quel sol che nei suoi campi accolse
8.36Dolci nativi, in tenerella etade
8.37Di peregrin maestro empio flagello
8.38Sentir, la madre pia chiamando indarno,
8.39Alle fonti menando, ai verdi prati
8.40Le non sue gregge; e le cipolle e l'erba,
8.41Lassi! mangiar, vedendo in mano ai figli
8.42Del suo nuovo signor formaggio e latte:
8.43Siccome oggi addivien tra i colli toschi
8.44Dei miseri cultor, non già lor colpa,
8.45Ma dell'ira civil, di chi l'indusse
8.46A guastar il più bel ch'Italia avesse.
9.1Or chi vuol, nell'età canuta e stanca,
9.2Di pigra povertà non esser preda,
9.3E poter la famiglia aver d'intorno
9.4Lieta, e la mensa di vivande carca,
9.5E far aschio al vicin, non pur pietade;
9.6Nella nuova stagion non segga in vano:
9.7Ch'or rinnuovi, or rivesta, or pianti, or cangi,
9.8Pur secondo il bisogno, or vigne, or frutti.
10.1Son mille i modi che natura impose
10.2Di crearse alle piante; onde si vede,
10.3Senza cura d'altrui, che per sé stesse
10.4Ne nascon molte che fanno ombra verde
10.5Alle liete campagne, ai verdi colli,
10.6Sopra i gelidi monti, in riva un fiume:
10.7Vedi la scopa umìl, il faggio alpestre,
10.8Vedi il popolo altero, il lento salcio.
10.9Parte son poi, che dal suo proprio seme
10.10Surgon più liete: la castagna irsuta,
10.11La ghiandifera quercia, il cerro annoso.
10.12Altre veggiam, nelle radici in basso
10.13Ch'hanno i suoi successor: l'olmo, il ciriegio,
10.14L'odorato, gentil, famoso lauro,
10.15Ch'io spero ancor che le mie tempie cinga
10.16Sol per le vostre man, gran Re de' Galli:
10.17Questo ancor vede i suoi futuri eredi
10.18Nutrirse intorno, e gli ricuopre e pasce.
10.19Così crescer veggiam le selve e i boschi;
10.20L'alte montagne, i luoghi imi e palustri
10.21Vestir tutti tra sé diverse guise.
10.22Poscia, seguendo il natural cammino,
10.23Trovò l'uso mortal nuove altre forme.
10.24Quello il caro pianton dal proprio ventre
10.25Toglie alla madre, e lo ripon nel solco;
10.26Quel trapianta un rampollo; e quello un tronco
10.27Sotto la terra pon, di palo in guisa:
10.28Tale è pianta gentil ch'in pace porta
10.29L'empio propagginar, né vive sdegna
10.30Le sue membra veder da noi sepolte:
10.31Poi tali ancor, che senza aver radici
10.32Crescon gioiose; e le più altere cime
10.33Spesso il buon potator non pianta a voto,
10.34Ma quel ch'è più, che dalla molta uliva,
10.35Il già secco pedal segando in basso,
10.36Si vedran germinar le barbe ancora.
10.37Or, non si trova alfin prestar le membra
10.38L'un frutto all'altro, e le nodrir per sue?
10.39Ma riguardisi ben (ch'il tutto vale)
10.40Tra tal varïetà comprender dritto
10.41Di ciascuno il valor, la sede e 'l culto;
10.42E 'n quella parte ove natura inchina,
10.43Drizzar il passo: perché l'arte umana
10.44Altro non è da dir, ch'un dolce sprone,
10.45Un corregger soave, un pio sostegno,
10.46Uno esperto imitar, comporre accorto,
10.47Un sollecito atar con studio e 'ngegno
10.48La cagion natural, l'effetto e l'opra;
10.49E chi vuol contro andar del tutto a loro,
10.50Schernito dal vicin, s'affanna indarno.
10.51Vie più robusta vien l'inculta pianta
10.52Che senza altrui lavor s'estende al cielo,
10.53E secondo al desio si prese il seggio;
10.54Pur men feconda: ma inserendo i rami,
10.55O cangiando il terren più volte, spoglia
10.56Il salvatico stilo; e 'l culto onesto,
10.57Di costume civil la rende adorna.
10.58Il medesmo avverrà, s'al pio parente
10.59Svegliendo intorno la crescente prole
10.60Che 'l piè gl'ingombra, negli aprici campi
10.61Convenevole a lui darà l'albergo.
10.62L'arbore in ver che dal suo seme nasce,
10.63Ha sì tarda, affannosa e fral la vita,
10.64Che pria ch'arrive ancor l'età virile,
10.65Si spegne in fasce; o non morendo, al fine
10.66Di sì stanco sapor conduce i frutti,
10.67Ch'agli affamati augei si restan cibo.
10.68Non per questo si manche in ciascun anno
10.69Di por nel solco suo de' miglior semi,
10.70E coll'onde e col fimo dar loro esca,
10.71E coprirgli dal giel, cacciare i vermi,
10.72Vedergli spesso, e sperar sempre il meglio:
10.73Ché molte cose fan la cura e l'opra.
10.74Ride al propagginar la vite allegra,
10.75L'uliva al tronco: l'amoroso mirto
10.76Cresce più volentier nel cespo intero.
10.77Cresce il duro nocciuol traposto in pianta,
10.78La palma invitta, e con mille altri insieme
10.79L'alto frassino ancor, la quercia ombrosa.
10.80L'aurato cetro poi, la poma rancia,
10.81E la sua compagnia soave e cara,
10.82Benché di seme ancor, di pianta viene.
10.83Quei che di rami poi, non pur di tronco,
10.84Dànno al suo potator nel tempo i frutti,
10.85È 'l purpureo granato, il dolce fico,
10.86L'aspro e greve cotogno, il freddo melo,
10.87Il tardo pero, e la vermiglia pruna.
10.88L'arbor gentil che già sostenne in alto
10.89La morta Filli, il crudel noce opaco,
10.90Il non vivace pesco, il grande e fero
10.91Robustissimo pin, fra gli altri tutti
10.92Ch'han l'alma in lor da più difese armata,
10.93(Fuor d'ogni uso comun) sicuro e sano
10.94Veggion de' semi suoi sovente il frutto:
10.95Ché la natura istessa aperto face
10.96Che la semenza sua doppia virtude
10.97Aggia, e più d'altra; poiché tante scorze
10.98Dure e spinose le ravvolse intorno.
11.1Ma che direm dell'ingegnoso inserto
11.2Che in sì gran maraviglia al mondo mostra
11.3Quel che val l'arte ch'a natura segua?
11.4Questo, vedendo una bennata pianta
11.5D'agresti abitator talvolta preda,
11.6Gli ancide e spegne; e di dolcezza ornata
11.7Nuova e bella colonia in essa adduce:
11.8Né si sdegna ella; ma guardando in giro,
11.9Sì bella scorge l'adottiva prole,
11.10Che i veri figli suoi posti in oblio,
11.11Lieta e piena d'amor gli altrui nodrisce.
11.12L'arte e l'ingegno qui mille maniere
11.13Maravigliosamente ha poste in pruova.
11.14Quando è più dolce il ciel, chi prende in alto
11.15Le somme cime più novelle e verdi
11.16Del miglior frutto, e risecando il ramo
11.17D'un altro per sé allor aspro e selvaggio,
11.18Ma giovine e robusto, o 'l tronco istesso,
11.19Adatta in modo le due scorze insieme,
11.20Che l'uno e l'altro umor che d'essi saglia,
11.21Mischiando le virtù, faccia indivisi
11.22Il sapor e l'odor, le frondi e i pomi.
11.23Chi la gemma svegliendo, all'altra pianta
11.24Fa simil piaga, e per soave impiastro
11.25Ben congiunta ed egual l'inchiude in essa.
11.26Chi della scorza intera spoglia un ramo,
11.27In guisa di pastor ch'al nuovo tempo
11.28Faccia zampogne a risonar le valli;
11.29E ne riveste un altro, in forma tale,
11.30Che qual gonna nativa il cinga e copra.
11.31Molte altre son, ch'a narrar lungo f"ra:
11.32Ché 'l conoscer dell'uom non si contenta
11.33Di quel che gli altri san, ma d'ora in ora
11.34Cerca nuovi sentieri; e più d'ogni altro
11.35Il ben dotto cultore, il qual ritrova
11.36Cose spesso incredibili a chi 'l vede,
11.37Non che a chi l'ode dir; e prova alfine,
11.38Che l'arte alla natura è mastra e guida.
11.39Ma quai modi s'adopre, o questi o quelli,
11.40O de' novelli ancor, sappia il villano,
11.41Che tutto fa chi le due membra insieme
11.42Sì ben congiunge, che natura adopre
11.43Ogni spirto e valor comune in esse.
11.44Delle stagion, migliore e più sicura
11.45È l'alma primavera in cui vigore
11.46Giovinetto gentil e largo infonde
11.47E di dentro e di fuor la terra e 'l cielo;
11.48Pur in ogni altra ancor mostra la pruova,
11.49Che talor si può far; e quelle nozze
11.50Son più care tra loro e più felici,
11.51Che del medesmo sangue ebber parenti,
11.52Benché vario il natale in bosco e in orto:
11.53L'altre, tra i più congiunti, come avviene
11.54Tra 'l pero e 'l melo, e tra 'l ciriegio e 'l cornio.
11.55Ma pur l'abitator dei verdi colli,
11.56Poiché ha condotte a fin le maggior cure,
11.57Lo conforto a spiar gli altri segreti
11.58Del corso natural delle sue piante;
11.59E sia presto a tentar tutte le strade
11.60Non segnate d'altrui, per far più ricca
11.61Del gran cultivator la sacrata arte,
11.62E mostrar a chi vien, che il secol nostro,
11.63Sì neghittoso e vil, non dorme in tutto:
11.64E tanto più che nulla cosa al pari
11.65Addolcisce il sapor, ch'il dotto innesto;
11.66Né men giova di quel ch'a' frutti suoi
11.67Dà nuovi alberghi, e gli trapianta spesso.
12.1Fatto questo, ciascun cercando vada
12.2Qual han le piante sue patria più cara,
12.3Qual aggian qualità: chi brame il sole,
12.4Chi cerchi l'aquilon; chi voglia umore,
12.5Chi l'arido terren, chi valle o monte;
12.6Chi goda in compagnia, chi viva sola.
12.7Veggia il dolce arbuscel che Bacco adombra;
12.8Veggia l'arbor gentil da Palla amato,
12.9Il parnassico allor, l'aurato cetro,
12.10Veggia il mirto odorato, il molle fico;
12.11Veggia la palma eccelsa, il poco accorto
12.12Mandorlo aprico che sovente pianse
12.13Tardi i suoi danni, ch'anzi tempo (ahi lasso!)
12.14De' suoi candidi fior le tempie cinse;
12.15Veggia il granato pio, che dentro asconde
12.16Sì soavi rubin; la pianta veggia,
12.17Che Tisbe e 'l suo signor vermiglia fero,
12.18La cui fronde ha virtù ch'il verme pasce
12.19Che 'n sì bella opra a sé medesmo tesse
12.20Onorato sepolcro e morte acerba,
12.21E dai Seri e dagl'Indi il filo addusse
12.22Onde il mondo novel si adorna e veste;
12.23Veggia il persico pomo; e veggia come
12.24Il temprato calor, la lieta stanza,
12.25Il mirar chiaro e bel sovente il sole,
12.26Gli fa belli, e venir di frutti pieni.
12.27Ma l'irsuta castagna, il noce ombroso,
12.28L'acerbissimo sorbo, il pino altero,
12.29Il giocondo susin, l'aspro reale
12.30Nespol nodoso, il tardo pero e 'l melo,
12.31L'almo ciriegio che da lunge mostra
12.32I fiammeggianti frutti, e ride al cielo;
12.33Il suo minor fratel, cornio silvestre,
12.34Sdegnoso in sé, che dispregiar si vede
12.35La schernita famiglia accanto a quello;
12.36E lo spinoso e vil, dal vulgo offeso
12.37Giuggiol negletto, che salubre forse
12.38Più che grato sapor nel frutto porta;
12.39Questi il gelato ciel con meno oltraggio
12.40Soffrir ben ponno, e sostenersi in vita
12.41Carchi di neve ancor le chiome e 'l volto.
12.42Dunque trove il cultor tra i campi suoi
12.43Qual sia la piaggia che più scalde il sole
12.44Poich'a mezzo cammin del giorno arriva:
12.45E done ivi a ciascun bramato seggio,
12.46Di quei che son della sua vista amici.
12.47Poi l'altra parte che più l'orsa vede
12.48Come giri assetata intorno al polo,
12.49Caro albergo sarà di quegli a cui
12.50Vie più dolce ch'il sol vien l'aura e l'ombra:
12.51Ma sappia pur, che da tal parte nasce
12.52Men soave il sapor, più forte il tronco.
12.53L'altre due parti che risguarda Apollo
12.54Quando poggia dal mar, quando discende;
12.55Perché tepide son con meno offesa
12.56O di caldo o di giel, disponga in esse
12.57Or di questi or di quei, mirando al sito;
12.58Perché spesso addivien ch'un colle, un monte,
12.59Ricoprendo talor, talor porgendo
12.60O l'austro o l'aquilon, non meno adduce
12.61Saldi effetti tra lor, ch'il cielo istesso.
12.62La pampinosa vite e l'alma uliva,
12.63Il mandorlo gentil, la piaggia e 'l colle
12.64Aman più d'altro, e dove sia la terra
12.65Asciutta e trita; e così quei che han caro,
12.66Più ch'il freddo, il calor, come il granato,
12.67Come il fico, e cui tien dolce il sapore
12.68Per arrichir fra noi l'ultime mense.
12.69Gli altri ch'hanno il troncon più saldo, e 'l gusto
12.70Aspro e men grato, ove trovin l'albergo
12.71Tenace e duro, senza danno e tema
12.72Non lascian di condurre i frutti a porto,
12.73E larghi ristorar l'altrui fatiche.
12.74Prenda adunque il villan d'intender cura
12.75Delle terre i sapori e le virtudi,
12.76L'alte varïetà che in esse sono;
12.77Che 'l pon molto giovar: e non si sdegni,
12.78Senza crederne altrui, di farne pruova.
12.79La più greve o leggier, la man lo mostra
12.80Senz'altro faticar: la rara o densa,
12.81Di cui questa al frumento, e quella a Bacco
12.82Dona il seggio miglior, si vede aperta
12.83Con far profondo un pozzo, e poco appresso
12.84Il medesmo terren riporre ivi entro;
12.85Del qual s'abbonderà, serva all'aratro;
12.86Alle viti, alle gregge, ov'esso manche.
12.87La salsa, e l'altra che si appella amara,
12.88Ch'alle vigne, alle piante, all'erbe, ai prati
12.89Sempre inutil saria; qualche vil corba
12.90Fa' carca d'esse, e poi di sopra versa
12.91Dolci acque e chiare, e ripremendo in alto,
12.92Prendi l'umor che caggia, ed ei ti rende
12.93Il suo gusto palese, o questo o quello.
12.94L'altra che grassa sia, con man trattando
12.95Non s'apre o schianta, ma qual cera o pece,
12.96Chiusa e tenace vien quanto è più pressa.
12.97L'umida, per se stessa il fallo accusa;
12.98Che sempre ha, più che spighe, e giunchi ed erbe.
12.99La negra, e l'altre ch'il color presenta,
12.100Non conviene imparar: la troppo fredda
12.101Ch'è di tutte peggior, mal si conosce,
12.102Se mille erbe nocenti, e 'l nasso e l'edra
12.103Non ne fan testimon coll'ombre loro.
12.104Or si ricordi qui, ch'il troppo lieto,
12.105Come l'erbose valli, ove discenda
12.106O di pioggia o di vena onda che apporte,
12.107Depredando l'altrui, de' colli il meglio,
12.108O dove abbonde il fiume e stagne intorno,
12.109Fan le piante più altere, e maggior pomi,
12.110Ma d'insulso sapor; fanno la vite
12.111Più superba, più vaga, e di più frutto;
12.112Pur men nobile il vin, di men valore,
12.113E che, passato april, cangia pensiero.
12.114Puosse pur maritar col suo caro olmo,
12.115O col suo lento salcio; e quel che rende,
12.116Coll'opra di Vulcan purgar in modo,
12.117Che più lunghi aggia i giorni, o porlo in mensa
12.118Alla più vil famiglia al più gran gielo.
12.119L'altra, che per sé stessa e prende e torna
12.120L'umor che caggia, e 'l chiuso fumo esale,
12.121Né di scabbiosa ruggine empia i ferri,
12.122Né sia molto ghiaiosa, e non riceva
12.123La venenosa creta o 'l secco tufo
12.124Ch'alle serpi e scorpion son proprio albergo,
12.125Ma con modo e ragion sia d'erbe cinta;
12.126Quella alle vigne tue, quella all'uliva,
12.127All'aratro, alle gregge, a quanto vuole
12.128Comandar il villan, fia pronta e leve.
13.1Così tutto avvisato, il tempo e 'l loco,
13.2Proveggia i tralci; e non perdoni all'opre,
13.3Di cercar notte e dì, presso e lontano,
13.4Ove siano i miglior; né si contenti
13.5Di quei dell'avo suo, che forse a torto
13.6Neghittoso accusava i colli suoi
13.7Che gli fero aspre le vendemmie e frali.
13.8Accordi il buon nocchier ch'a Lesbo e Rodo
13.9E Creta, e per quei mar le merci porta,
13.10Ch'indi ne svella, e le più nobil piante
13.11Con terra avvolte cui sovente bagne,
13.12Ne le rechi fedel nel suo ritorno:
13.13E se la prora sua volge all'occaso,
13.14Dal bel regno di Gallia, ove il gran giogo
13.15Del freddo Pireneo vede il mar nostro,
13.16Tal pianta prenda; ch'assai più soave
13.17E più salubre avrà la forza e 'l gusto.
13.18Né il sen partenopeo, né mille appresso
13.19Degli italici lidi fieno avari
13.20Di generose vigne e d'altri frutti,
13.21Che chi vorria contar, potrebbe ancora
13.22Narrar l'arene ch'in Cirene avvolge
13.23Zeffir cruccioso, o quando l'Euro è torbo
13.24E che rabbioso vien, quante onde spinga
13.25L'aspro ïonio mar nei liti suoi.
13.26Già si cavin le fosse, e tanto avanti,
13.27Ch'il freddissimo Coro e cotto e trito
13.28Aggia il mosso terren pria che la vite
13.29Se gli commetta in sen; poi si ricuopra
13.30Sì leggier, che l'umor trapasse addentro.
13.31Quei che voglion servar fedele e 'ntera
13.32La santa maiestà di sì bella arte,
13.33In un simil terren più di le piante
13.34Tendon sepolte, perché a poco a poco
13.35Gustin l'albergo, e che natura in esse
13.36Vesta il nuovo costume, e 'l vecchio spoglie;
13.37Poi quella parte ove riguardan l'orse,
13.38E dove il mezzodì, segnano in guisa,
13.39Che le possin tornar nel modo primo:
13.40E può molto giovar; tanto ha di forza
13.41Della tenera età l'usanza antica.
13.42Ma più religïon servar conviense
13.43Al mandorlo, all'uliva, all'altre piante
13.44Che di più gran valor montano al cielo.
13.45Ove è grasso il terren, più spessa pianti
13.46L'eletta vigna sua; dove sia frale,
13.47Lasci spazio maggior: e non le doni
13.48Peregrina compagna; e sovrammodo
13.49Del nocciuol viene schiva: e non riguarde
13.50Al Sol che caggia in mar; ché se ne attrista.
13.51Tenga gli ordini eguai, che non pur danno
13.52Agli occhi dei miglior leggiadro aspetto;
13.53Ma ben divise in sé, con più ragione
13.54Le amministra il terren l'umore e l'esca;
13.55Né, premendo, fra lor si fanno oltraggio.
13.56Mostrin l'istessa forma che si vede
13.57In guerra spesso, ove l'orribil tromba
13.58Risveglia all'arme, e che la folta schiera
13.59Si spiega in quadro, e 'n minacciose tempre
13.60Volge al nemico il volto, e 'ntenta aspetta,
13.61Per già muover la man, del duce il segno;
13.62Ch'ha di numero par la fronte e i fianchi.
13.63Molti furo a quistion, come profonda
13.64Voglia la fossa aver: ma in somma sia
13.65(Secondo il loco pur) non molto addentro.
13.66Gli altri arbori maggior, ch'han più vigore
13.67E più salde le membra, e 'n alto stanno
13.68Con lunghe braccia e con aperta fronte
13.69A combatter coi venti al più gran verno,
13.70E di cibo più largo han più mestiero;
13.71Convenevole a lor sotterri il piede.
13.72Seguiti in ciò colui che dottamente
13.73Fonda eccelse colonne, archi e teatri,
13.74O minacciose moli in mezzo il mare;
13.75Che, quanto il ciglio lor più s'alza al cielo,
13.76Più comincia il lavor di verso il centro:
13.77E natura ave in ciò maestra e guida;
13.78Ch'all'altissimo pino, all'eschio, al faggio,
13.79Al cerro invitto, ed a mill'altri insieme,
13.80Quanto leva a ciascun la chioma in suso,
13.81Tanto abbassa laggiù le sue radici.
13.82Or non resta al cultor nuova altra cura,
13.83Ch'alle piantate viti, agli altri frutti
13.84Metter dentro e d'intorno ghiara o vasi,
13.85Che guarde il troppo umor che non discenda
13.86A guastar le sue barbe, e 'l poco alletti.
13.87Poi gli guardi dal ferro e dagli armenti,
13.88Dai vermi e dalle capre; e si ricorde
13.89Che tanto a Bacco fan dannaggio e scherno,
13.90Che 'l suo gran sacrificio è d'esse sposo.
14.1Qui m'aiuti or cantar la sacra Pale;
14.2Col favor della qual dico al pastore,
14.3Che delle gregge sue tal cura prenda,
14.4Che non manche il letame ai magri colli,
14.5Né da coprir la sua famiglia il verno,
14.6E ne' giorni più lieti agnelli e latte,
14.7E capretti e formaggio ai miglior tempi.
14.8Quando si fugge il giel, quando già indora
14.9Gli umidi pesci il sol, quantunque il vento
14.10Fugga, e la neve a Zeffiro s'arrende;
14.11Loro apporta più doglia, e spesso morte
14.12Questo tempo novel, che Borea e 'l ghiaccio.
14.13Questo le trova ancor debili e grame;
14.14E senza cibo dar, piovoso e molle,
14.15Di mille infermità le rende preda.
14.16Faccia di stoppie ancor, faccia di felci
14.17Sovra il duro terren coverchio e letto
14.18Contro al frigido umor rimedio, e schermo
14.19A la tarda podagra e l'aspra scabbia.
14.20E quando è carco il ciel, di frondi e fieno
14.21Empia la mensa lor sotto il suo tetto,
14.22E dell'acque miglior; che non convegna,
14.23Senza pasco trovar, bagnar le gonne.
14.24Poiché l'erba rinasce, e torna il caldo,
14.25Muova or la capra e l'umil pecorella,
14.26Questa alle verdi piagge, e quella al bosco,
14.27Tosto che appar l'aurora, mentre ancora
14.28La notturna rugiada l'erbe imperla.
14.29Poiché 'l sol monta, ai più gelati rivi
14.30Dia lor ristoro; e 'n qualche chiusa valle,
14.31O sotto ombra ventosa d'elce o d'olmo
14.32Le tenga a ruminar: poi verso il vespro
14.33Le rivolga a trovare i colli e i fiumi.
14.34Chi tien cara la lana, le sue gregge
14.35Meni lontan dagli spinosi dumi,
14.36E da lappole e roghi, e da le valli
14.37Che troppo liete sian: le madri elegga
14.38Di delicato vel candide e molli;
14.39E ben guardi al monton; che bench'ei mostri
14.40Tutto nevoso fuor, se l'aspra lingua
14.41Sia di fosco color, di negro manto
14.42O di macchiato pel produce i figli.
14.43Chi cerca il latte, ove fiorisca il timo,
14.44Ove verdegge il citiso, ove abbonde
14.45D'alcun salso sapor erba odorata,
14.46Dia loro il pasco: ché da questi viene
14.47Maggior la sete; e grazioso e vago,
14.48D'un insolito sal dà gusto al latte.
14.49Quel ch'al nascer del dì si munge, al vespro
14.50Prema il saggio pastor: quel della sera,
14.51Quando poi surge il sol, formaggio renda.
14.52Non si lassi talor dentro all'albergo
14.53Dell'innocenti gregge arder intorno
14.54Dell'odorato cedro, o del gravoso
14.55Galbano, o d'altro tal ch'a lui simiglie;
14.56Che discaccian col fumo dai lor letti
14.57La vipera mortal, l'umida serpe,
14.58Che s'han fatto ivi il nido, e son cagione
14.59(Colpa del suo guardian) d'interna peste.
14.60Qui s'avveggia alla fin, che 'l tempo è giunto
14.61Di tor la veste all'umil pecorella,
14.62Ch'ha troppa intorno, e non si sdegna o duole,
14.63Per ricoprirne altrui, torla a se stessa;
14.64Purché d'acqua corrente o di salse onde
14.65Sia ben purgata appresso; e poi d'amurca,
14.66D'olio, di vin, di zolfo e vivo argento,
14.67E di pece e di cera e d'altri unguenti
14.68Le sia fatta difesa al nudo dorso
14.69Contra i morsi e venen di vermi e serpi.
14.70Né fra l'ultime cure il fido cane
14.71Si dee quinci lasciar; ma dalle cune
14.72Nutra il rozzo mastin, che sol conosca
14.73Le sue gregge e i pastori, e d'essi prenda
14.74Il cibo ai tempi suoi, d'ogni altro essendo,
14.75Come lupo o cinghial, selvaggio e schivo.
14.76Non muova mai dalle sue mandre il piede:
14.77Seguale il giorno; e poi la notte pose
14.78Su la porta, o tra lor, come altri vuole.
14.79Sia suo letto la terra, e tetto il cielo;
14.80Né mai veggia l'albergo, e mai non guste
14.81Delicate vivande; e fugga il foco.
14.82Sia soverchio velluto, a fin che possa
14.83Ben soffrir il seren, la pioggia e 'l gielo:
14.84E ch'al dente del lupo schermo vegna.
14.85Candido lo vorrei; ché più lontano,
14.86All'oscura ombra, si dimostra altrui,
14.87E men puote ingannar guardiano o gregge.
14.88Minacciosa la fronte, il ciglio torvo,
14.89Sempre innanzi alla schiera il passo muova;
14.90E col fischio e col grido avvezzo tale,
14.91Che riguardi sovente accanto e 'ndietro.
15.1Or vengo a visitar l'ingegnose api,
15.2Di cui prender si deve il frutto primo
15.3Del suo dolce liquor, quando si vede
15.4Ch'Apollo lascia il Tauro, e 'n oriente,
15.5Poco avanti l'aurora, il volto mostra
15.6La candida Taigete, e col bel piede
15.7Ripercotendo il mar si leva in alto.
15.8E ben più largamente il buon villano
15.9Può depredar il mel; perché l'estate,
15.10Sendo il tempo sereno e i venti in bando,
15.11(Benché vinca il calor) non manca a quelle
15.12Mille fior, mille erbette, in mille valli
15.13Ove può meno il sol, che danno l'esca
15.14Che lor troppa furò l'avara mano.
16.1O beato colui che in pace vive,
16.2Dei lieti campi suoi proprio cultore;
16.3A cui, stando lontan dall'altre genti,
16.4La giustissima terra il cibo apporta,
16.5E sicuro il suo ben si gode in seno!
16.6Se ricca compagnia non hai d'intorno
16.7Di gemme e d'ostro, né le case ornate
16.8Di legni peregrin, di statue e d'oro,
16.9Né le muraglie tue coperte e tinte
16.10Di pregiati color, di vesti aurate,
16.11Opre chiare e sottil di Perso e d'Indo;
16.12Se il letto genital di regie spoglie,
16.13E di sì bel lavor non aggia il fregio,
16.14Da far tutta arrestar la gente ignara;
16.15Se non spegni la sete, e toi la fame
16.16Con vasi antichi in cui dubbioso sembri
16.17Tra bellezza e valor chi vada innante;
16.18Se le soglie non hai dentro e di fuore
16.19Di chi parte e chi vien calcate e cinte,
16.20Né mille vani onor ti scorgi intorno;
16.21Sicuro almen nel poverello albergo
16.22Che di legni vicin del natio bosco,
16.23E di semplici pietre ivi entro accolte,
16.24T'hai di tua propria man fondato e strutto,
16.25Colla famiglia pia t'adagi e dormi.
16.26Tu non temi d'altrui forza né inganni,
16.27Se non del lupo; e la tua guardia è il cane,
16.28Il cui fedel amor non cede a prezzo.
16.29Qualor ti svegli all'apparir dell'alba,
16.30Non trovi fuor chi le novelle apporte
16.31Di mille ai tuoi desir contrari effetti;
16.32Né, camminando o stando, a te conviene
16.33All'altrui satisfar più ch'al tuo core.
16.34Or sopra il verde prato, or sotto il bosco,
16.35Or nell'erboso colle, or lungo il rio,
16.36Or lento or ratto a tuo diporto vai.
16.37Or la scure or l'aratro or falce or marra,
16.38Or quinci or quindi, ov'il bisogno sprona,
16.39Quando è il tempo miglior, soletto adopri.
16.40L'offeso vulgo non ti grida intorno,
16.41Che derelitte in te dormin le leggi.
16.42Come a null'altra par dolcezza reca
16.43Dell'arbor proprio e da te stesso inserto,
16.44Tra la casta consorte e i cari figli,
16.45Quasi in ogni stagion goderse i frutti!
16.46Poi darne al suo vicin, contando d'essi
16.47La natura, il valor, la patria e 'l nome;
16.48E del suo coltivar la gloria e l'arte,
16.49Giungendo al vero onor più larga lode!
16.50Indi menar talor nel cavo albergo
16.51Del prezïoso vin, l'eletto amico;
16.52Divisar dei sapor, mostrando come
16.53L'uno ha grasso il terren, l'altro ebbe pioggia;
16.54E di questo e di quel di tempo in tempo
16.55Ogni cosa narrar che torni in mente!
16.56Quinci mostrar le pecorelle e i buoi,
16.57Mostrargli il fido can, mostrar le vacche,
16.58E mostrar la ragion che d'anno in anno
16.59Han doppiato più volte i figli e 'l latte!
16.60Poi menarlo ove stan le biade e i grani,
16.61In vari monticei posti in disparte;
16.62E la sposa fedel, ch'anco ella vuole
16.63Mostrar ch'indarno mai non passe il tempo,
16.64Lietamente a veder d'intorno il mena
16.65La lana, il lin, le sue galline e l'uova,
16.66Che di donnesco oprar son frutti e lode!
16.67E dipoi ritrovar, montando in alto,
16.68La mensa inculta, di vivande piena
16.69Semplici e vaghe; le cipolle e l'erba
16.70Del suo fresco giardin: l'agnel ch'il giorno
16.71Avea tratto il pastor di bocca al lupo
16.72Che mangiato gli avea la testa e 'l fianco!
16.73Ivi, senza temer cicuta e tosco
16.74Di chi cerchi il tuo regno o 'l tuo tesoro,
16.75Cacciar la fame, senza affanno e cura
16.76D'altro che di dormir la notte intera,
16.77E trovarsi al lavor nel nuovo sole!
17.1Ma qual paese è quello ove oggi possa,
17.2Glorïoso Francesco, in questa guisa
17.3Il rustico cultor goderse in pace
17.4L'alte fatiche sue sicuro e lieto?
17.5Non già il bel nido ond'io mi sto lontano,
17.6Non già l'Italia mia; che, poiché lunge
17.7Ebbe, altissimo Re, le vostre insegne,
17.8Altro non ebbe mai che pianto e guerra.
17.9I colti campi suoi son fatti boschi,
17.10Son fatti albergo di selvagge fere,
17.11Lasciati in abbandono a gente iniqua.
17.12Il bifolco e 'l pastor non puote appena
17.13In mezzo alle città viver sicuro
17.14Nel grembo al suo signor; che di lui stesso
17.15Che 'l devria vendicar, divien rapina.
17.16Il vomero, il marron, la falce adonca
17.17Han cangiate le forme, e fatte sono
17.18Empie spade taglienti, e lance agute
17.19Per bagnar il terren di sangue pio.
17.20Fuggasi lunge omai dal seggio antico
17.21L'italico villan; trapasse l'alpi;
17.22Truove il gallico sen; sicuro posi
17.23Sotto l'ali, Signor, del vostro impero.
17.24E se qui non avrà, come ebbe altrove,
17.25Così tepido il sol, sì chiaro il cielo;
17.26Se non vedrà quei verdi colli t¢schi,
17.27Ove ha il nido più bel Palla e Pomona;
17.28Se non vedrà quei cetri, lauri e mirti,
17.29Che del Partenopeo veston le piagge;
17.30Se del Benaco e di mill'altri insieme
17.31Non saprà qui trovar le rive e l'onde;
17.32Se non l'ombra, gli odor, gli scogli ameni
17.33Che 'l bel liguro mar circonda e bagna;
17.34Se non l'ampie pianure e i verdi prati
17.35Che 'l Po, l'Adda e 'l Tesin rigando infiora,
17.36Qui vedrà le campagne aperte e liete,
17.37Che senza fine aver vincon lo sguardo;
17.38Ove il buono arator si degna appena
17.39Di partir il vicin con fossa o pietra:
17.40Vedrà i colli gentil, sì dolci e vaghi
17.41E 'n sì leggiadro andar, tra lor disgiunti
17.42Da sì chiari ruscei, sì ombrose valli,
17.43Che farieno arrestar chi più s'affretta.
17.44Quante belle sacrate selve opache
17.45Vedrà in mezzo d'un pian, tutte ricinte
17.46Non da crude montagne o sassi alpestri,
17.47Ma dai bei campi dolci e piagge apriche!
17.48La ghiandifera quercia, il cerro e l'eschio
17.49Con sì raro vigor si leva in alto,
17.50Ch'ei mostran minacciar coi rami il cielo,
17.51Ben partiti tra lor, ch'ogni uom direbbe
17.52Dal più dotto cultor nodrite e poste
17.53Per compir quanto bel si truove in terra.
17.54Ivi il buon cacciator sicuro vada,
17.55Né di sterpo o di sasso incontro tema,
17.56Che gli squarce la veste, o serre il corso.
17.57Qui dirà poi con maraviglia forse,
17.58Ch'al suo caro liquor tal grazia infonde
17.59Bacco, Lesbo obliando, Creta e Rodo;
17.60Che l'antico falerno invidia n'aggia.
17.61Quanti chiari benigni amici fiumi
17.62Correr sempre vedrà di merce colmi;
17.63Né disdegnarse un sol d'avere incarco
17.64Ch'al suo corso contrario indietro torni!
17.65Alma sacra Ceranta, Esa cortese,
17.66Rodan, Sena, Garona, Era e Matrona;
17.67Troppo lungo sarìa contarvi appieno.
17.68Vedrà il gallico mar soave e piano:
17.69Vedrà il padre Ocean superbo in vista
17.70Calcar le rive, e spesse volte irato,
17.71Trionfante scacciar i fiumi al monte;
17.72Che ben sembra colui che dona e toglie
17.73A quanti altri ne son le forze e l'onde.
17.74Ma, quel ch'assai più val, qui non vedranse
17.75I divisi voler, l'ingorde brame
17.76Del cieco dominar che spoglie altrui
17.77Di virtù, di pietà, d'onore e fede;
17.78Come or sentiam nel dispietato grembo
17.79D'Italia inferma, ove un Marcel diventa
17.80Ogni villan che parteggiando viene.
17.81Qui ripiena d'amor, di pace vera,
17.82Vedrà la gente; e 'n carità congiunti,
17.83I più ricchi signor, l'ignobil plebe
17.84Viverse insieme, ritenendo ognuno
17.85Senza oltraggio d'altrui le sue fortune.
17.86Nell'albergo real vedrà due rare
17.87Sacrate e prezïose Margherite,
17.88Che invidia fanno al più soave aprile,
17.89All'Indo, al Tago, alla vermiglia Aurora.
17.90Carlo non ci vedrà, che s'ei potea
17.91Il fil fatale a più perfetti giorni
17.92Condurre (ahi destin crudo!), ogni mortale
17.93Sormontava d'onore, ed era a tutto
17.94L'äusonico sen pace e ristoro,
17.95Non all'Insubria pur che 'l piange e chiama.
17.96Vedrà l'alto splendor che, poiché l'Arno
17.97Ornò di tanto bene, e ricco feo
17.98Il purpureo suo giglio, empie e rischiara
17.99Or del Gallo divin gli aurati gigli
17.100Dei raggi suoi: quell'alma Caterina,
17.101Al cui gran nome la mia indegna cetra
17.102Consacrati darà questi ultimi anni.
17.103L'alto sposo vedrà, che nell'aspetto
17.104E nello sguardo sol mostra ch'avanza
17.105Di valor, di virtù, di gloria e d'arme
17.106L'antica maiestà degli altri regi,
17.107Ch'or s'inchina adorando: il sommo Enrico.
17.108Poi il sostegno dei buon, l'eletta sede
17.109Di giustizia e d'onor, l'altero speglio
17.110Di bontà integra, il fido lume e chiaro
17.111D'invitta cortesia, l'esempio in terra
17.112Di quanto doni il Ciel a noi mortali,
17.113Magnanimo Francesco, in voi vedranno;
17.114Sotto il cui santo oprar, tranquillo e lieto
17.115Il vostro almo terren sicuro giace,
17.116Qualor sente in altrui più doglia e tema:
17.117Quasi uom che veggia, in alto monte assiso,
17.118Dentro il cruccioso mar Borea rabbioso
17.119Ch'allo scoglio mortal percuote un legno;
17.120Che di non esser quel ringrazia il cielo.
17.121Vivi, o sacro terren; vivi in eterno
17.122D'ogni lode e di ben fido ricetto:
17.123A te drizzo il mio stil; per te sono oso
17.124D'esser primo a versar nei lidi toschi,
17.125Del divin fonte che con tanto onore
17.126Sol conobbe e gustò Mantova ed Ascre.
17.127Ma tempo viene omai che 'l fren raccoglia
17.128Al buon corsier, che per sì dolci campi
17.129Tal vagando fra sé diletto prende,
17.130Che stanchezza o sudor non sente in essi.
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