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1.1Già con lo estivo tempo ambo i Gemelli,
1.2dietro correndo al fuggitivo Toro
1.3schiarando l'aere, fan ridere i fiori.
2.1Ripresi han l'erbe i lor soavi odori,
2.2quali il Scorpion minaccia e 'l Capricorno,
2.3e poi l'Acquario e 'l Pesce
2.4celan fin che 'l Monton gli manda fuori.
2.5Li fauni fra le selve fan ritorno;
2.6ogni letizia cresce
2.7a tutti li animal che sono in terra,
3.1quando solo a me stesso ho mossa guerra
3.2via maggior di pensier, che in fatti a Tebe
3.3non fêr li sette regi.
3.4Questa, di mano in man crescendo, serra
3.5l'anima a convertire il corpo in glebe;
3.6ma, pria che morte il fregi,
3.7di tal causa vo' dir la maggior parte.
4.1In questo tempo, quando il sol comparte
4.2a punto i razzi fra l'occaso e l'orto
4.3e fassi a noi merigge,
4.4pervenni ove li augelli usan loro arte,
4.5in fra li rami ascosi a lor diporto
4.6dal calor ch'ei traffigge.
4.7Io, ch'era sol con mille nella mente
5.1preclari e illustri per fama eccellente,
5.2guardando vidi innanzi a me un tal sito
5.3distante un quarto miglio,
5.4che appena a crederlo il cor mel consente:
5.5da l'una parte v'è un pratel fiorito,
5.6giallo, bianco e vermiglio
5.7lo smalto, e chiuso di lauri e d'abeti.
6.1Due finestrelli ferrati e secreti
6.2da questa parte son, poche braccia alti,
6.3per camera terrena,
6.4senza altra entrata o finestra che vieti
6.5altrui celarsi ne' dipinti smalti;
6.6poi un mura incatena
6.7col palazzo un giardin dov'è l'entrata.
7.1Com' esta abitazione edificata
7.2dentro si sia non so, ch'io m'assettai
7.3tra 'l muro e un faggio all'ombra,
7.4immaginando de l'alta brigata,
7.5con la qual mossi e che meco portai,
7.6veder questa e quell'ombra
7.7tener quel loco per lor proprio regno:
8.1Priam co i figli in disdegnoso segno
8.2contra ad Agamenòn e ad ogni greco,
8.3e inverso ad Enea Turno,
8.4di Roma i Galli cacciar Furio degno,
8.5Brenno, Porsenna e Pirro co i suoi seco;
8.6ed al fiume al Vulturno
8.7affigurava le romane spoglie.
9.1Qui veggio Annibal che l'anella toglie,
9.2Fabio ver lui, Marcello e 'l buon Crespino;
9.3e veggio Scipïone,
9.4che trïunfando, a Roma si raccoglie.
9.5Io dissegnava, e tenea il capo chino,
9.6un'altra legïone
9.7non men d'autorità, di laude e fama.
10.1Tanto mi tira in lor pensar la brama
10.2che io gli affigurai per le loro opre
10.3nel lor singular gesto:
10.4chi Plato grida, chi Aristotil chiama,
10.5voce peripatetica gli scuopre
10.6l'abito stoico e onesto;
10.7etnici ed epicur mi mostran gli atti.
11.1Eschine e Demostène avea ritratti
11.2retorici, con Cicero oratore,
11.3il lor corretto dire
11.4Parmenide, c'ha i solocismi tratti
11.5dalla ripa di Caucaso, inventore,
11.6fé loica fiorire;
11.7musici e geomètri ivi affiguro.
12.1Mentre che tale effigie tengo, un scuro
12.2e grave strido attonito mi volse
12.3inverso le finestre;
12.4seguendo un altro, io m'accostai più al muro,
12.5perché di quella camera si sciolse;
12.6e con parole alpestre
12.7in voce mesta udi' chiamare: «O Morte!»
13.1Questa, seguendo poi non così forte:
13.2«Sciogli este membra da l'umana vita»,
13.3come chi si riteme,
13.4seco stessa narrando sua ria sorte
13.5sotto voce, per esser men sentita,
13.6e co i sospiri inseme
13.7singhiozzando frangeva ogni parola:
14.1«Lassa, ch'io son tra l'altre unica e sola
14.2quella che posso con ragion dolermi
14.3d'Amore e di suoi torti,
14.4qual per novo Cupido il cor m'invola,
14.5anzi m'ancide, quando ho, gli occhi fermi
14.6nell'atti vaghi e accorti,
14.7del mio signore un ardente desio,
15.1il qual, come sua sono, or fusse ei mio,
15.2ché dove io piango, lieta canterei
15.3più che donna che sia!
15.4Or, s'io l'avessi qui, che fare' io?
15.5Pensil chi legge, ché dir nol saprei;
15.6poi, nella sua bailia
15.7stretto abbracciandol, mi gitterei al collo.
16.1Fu mai un sì bel viso, o sommo Appollo?
16.2O ninfe di Parnaso, or m'aiutate
16.3a commendar costui!
16.4Io l'affiguro, ma ridir non sollo,
16.5d'ambe le luci di lume adornate
16.6come legata fui,
16.7che mal per me le mie scontrârsi in loro.
17.1Qual Ganimede mai, qual Polidoro
17.2qual Absalon, qual Patroclo o Parisse,
17.3o qual di Leda i figli
17.4a te pari, signor? per cui io moro,
17.5unico idol mio, crudel Narcisse.
17.6Rose incarnate e gigli
17.7son le tue guance, anzi di proprie perle:
18.1perché non posso or con le mie tenerle?
18.2ché renderiano il perduto valore,
18.3essilïando i guai.
18.4Tapina me! non posso pur vederle
18.5l'anno una volta; onde si strugge il core
18.6e forse tu nol sai,
18.7ché esser non può che alquanto non mi amassi.
19.1Meco piangete, o insensibil sassi,
19.2o dipinte pareti d'esto loco,
19.3o tirate cortine,
19.4dov'io rasciugo gli occhi, non mai lassi
19.5di lagrimare! E così a poco a poco
19.6in fra l'alme tapine
19.7con sospir paürosi il spirto corre.
20.1Se fussi or qui, chi mi ti potria tôrre
20.2altri che Morte? e me teco in quell'ora,
20.3se fusse Amor sì crudo,
20.4sul letto in giubarel di seta porre,
20.5teco scherzando per poca dimora.
20.6Ma poi ti vorrei gnudo,
20.7sì ch'io vedessi scoperto ogni membro.
21.1La tua candida gola, ch'io rimembro,
21.2in furia annoderei con le mie braccia,
21.3i belli occhi baciando.
21.4Allor vederti un po' crucciar rassembro,
21.5ma, rimirando tua angelica faccia,
21.6donde ira e odio ha bando,
21.7ridendo, pace poi mi renderebbe.
22.1Se la mia bocca la tua bacerebbe
22.2non domandi nessun, ché tante fiate
22.3quante mai dissi il nome
22.4e molte più, baciar converrebbe,
22.5stretta nelle tue braccia dilicate,
22.6gustando il dolce pome,
22.7fin che l'ultimo gioco incominciasse.
23.1Tacendo converria questo passasse,
23.2e poi cogliessi un fior del mio giardino,
23.3ed io un ne correi,
23.4al qual simile mai non si trovasse.
23.5Con voce umìle, o dolce amor mio fino,
23.6ridendo a te direi:
23.7«Or ha pur giunto Fillis Demofonte;
24.1parte s'è vendicata ancor dell'onte
24.2Fedra del suo Ipolito selvaggio».
24.3Ma tutto questo è nulla,
24.4ch'esser non posson le cose c'ho conte,
24.5e più che Fedra o Fille al fonda caggio,
24.6poi che tanto fanciulla
24.7entrata son nell'amorosa danza.
25.1Con quello aurato stral, ch'ogn'altro avanza,
25.2m'innaverasti, o Venere crudele
25.3col qual Marte passasti.
25.4Se del tuo figlio perdéo la speranza
25.5Dido, poi che ad Italia volse vele,
25.6pur prima l'appagasti:
25.7ma io prima né poi spero conforto.
26.1Ahi, ria fortuna, quanto mi fai torto!
26.2Or mio padre domanda, or mio fratello
26.3e talor mia nutrice:
26.4«Che hai, Eulogia, c'hai sì il viso smorto?»
26.5Io pur mi scuso, ma egli è quel quadrello
26.6che secondo si dice,
26.7ha già passato il core a più di mille.
27.1Briseida il testimoni per Acchille,
27.2ed ei per Pulisena anco il può dire,
27.3e per Iason Medea.
27.4Già sento un foco, da queste faville
27.5acceso, che mi fa d'amor languire».
27.6Mentre che sì piangea,
27.7ed io gli sentii dire: «Ecco, io son morta».
28.1Della camera udi' aprir la porta
28.2ed una donna dir: «Lassa! che fia?
28.3Oimè, Eulogia, che hai?
28.4Qual accidente è questo? Or perché accorta
28.5non fusti di chiamarmi, anima mia?»
28.6E, rinforzando i guai,
28.7dicea piangendo: «Io son la tua Fiorita;
29.1non mi cognosci e sai ch'io t'ho nutrita?
29.2Ma parmi l'alma già da te migrata,
29.3trista me dolorosa».
29.4Subito a lagrimar pietà m'invita,
29.5credendo quella per amor passata
29.6con tal pena angosciosa
29.7ch'io mi gittai tra i fior quivi disteso.
30.1Ma poco stante mi tenne sospeso
30.2un gran sospir com' uom che 'l sonno lascia
30.3ed un «Oimè!» con esso,
30.4per modo che a ascoltar tornai più atteso;
30.5e troppo bene udi' che, fra l'ambascia,
30.6quella fanciulla appresso
30.7disse: «Monna Fiorita mia, che fate?
31.1Or non sapete voi la novitate
31.2che or m'intervenne d'uno sfinimento
31.3tal che quasi m'uccise?»
31.4«Cara figliuola, sì; onde ho levate
31.5le mani al sommo Iove, che 'l tormento
31.6da lo mio cor divise,
31.7poi ch'io ti vidi il spirito tornare.
32.1Ma qual cagion t'ha fatto sì cangiare
32.2il tuo lucente sopra ogn'altro viso,
32.3che solea far sereno
32.4davanti a sé ciò ch'el potea sguardare,
32.5bianco e vermiglio, o fresco fiordaliso?»
32.6«Forse ch'io venni meno
32.7— disse Eulogia — perché ier digiunai,
33.1ed esta mane ancor poco mangiai,
33.2vinta da un fumo che 'l stomaco getta.
33.3Questa fu la cagione
33.4di questo caso». Ed ella: «Perché il fai?
33.5Non digiunar, figliuola mia diletta;
33.6toi questa confezione.
33.7Tu se' troppo fantina a tali affanni:
34.1forniti non hai ancor pur tredici anni.
34.2lascia a me digiunar, che omai son vecchia,
34.3e tu piacer ti dona
34.4tra danze e canti, adorna di bei panni».
34.5Già Febo inver la Spagna s'apparecchia,
34.6onde i suoi corsier sprona
34.7Eoo, Piroi e Filogeo
35.1e con Eton, sì che 'l carro volgeo
35.2a quell'altro emisferio; onde, pensando
35.3nelle ascoltate cose,
35.4mi dipartii là donde udito aveo,
35.5più volte ogni parola reiterando.
35.6Una quistion propuose
35.7l'animo mio, così fra sé dicendo:
36.1«Costei che ama, se chiaro comprendo,
36.2si duol perché l'amato non s'accorge
36.3del suo caldo desio,
36.4né vuol scoprirsi ad altri, ed io l'intendo.
36.5Ma poi che Amor la grazia non gli porge,
36.6giel posso scoprir io».
36.7altra oppinïon dice: «Nol fare,
37.1ché, se colui venisse a innamorare,
37.2io so come sa far Fortuna poi:
37.3gran pericol saria
37.4non potersi a lor posta trovare.
37.5Ben so d'Amor tutti i tranelli soi;
37.6ecco poi gelosia,
37.7e, dove una si duol, due n'uccidrei.
38.1Questo non farò io, ch'io non vorrei
38.2legare alcun che sia libero e sciolto;
38.3così posso contento
38.4far altri, o forse pene adoppierei».
38.5Da ogni fantasia questo m'ha tolto.
38.6E pur passione sento
38.7veder perder colui per ignoranza
39.1una sì bella e grazïosa amanza
39.2quanto richiede la sua gentilezza,
39.3e lei morir per lui;
39.4s'io ben compresi, ognun di loro avanza
39.5qualunque creatura di bellezza.
39.6Così quel giorno fui
39.7dal dolce lamentar per pietà vinto,
39.8sì che nel core il porto ancor dipinto.
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