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1.1In una valle tra due montagnette,
1.2dov'è un giardino adorno
1.3con fonte in mezzo e intorno selve folte,
1.4nel qual Gemini il caldo mai non mette,
1.5perché orizzonte intorno
1.6vi fan degli arbusce' le fronde molte,
1.7da Eolo l'un monte il prato guarda,
1.8sì che i fiori e l'erbette
1.9non mutan mai la lor ridente vista;
1.10non par per freddo aghiacci o per caldo arda.
1.11In questo luogo strette
1.12sente spesso da amor la mente trista.
1.13Co' miei bracchetti giva un dì cacciando;
1.14più presta che leoparda
1.15innanzi mi si fece una cervetta:
1.16a seguitar la incominciai sgridando.
1.17La qual come gagliarda
1.18ben dimostrava aver nel correr fretta,
1.19e corso che avea alquanto, si volgea
1.20nella vista spregiando
1.21me e' miei cani, e poneasi a giacere.
1.22E tanto fé così, che già m'avea
1.23stracco, sì che ansando
1.24lascia'la andare e puosimi a sedere,
1.25e simile ella allato a me si puose;
1.26onde io che m'accorgea
1.27d'esta malvagia e falsa selvaggina,
1.28la qual facea ver me viste sdegnose,
1.29con furia mi movea
1.30amettendogli i can con gran ruvina.
1.31Ma dentro al bosco, che 'l giardin circunda,
1.32subito si nascose;
1.33e quasi la credeva aver smarrita,
1.34quando mi si mostrò tra fronda e fronda;
1.35ond'io l'afaticose
1.36gambe movei, ed ella era già uscita
1.37di quel gran bosco fero, folto e ombroso,
1.38quella cerbia gioconda,
1.39ed era entrata già nel bel giardino.
1.40Io la seguia col cor desideroso,
1.41ed ella alla chiara onda
1.42della fontana, donde esce un bel pino,
1.43m'aspettava, specchiando il falso viso.
1.44Con l'animo angoscioso
1.45ver lei mi mossi, anoiando il suo strazio,
1.46la qual fu in forma d'augelletto miso.
1.47Io, come paüroso
1.48di tal trasmutazion, rimasi sazio,
1.49vedendo in Filomena lei conversa.
1.50Allor come conquiso,
1.51da lei nugato e affannato dal corre,
1.52gittossi mia persona ivi riversa,
1.53dicendo: «Io sono anciso;
1.54nulla si mova più per me soccorre,
1.55poi che mia cacciagion mutato ha forma».
1.56Mentre che sì sommersa
1.57stava la mente, fe' come tal volta
1.58fa quel che per affanno par che dorma.
1.59Intanto a me diversa
1.60ed aspra visïon mostrossi molta:
1.61pareami che ver me venisson donne,
1.62insieme una gran torma.
1.63Queste dicean: «Deh, confortiam costui!»
1.64Tutte erano vestite a nere gonne,
1.65sì che lor vista innorma
1.66fecemi ricordar di morte altrui.
1.67Di ciò femmi tal sogno al cor pavento,
1.68dicendo a me: «Che fonne?
1.69Dimand'io lor della mia donna bella?»
1.70Io pure stava ad ascoltare attento;
1.71a l'alma il cor parlonne:
1.72«Esser non può a noi buona novella».
1.73Una, che più che l'altre parea stanca,
1.74venìa con passo lento;
1.75più che d'andar, dal duol mostrava lassa;
1.76sotto un candido vel vermiglia e bianca
1.77parìemi, onde contento
1.78ero di lei mirar con vista bassa.
1.79Poi che fu più appressata, a me si volse;
1.80e come il parlar manca
1.81tra li sospir di due che ciascun piagne,
1.82tal fece ella ver me, e poi si dolse,
1.83e disse la dea franca:
1.84«Piatà, piatà, praticelli e montagne,
1.85o selve, o boschi, o fronde, o arbuscelli!
1.86Poi che Venere volse
1.87a me, Dïana, tôr mia bella suora,
1.88meco piangete, o erbe, o fiori, o augelli!»
1.89E poi tal parlar sciolse:
1.90«D'ulivo oggi ha ghirlanda la tua aurora,
1.91e però è sconsolato il mio bel regno.
1.92Omè tu non favelli,
1.93ché altri non vo' che a te di lei dolermi».
1.94Fatti avean gli occhi miei già per disdegno
1.95a' piè due fiumicelli,
1.96e non potea dal pianto ritenermi,
1.97ma caddi allor senza parlare in terra.
1.98Vedendo il mortal segno,
1.99quell'altre, ch'eran con lei in compagnia,
1.100corsono a me, e ciascuna m'aferra
1.101dicendo: «A qual sì degno
1.102hai dato, Amor, Silvïana in balìa?»
1.103Mentre che sopra a me così piangevano,
1.104la mente si disserra:
1.105ritto levâmi, alzando il viso smorto,
1.106e quelle tutte insieme a me dicevano:
1.107«Or pace di tal guerra
1.108ti renda Amor, poi che t'ha fatto torto».
1.109Facesi incontro a me allor Dïana,
1.110e in mezzo mi mettevano:
1.111ella dinanzi, e noi seguavam lei.
1.112Menommi al regno suo la dea sovrana,
1.113nel qual pianto facevano
1.114dodici suore; onde a guardar mi diei
1.115per una sala, ove stava una sedia.
1.116Sopra è una scritta strana:
1.117«Silvïana manebit in hoc loco»;
1.118Dïana allor col pianto che la tedia
1.119quella fé cassa e vana.
1.120Per lei chiamar divenuto era fioco.
1.121Partiti quindi, Dïana menommi
1.122nel loco che m'asedia,
1.123e disse: «Qua vedrai tua bella donna,
1.124quale è nupta, e te e me lasciommi:
1.125però al pianto rimedia,
1.126l'alma appoggiando a più ferma colonna».
1.127Nulla rispuosi mai, ma sospirava.
1.128Quando per veder stommi,
1.129ecco donne venir, d'amor cantando;
1.130quasi come smarrito lor mirava.
1.131Dïana allor mostrommi
1.132quella gentil, per cui da Amore ho bando,
1.133la qual d'ulivo serto aveva in testa;
1.134Venere l'adornava,
1.135spandendo le dorate e belle chiome;
1.136di rosso e perso a traverso è sua vesta.
1.137D'Amor mi lamentava,
1.138e 'l nome ch'io chiamava allora era: O me!
1.139«Ve' la cervetta», a me Dïana disse,
1.140che ti fu manifesta,
1.141trasformandosi poi in augelletto».
1.142Ahi velenoso dardo che m'aflisse,
1.143vedendo presso a questa
1.144venir di diciotto anni un giovinetto!
1.145Come ella, incoronato era d'ulivo,
1.146via più bel che Narcisse,
1.147grazïoso, benigno, umile in atti.
1.148Allor parlai: «Ben che di lei sia privo,
1.149deh, come ben commisse
1.150Amore a racozzar due così fatti!
1.151Contento uterque di loro si chiama».
1.152Partiti quindi, arrivo
1.153a un palazzo a guisa di fortezza,
1.154perché l'animo mio di veder brama.
1.155Più proprio ch'io non scrivo
1.156parvemi afigurar cotal bellezza:
1.157le mura tutte parean d'arïento,
1.158e scolpita la fama
1.159vi si vedea de' nobili passati;
1.160delle finestre avea mille dugento,
1.161ch'era a ognuna una dama.
1.162Chi potria afigurar lor visi ornati?
1.163Ciascuna avea una gabbia d'avoro
1.164con molto adornamento;
1.165dentro augelli vi son da lor nodriti.
1.166Merlato era quel loco a merli d'oro,
1.167e poi un torniamento
1.168v'era intagliato con gli atti scolpiti.
1.169Sopra la porta vidi esto disegno.
1.170Ancor maggior tesoro
1.171vi scorsi, ché tra' merli eran figure
1.172di cristallo, ed ognun mostrava segno
1.173stormenti aver con loro
1.174sì proprî, che parean vive nature.
1.175Sopra la porta di corallo è un arco;
1.176or come è fatto io vegno
1.177a dir, ch'è sostenuto da due angioli:
1.178negli atti mostra ognuno esser ben carco;
1.179ancor per suo sostegno
1.180dintorno è molti cherubini e arcangioli;
1.181e queste son figure pur di marmi.
1.182Sopra è un fanciullo scarco
1.183di panni; come nacque, così è gnudo;
1.184l'ali ha rosse, e che abbia un arco parmi;
1.185stando diritto al varco,
1.186aperto il tiene con l'aspetto crudo.
1.187«Qui m'aspetta — Dïana disse allora —
1.188ché sola voglio andarmi
1.189a saper se possiamo aver l'entrata».
1.190Con l'altre donne rimasi di fora.
1.191Or chi chiamo aiutarmi
1.192la vita che rimane sconsolata,
1.193veggendosi partir da me mia scorta?
1.194Mentre che sì dimora
1.195la mente mia, ed eccola tornare,
1.196e disse: «Tosto s'aprirà la porta,
1.197perché s'appressa l'ora;
1.198deh, non c'incresca un poco l'aspettare».
1.199Non stemo dell'andar di passi cento
1.200che con la voce scorta
1.201cantare udimo: «Ecce regina nostra.
1.202Quod Silvïana secum est memento».
1.203Perch'io la vista smorta
1.204alzai, e vidi incominciar la giostra
1.205di quelli intagli ch'io avea veduto.
1.206A mirare ero attento
1.207le figure tra' merli che sonavano:
1.208quale aveva arpe e quale avea leuto
1.209ed ogn'altro stormento.
1.210Appresso udia gli augelli, i qua' cantavano,
1.211accordandosi insieme, i be' versetti.
1.212Quasi come smarrito
1.213stavo ascoltando e vedendo tal cose:
1.214con musica vedea tanti diletti
1.215che io chiamava aiuto
1.216alle forze d'Amor meravigliose.
1.217«Volgiti a me — Dïana disse — omai,
1.218e gli occhi innanzi metti:
1.219vedrai per cui questo regno è aperto».
1.220Veder mazzier mi parve innanzi assai,
1.221poi molti giovinetti
1.222che a una divisa ognuno era coperto;
1.223appresso a lor dugento damigelle
1.224sì belle, che giammai
1.225non fùr vedute tal nell'universo.
1.226Tutte stormenti avean queste donzelle,
1.227cantando dolci lai.
1.228Vestite erano tutte a rosso e perso.
1.229Dietro a costoro io vidi poi venire
1.230due donne tanto belle
1.231che mi parean del terzo cielo uscite.
1.232Disse Dïana: «E' si vuol riverire
1.233quest'altre presso a quelle;
1.234mira chi sono e di che son vestite».
1.235Dipinta a fiamme l'una avea la vesta;
1.236questa facea lucire
1.237dove sua bella vista rimirava;
1.238l'altra, che poi io scorsi allato a questa,
1.239mi fé perder l'ardire
1.240di lei mirar, ta' raggi saettava!
1.241Ma pur conobbi poi ch'era mia donna,
1.242che avea corona in testa
1.243di smalti, e sopra avea d'ulivo fronde
1.244con la prescritta fanciullesca gonna.
1.245Poi che quella dea onesta
1.246passata fu, venian donne gioconde,
1.247cantando: «Ista Amore consacrari».
1.248Quale Elena o Ansionna
1.249fùr mai sì belle, quanto io vidi due
1.250venir cantando, e diceano: «Iste amari!»
1.251In mezzo per colonna
1.252un giovinetto avean pien di virtùe.
1.253Come e' fu presso all'arco, el fanciul trasse,
1.254dicendo: «I' vo' che appari
1.255quanto questo mio strale a ciascun pugne».
1.256Parvemi con diletto l'accettasse,
1.257pensando i suoi ripari.
1.258E poi che nel circuìto costui giugne,
1.259dietro di donne allor venìa gran schiera.
1.260Tanto che ognun passasse
1.261stetti a vedere, e poi noi presso a loro
1.262entramo in una corte in tal maniera
1.263che Dïana si trasse
1.264dall'una parte di quel bel lavoro.
1.265Due sedie vidi in mezzo della corte;
1.266nell'una quella spera
1.267sedea, che co' suoi raggi par che allumi;
1.268sedea nell'altra le bellezze scorte
1.269del suo bel viro, onde era
1.270quivi tra lor piacevoli costumi.
1.271E, così stando, oltre Venere fassi;
1.272sopra lor crini ha porte
1.273ghirlande fatte in segno di vittoria.
1.274Allor si mossor due con larghi passi,
1.275e con parole scorte
1.276disson a me: «Via, fuor di nostra gloria!»
1.277Ciaschedun pensi come allor divenni,
1.278perché con gli occhi bassi
1.279subito mi partii con pianto amaro.
1.280Ben che a gran pena ritto mi sostenni,
1.281«Piatà, — gridando — o sassi!
1.282Pianga i dannati con lor fratel caro,
1.283pianga co' meco i monti e' duri scogli,
1.284pianga li amari cenni,
1.285pianga i cespugli e prati e bronchi e sterpi,
1.286piangan le selve e' boschi questi orgogli,
1.287pianga il loco ove venni,
1.288pianga di Libbe le fiere e le serpi,
1.289pianga le fronde, gli alberi, le piante!
1.290Ora, Morte, mi togli!
1.291Caron, deh, porta me tra i spirti nigri!
1.292Pianga co' meco tutte le dee sante,
1.293pianga mia penna e' fogli,
1.294pianga li linci, li apri, l'orsi e' tigri,
1.295pianga li fiumi e ruscelli e le fonti!
1.296Piangete tutte quante
1.297co' meco, o fiere, ed ogni cosa pianga;
1.298piangete con piatà, con pianti pronti,
1.299piangete a Amor davante!
1.300O piatosi, di pianger niun rimanga,
1.301quando me, umil servo, son cacciato!
1.302Amor, perché m'adonti?
1.303Non sai quanto son stato a te leale?
1.304Mia donna hai tolto e me essiliato!
1.305Omè, tu non raconti
1.306il perché tu mi fai cotanto male!»
1.307Dal grave pianto e dal scuro lamento
1.308io ero sì occupato.
1.309che poco men che di vita mancai.
1.310Scampommi Giove da tanto tormento,
1.311ché, tutto fracassato,
1.312chiamando allor mia donna mi destai.
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