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SCENA V.

Rime

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1.1Non è la prima volta, che per gli altrui fatti i proprii
1.2Miei ho lasciati, e 'l farò sempre: nulla ripentomene,
1.3Ché per gli amici, più che per sé stessi, nascono gli uomini,
1.4E chi altrimenti volesse fare, le bestie brutte imita.
1.5Io dovea staman ritrovare un che vien di Sicilia,
1.6Il quale mi ragguagliasse come van certi negozii
1.7Ch'io lasciai in Palermo, e già passati cinque anni sono,
1.8In mano di miei giovani, e' quai benché ver me si dimostrino
1.9Assai fedeli, pur quei che lontan, com'io, dimorano,
1.10Né han l'occhio, che spesso come van le cose esamini,
1.11Fan de' buon rei; ché le comodità ci persuadono
1.12Spesso a far quello, che di far prima giammai non pensavasi.
1.13Or basta che per fornir ciò che Simone ha pregatomi,
1.14Ho trascurato il mio, e che molto importa: or eccolo,
1.15Che a punto sarà venuto per la risposta intendere.
1.16Simon, Dio ti dia pace.
1.17Mal me la può dar, Geri mio.
1.18Come, che cosa è nata? si farà, ché recoti
1.19Di quanto m'imponesti ch'io facessi novelle ottime.
1.20Che Bonifazio del tuo parentado è contentissimo,
1.21Rimette in me la dote, et io son poi informatomi
1.22Della qualità, di che noi cerchiamo che sia tuo genero;
1.23Che son queste: egli è a suo padre prima obbedientissimo,
1.24Pensa a le cose di casa, è vigilante a quelle di fuori,
1.25Non giocò mai, veste modesto, non va dietro a femmine,
1.26Dilettasi di cose gravi, co' vecchi assai pratica,
1.27Gli seguita volentieri, e tiene a mente ciò che dicono.
1.28La suocera è buona donna, in casa molto pacifica,
1.29Sta a le chiese lungamente, et è tutta data all'anima,
1.30Et è di quelle alfin, che agevolmente si guadagnano.
1.31Tanto, ch'io ti prometto ben, che la nostra Verginia
1.32Sarà in poche ore del tutto padrona assoluta.
1.33Io ti ringrazio, Geri; e ti arò obbligo perpetuo
1.34Di quanto hai fatto infin ora; ma se tu mi ami, accingiti
1.35Ad impresa che mi sarà molto più profittevole,
1.36Che altra che mai ne facessi; e pur sono innumerabili,
1.37E di questa più adagio parlerem, quando tempo sia.
1.38Comanda pure, e dimmi il tutto sanza cerimonie.
1.39Geri mio, io son il più disperato uomo che fosse già mai.
1.40E che cosa t'è da due ore in qua nata?
1.41Dirottelo:
1.42Il peggio che avvenir possa a un padre.
1.43Come? Ippolito
1.44Non sta bene?
1.45Benissimo, e molto più che non merita.
1.46Perché, Simone?
1.47Perché l'ho trovat'il più scorretto giovane,
1.48Più disonesto, infame, ingannator, pien di perfidia,
1.49Che fosse mai né sentito, né veduto tra' Tartari.
1.50Che ha fatto, chi ha ucciso?
1.51Me, lasso, e la pace mia.
1.52De la pace tua non so già; ben te veggio sanissimo,
1.53Di che Dio ringrazio; ma guarda pure, che a te medesimo
1.54Tu stesso non faccia mal con l'immaginazion propria.
1.55Con l'immaginazione eh?
1.56Qual adunque è questo scandolo?
1.57Dimmel, ti prego, e tosto, acciò ch'io possa qualche utile
1.58Consiglio, o pur aiuto darti.
1.59Io ho quasi a narrartelo
1.60Per lui vergogna.
1.61Dimmel, se tu vuoi.
1.62E la collera
1.63Anco m'impedisce.
1.64E questo non mi par, or perdonami,
1.65Da savio come tu sei.
1.66In queste avversità simili,
1.67Geri mio, si perde ogni discorso e ogni pazienzia.
1.68Non si perde, ché si ricorda quanto sia scambievole
1.69L'opera della fortuna, e come agevolmente ingannasi
1.70Chi troppo di lei si fida, e dell'uom troppo promettesi.
1.71In questo ho io ben fallito, che mi prometteva d'Ippolito
1.72Ogni bene, et ho trovato alfine ch'una trista femmina
1.73Ha comperata oggi, e come sua propria moglie tiensela.
1.74Ha fatto altro?
1.75E questo, oimè! Geri, ti par che poco sia?
1.76Anzi mi par troppo, e degno veramente di biasimo,
1.77Di riprensione, di gastigo, di vergogna fargliene,
1.78Acciò che non s'avvezzi; ma s'all'età sua consideri,
1.79Non è gran cosa, ché i naturali istinti n'inclinano
1.80A queste voglie, e l'occhio dell'intelletto n'appannano.
1.81In te, in me, in ogni vecchio ben saria miracolo,
1.82Ch'aviam provato tutto, e freddi aviam gli spiriti.
1.83Sì, ma non t'ho io detto ancor, ch'ingannato ritrovomi
1.84Di dugento ducati.
1.85E questi per una volta sola
1.86Si può perdonare, e guardarsi poi, ma ben mostrarsegli
1.87In viso crucciato.
1.88In viso? di ciò ti assicuro io bene,
1.89Che non avrò fatica a farlo, perché mille secoli
1.90Ch'io vivessi, e mille, don vo' mai più innanzi vedermelo,
1.91E 'l vo' discreditare, e lasciar tutto a Virginia.
1.92Tu non dirai poi così domani.
1.93Sì, dirò, promettoti.
1.94Perché vuoi tu in così estrema disperazione mettere,
1.95Per error non però grandissimo, un tuo figliuolo unico,
1.96Che potrebbe a la guerra, o in qualche strana parte andarsene,
1.97Ove lasciasse la vita? e sai tu com'è agevole
1.98Un giovane inesperto e delicato a tosto perdersi?
1.99Che vuoi tu dunque? ch'io gli perdoni, e peggio facciami
1.100Domani? a fin ch'io resti poi vituperato e povero?
1.101No, ma lasciami un po' ben governar questa materia,
1.102E farò in modo, che tutto si salverà; ma contami
1.103Chi sono i compagni e segretari suoi?
1.104Tonchio è per uno,
1.105L'altro Attilio.
1.106Quel giovane che sta qui vicino a noi?
1.107Figliuolo di Susanna?
1.108Quello; e l'altro è una Flamminia,
1.109Che sta lì in quella casa, e mena tutta questa pratica,
1.110A quel ch'io penso; e la sua favorita Flora chiamasi,
1.111E n'ha pagati danari ad un ruffian ch'è di Napoli:
1.112Questo è quanto io ne so.
1.113Ei basta questo solo: or lasciami
1.114Parlar a Flamminia, ch'a quel c'ho dir uditone,
1.115È, secondo il mestier, da ben donna, e pochi giorni sono
1.116Mi richiese ch'io l'aiutassi in suoi bisogni, e fecilo,
1.117Sì che ogni volta mi saluta lieta, e mi ringrazia:
1.118Ancor Attilio mi pare un tanto discreto giovane,
1.119Che non doverà lasciar, s'io 'l prego, di consigliarmene.
1.120Tu farai quel che vorrai, ma certo il maggior servizio,
1.121Che far potessi a questa vicinanza, e a me proprio,
1.122Saria di far che tutti due insieme banditi fussero
1.123Di Fiorenza, perché l'una è pur alfin trista femmina,
1.124L'altro è uno sviato, che fa sol quel d'altrui spendere.
1.125E se ciò, Geri, n'avvenisse, io crederei che Ippolito
1.126Ritornerebbe a buon camino, onde sviato trovasi
1.127Da le male compagnie.
1.128E questo anco far potrebbesi;
1.129Ma lascia prima informarmi, e davanti che sera sia,
1.130T'arò dal cor tolta, a Dio piacendo, questa molestia:
1.131Non ti affligger, di grazia, fa' buon animo, confortati.
1.132Farol quanto io potrò, e 'n casa mia men'andrò per ora.
1.133Sarà ben fatto, acciò che senza cercarti ritroviti.
1.134A Dio, e mi raccomando, Geri.
1.135Simone, a Dio.
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