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SCENA III.

Rime

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1.1Or ecco ch'io mi apparecchio con tutto l'esercito mio
1.2Per dare ad un castello la battaglia, che è inespugnabile.
1.3Pur tutto è possibile a chi vi va con gran forza et ordine,
1.4E massime ch'io l'assalterò dove egli è più debole,
1.5Col lodargli molto 'l figliuolo, e subito le lagrime
1.6Per tenerezza se gli vedranno da gli occhi scendere.
1.7Perché alfin non si trova padre di sì gran giudizio,
1.8Che non s'inganni in troppo piacergli i figliuoli medesimi.
1.9Ei parla seco stesso, e par mezzo in aria con l'animo:
1.10Che sarà qualche quistion per vivande, o cagion simili.
1.11Tonchio, o Tonchio.
1.12Chi mi chiama? oimè! ch'egli è 'l padron mio
1.13Rovinato son, ma credo non mi possa intendere,
1.14Che i vecchi hanno sempre l'udir grosso, et io pur discosto sono.
1.15Farò buon cuore. O padrone, che fate voi qui tutto solo?
1.16Era uscito di casa per fare un poco di esercizio;
1.17Ma che è di Ippolito?
1.18L'ho lasciato presso a lo studio
1.19Che andava a la lezione con molti suoi condiscepoli.
1.20Egli ha molto fitto il capo nelle lettere, e dubito
1.21Che non gli nuochino a la complessione, ch'è pur tenera.
1.22Così fo io, padrone, e molte volte l'ho detto a lui.
1.23Che ti risponde?
1.24Dicemi che non potrebbe vivere,
1.25S'ogni giorno non ne studiasse tre o quattro ore almeno,
1.26E che così facendo dà tanto buon cibo a lo spirito,
1.27Che ricompera il disagio del corpo.
1.28Egli è pur pallido
1.29Da non so che dì in qua, e anco pensoso veggolo,
1.30Che gli potrebbe far col tempo qualche gran male.
1.31E poi io non so bene che fantasia si sia stata la sua:
1.32Nessun del nostro sangue ha saputo tanto leggere,
1.33Che aggiunga a libri latini, o greci, né tanto scrivere,
1.34Che copiasse una pìstola; ma ci è stato bastevole
1.35Intendere le lettere de' fattori, notare crediti
1.36E debiti de' nostri villani, e di alcuni artefici,
1.37Con chi aviam conti correnti; e ci è parso da ridere
1.38Di quei che dietro a simil ciance il cervel si stillano.
1.39E tanto più, che molti ne veggio ch'impoveriscono,
1.40Molti altri, ch'impazzano, e molti son chiamati eretici,
1.41I quali quel, che gli altri fan, di fare non si contentano;
1.42Sì ch'io mi dolgo spesso del tanto studiare di Ippolito.
1.43E nel ver, ch'arà ei fatto in capo a dugento anni poi?
1.44La prima cosa vivendo arà sempre il più onorevole
1.45Luogo tra i compagni, che riverenza assai gli portano.
1.46Intenderà le cose del mondo meglio.
1.47Inganniti,
1.48Ché molti ho veduti già de' vostri dotti, che son buoni,
1.49Nell'altre cose poi e' gli ingannerebbe ogni semplice
1.50Donna, e come gli han fatto del bizzarro e fantastico,
1.51Par loro aver fatto tutto; e quanto più vanno sudici,
1.52Più par loro di valere.
1.53Ah ah, egli è verissimo:
1.54Pur ho sentito dire, che quando un buono e scelto spirito
1.55Si abbatte a aver lettere, ch'egli è eccellentissimo,
1.56Come di molti può darsi esempio.
1.57Egli è ver, confessolo.
1.58Et oltra a questo è un passatempo certo piacevole,
1.59Che fa altrui dimenticare, a quel ch'ei mi dicono,
1.60Ogni vanità, ogni spesa che sia disdicevole:
1.61Le cacce, i giuochi, e le malvagie femmine,
1.62Son lor lontane; vestimenti, i cavalli, e le maschere,
1.63E l'altre cose vane, sì come degne son, dispregiano.
1.64Tu di' ben quel ch'anco a me pare.
1.65Questi son che mantengono
1.66Le case ricche, e che mai non vien per lor disordine:
1.67Una spesa sola bisogna a questi in tutta la vita,
1.68E quella basti poi ad essi, e a' discendenti che vengono.
1.69E che cosa è?
1.70Una libreria bella.
1.71Oh! a poco a poco
1.72Si fanno: or non basta egli per anno quattro libri, o sei?
1.73Tutti non si studiano ad un'ora: ei n'ha tanta copia
1.74Di già, che per tre anni non ci bisognerà spendere.
1.75Sì, ma e' son libri dozzinali, che si trovano
1.76Per tutto, non dirò a' cartolai sol, ma a' pizzicagnoli.
1.77Non so che pizzicagnoli; so ben che ci costarono
1.78Parecchi lire, e che paion sì bei come gli altri sono.
1.79Eh voi v'ingannate, padron, ché molta differenzia
1.80È da questi a quegli antichi, de' quai pochi s'intendono,
1.81Che sono stati del Polizian, del Pontan, del Barbaro,
1.82Del Lascari, di Teodoro, e già dell'Argiropilo.
1.83Che nomi son cotesti? io mi penso che tu farnetichi.
1.84Son di que' che han ridotte oggi le lettere a buon termine:
1.85Quanto a me, sapete ben ch'io non men'intendo; ma pure
1.86Stamani ho udita questa disputa tra Ippolito
1.87E un Attilio qui vicino, e perché assai mi piacquero
1.88Quei nomi, e mi parsero bravi molto, ho ritenutogli;
1.89Ma stasera gli avrò smaltiti.
1.90Dunque disputano?
1.91Il mio figliuolo come si porta?
1.92Come eh? parrebbevi
1.93Che esso solo il maestro fusse, e gli altri suo' discepoli.
1.94Egli ha nell'ascoltare grandezza, dolcezza nel porgere,
1.95Ha pazienzia nel persuadere, destrezza al comprendere,
1.96Non s'adira giammai, sopporta ben d'altrui la collera,
1.97Con degnità pur tanta, che tutti si maravigliano.
1.98Tu mi fai mezzo piagner, Tonchio; or ringraziato sia Dio
1.99Ch'io avrò buon bastone ora mai per gli anni miei ultimi.
1.100Arete veramente. Ma vo' ben pigliare animo
1.101Di dirvi, padrone, animosamente una voglia sua.
1.102Dilla, purché si possa fare.
1.103Potrassi, e sarà agevole.
1.104Che cosa è adunque?
1.105È che staman fra lor ragionavasi
1.106D'una certa libreria bella che si debbe vendere,
1.107Ove son molti libri di quei dotti nominativi
1.108Poco fa, et altri ch'il Marullo di Costantinopoli
1.109Fece condurre, son molti anni, qui, rari e correttissimi,
1.110Legati a la greca, e son venuti in mano di una vedova
1.111Che vuol disfarsene. Or non vi potrei dir, s'ei desidera
1.112D'esserne padrone di acconciarsi in casa una camera,
1.113Ove sien tutti posti ornatamente con bello ordine.
1.114Ne seguirìa molti beni: prima sarà 'l contento suo
1.115E 'l parer d'esser da quanto gli altri, e 'n casa vedersegli;
1.116Poi non andrà a spasso fuori ai tempi freddi et umidi,
1.117E voi avrete comodità di presso vederlo
1.118Il dì e la notte.
1.119E quanti possono eglino esser di numero?
1.120Intorno di dugento, ragguagliati grandi e piccioli.
1.121E' son ben molti, anzi troppi: orbè che costerebbono?
1.122Voi sapete chi sono i sensali: e' conta miracoli
1.123Di aver trovato, ma tutto non si dee lor credere.
1.124Che dice adunque?
1.125Dice che un certo valente medico,
1.126Del nome del quale non mi ricordo ora, aveva offertogli....
1.127Quanto?
1.128Cinquecento scudi.
1.129Cinquecento? oh non vagliono
1.130Cotesto prezzo tutti i libri che sono oggi in Padova.
1.131Or non me ne parlar più; ché se pur detto t'avessero
1.132Cinquanta et anco cento scudi, forse mi potrebbero
1.133Inchinare a far la spesa: fuor del ragionevole
1.134Parlando, come fanno, non mi condurranno a la trappola.
1.135Le lor non son parole di re: dicono e ridicono,
1.136Come lor piace; ma vi dirò ben quel c'ho uditone
1.137Da chi sen'intende molto e cerca l'utile di Ippolito,
1.138Che i cinquecento son pazzie: ma se gli concedessero
1.139Per trecento, ch'il mercato al comperatore è ottimo;
1.140E questo giurò.
1.141E anco a ciò non mi potranno prendere.
1.142Padrone, io so ch'egli è matto chi si vuole intramettere
1.143Tra padre e figliuolo; ma mi sforza l'amor e l'obligo
1.144A dirvi pur quel ch'io intendo; e sappiate ben che Ippolito
1.145D'esser da voi per così poco scontento non merita.
1.146E che domin son poi trecento scudi? che si spendono
1.147Una volta e in cosa così onorevole,
1.148Che durerà sempre, che si può con guadagno rivendere,
1.149Che rispiarma mille spese, mille altri gran disordini
1.150Che porrieno avvenir per l'ozio, e che 'l fan poi notabile
1.151Tra' suoi compagni onesti, e che 'l fan lietamente vivere.
1.152Tutto è 'l vero, Tonchio; ma chi non sa ben che fatica sia
1.153A guadagnar questa somma, o che disagio, astenendosi
1.154Da mille voglie, e comodità, per insieme mettergli,
1.155Gli paion pochi, come a te pare; e per questo vedesi
1.156Che chi ha ricchezza del suo sudore, con masserizia
1.157La ministra; quei che le trovan fatte, via le gettano,
1.158Come a Dio voglia che non intervenga un giorno a Ippolito.
1.159Pur se venisse il mercato un poco più basso, forse ch'io
1.160Il sodisfarei.
1.161Or, padron mio, facciam a questo modo.
1.162Datemi dugento scudi che tutti là si vegghino
1.163Contati, nuovi e rilucenti, che faranno ridere
1.164L'occhio a la padrona de' libri, e cambiar certo l'animo;
1.165Ché sapete che forza ha quella vista, et io 'l mio debito
1.166Farò in persuaderla.
1.167Tu mi conti tante favole,
1.168Ch'alfin forza sarà che dal tuo dir mi lasci vincere.
1.169Io aveva a punto stamani in una borsa messomi
1.170Dugento ducati addosso, per pagarli a Domenico
1.171Del resto d'una casa ch'io comperai da lui: or pigliagli,
1.172Ma son viniziani tutti, e molto più che scudi vagliono;
1.173Faraiti, s'il mercato si conchiude, il resto rendere,
1.174E dammi poi buon conto.
1.175Farollo.
1.176Fa' che non si scemino
1.177I libri che si comperaro, ch'i sensai non ne rubino,
1.178E che gli amici di Ippolito in presto non ne prendano,
1.179Che non si rendon mai.
1.180Farollo.
1.181Tonchio, o Tonchio, ascoltami:
1.182Fagli portare in camera terrena e che ben serrinsi.
1.183Così farò, padrone.
1.184E vienmi a trovare poscia subito
1.185Qua verso piazza.
1.186Et io così farò.
1.187Or muoviti.
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