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SCENA V.

Rime

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1.1Ben venga le due buone pezze, che non hanno simili,
1.2Tonchio e Scarabone, de' quali chi è 'l meglio nulla vale.
1.3Ecco qui Flamminia, che pur conosce queste pratiche,
1.4Et in chi tu doveresti aver fede, se non sei incredulo.
1.5Non ho fede, se non in me stesso, e in quel che veggomi
1.6Davanti agli occhi, e ch'io mi metto in borsa, in casi simili.
1.7Flamminia, Dio ti dia gioia.
1.8O Tonchio, che buono spirito
1.9Ti mena in qua, stamani?
1.10Scarabon qui, che mi tribola.
1.11Tu triboli pur me, che cercheresti via portartene
1.12La mia mercanzia, e pagarmi di sogni e di favole.
1.13Che mercanzia è questa, può sapersi?
1.14È Flora, ch'è, sai,
1.15Giovane, vergine, bella, ben'allevata, e nobile.
1.16Questa è una buona mercanzia.
1.17Buona? anzi pessima.
1.18Perché?
1.19Perché mangia, beve, veste, e ci fa spendere
1.20Vie più che non abbiamo a comperarla.
1.21Oh! non si compera.
1.22Non so se si compera, ma so che denari bisognano
1.23Per averla.
1.24E vorresti tu ch'io la lasciassi prendere
1.25Sanza pagarmi le spese che ho fatte?
1.26E che esser possono?
1.27Tante, che contandotele io, troppe ti parrebbero.
1.28So come sete fatti voi altri, che non vi costano
1.29Le cose a la metà ch'a noi.
1.30Sì veramente: il popolo
1.31Ci ama molto, e dietro ci corre a fare delle limosine,
1.32Che non è alcuno che non pensi far ben una buon'opera
1.33Assassinarci, ingannarci, mandarci per la mala via.
1.34Or non vi fanno eglino il dovere? ché nel mondo vennero
1.35I ruffiani per fastidir ciascuno, come le cimici,
1.36Pidocchi, pulci, mosche, tafani, zanzare, tarantole,
1.37E simili animai, che sanza pro tormentano gli uomini.
1.38Tutto questo mi sapeva io prima: resta con Dio,
1.39Se altro non vuoi.
1.40Aspetta, Scarabone, ché io motteggio teco.
1.41Motteggia pur quanto vuoi, ma dimmi, deviam conchiudere?
1.42Sì: e quanto domandi all'ultimo per lasciarmela?
1.43I dugento scudi che ti ho più volte detto; e pensati
1.44Ch'io vi metto del mio pur molto, e di grazia credilo,
1.45Che a fe di ruffiano il giuro.
1.46Et io per tale anco prendola.
1.47Troppi son veramente, Scarabone: vuoila rimettere
1.48In me? che sai che già mill'anni son tua amicissima?
1.49Non rimetto se non in me i miei mercanti, e 'n me propio
1.50Appena ho fede, e sappiate che mio padre, mio avolo,
1.51Bisavolo, arcavolo, tritavolo, tutta la progenie
1.52Mia, che fu ruffiana, per testamento mi lasciarono
1.53Ch'io non vendessi a credenza, né di alcuno mai fidassimi.
1.54Or veniamo a' contanti, e di' la tua parola, e spacciati,
1.55Ch'ei si fa tardi, et io vorrei a San Casciano andarmene;
1.56E prima che sien pagati danari, e poi ch'io desini,
1.57Ci andrà pur tempo assai.
1.58O Scarabon mio, ascoltami;
1.59Se Tonchio sarà contento per ben comune, io giudico
1.60Ch'ei ti dia scudi ottanta, e tu Flora gli lasci libera.
1.61Io n'ho spesi più in lei da un mese in qua.
1.62Che fai tu, Flamminia?
1.63Io non glie ne darei quaranta.
1.64Or meglio è di andarsene,
1.65Ché troppo siam lontani: addio.
1.66Non partir, che matto sei:
1.67Piglia moneta, e di tal mercanzia tosto dispogliati,
1.68Ché sappiam che ciò vale, e quanto sia di danno e pericolo.
1.69Io son donna, e so quel che le donne sono, et ancor'io
1.70Ho fatte simil pratiche, e so quanto spesso pentonsi
1.71Quei, che per guadagnar quattro o sei, cento o più ne perdono.
1.72Oh io mi pensava d'esser fra' miei, e fino all'Agata,
1.73Benché sia mia cara amica, fa i giudici da Padova.
1.74Fallace fra' ruffiani il proverbio, che i ruffian dicono,
1.75Un vecchio è amico vecchio; ma elle gli vogliono giovani
1.76Queste donne gli amici.
1.77A fe ch'ella ti dà amorevole
1.78Consiglio, e se nol fai, fia grande errore; e dirotti poi,
1.79Ippolito è ricco, onorato, può molto, e porterebbeti
1.80Grandi acconci.
1.81Le speranze co i danari non compero:
1.82S'egli è ricco, et amala tanto, a che farli bisognano
1.83Tanti mezzi a rispiarmar poco argento?
1.84E come non sai
1.85Che chi ha padre, non può del suo disporre?
1.86Procaccilo
1.87Da altra parte, impegni qualche cosa, ad usura prendalo.
1.88Non ha che impegnar, e non gli è rimasto omai più credito,
1.89Ma l'avrà un giorno.
1.90Aspetti adunque allora ad amar le femine,
1.91E non dia noia a sé et ad altri.
1.92Tu sei pur un asino,
1.93Un indiscreto, un porco, e mille altre cose poltronissime.
1.94Sì, e mille altre poi, che non san dire i tuoi par bufoli.
1.95Può far il ciel però, che tu non voglia aver misericordia
1.96Di un così onesto, grazioso, nobile e bel giovane?
1.97Pur troppa ne avrei, s'ella fusse buona a spendere;
1.98Ma ella mi faria morir di fame.
1.99Or non sai tu bene
1.100Ch'egli è guadagno il sapere alcuna volta perdere?
1.101No, e nol voglio imparare per ora a le spese mie.
1.102Credilo, che non vorresti se non triste cose apprendere.
1.103Né tu vorresti cosa insegnarmi, che mi fusse utile.
1.104Or fostù morto mille anni sono.
1.105Et io il perché pensomi:
1.106Per restar tu il più cattivo uom del mondo, che or io son il primo.
1.107Sì, il primo di mille mondi, se tanti ce ne fussero.
1.108Lasciam, Tonchio, queste parole, che non avran fine mai,
1.109Se noi vorrem dire l'uno all'altro tutto quel che merita:
1.110Veniam al fatto. O ch'io mi vado con Dio, e 'l mio motto ultimo
1.111Sia cento trenta scudi.
1.112Ascoltami un po', Scarabon mio,
1.113Vuoi tu ch'io dica?
1.114Voglio.
1.115E tu, Tonchio, t'accordi al simile.
1.116M'accordo.
1.117Or datemi la mano allegramente: io giudico
1.118Che cento scudi sieno.
1.119Oh.
1.120Oh.
1.121Non più, tacetevi,
1.122Tanti saranno.
1.123Son troppi.
1.124Anzi son pochi; ma intendasi,
1.125L'un sopra l'altro, e che di un'ora non ti faccia credito.
1.126Così sia fatto.
1.127E che Flora resti pur ne le mie mani
1.128In fin che sieno in borsa.
1.129E così sia.
1.130E se questa sera
1.131Non vien il danaio, che di andarmene resti libero.
1.132Così in accordo.
1.133Or io sarò qui in casa di Flamminia:
1.134Va' pure, e spacciati, va tosto, Tonchio, ch'io prego Dio
1.135Che ti dia ventura, io n'ho bisogno, vie più che grandissima.
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