SCENA II.
Rime
PoeTree.it
1.1 | Io dico bene, ch'il tempo pioggia ci minaccia e grandine, |
1.2 | Poi che ci è venuto a vedere il Fora venerabile |
1.3 | E perché hai tu lasciati e' campi di Peretola |
1.4 | Per cambiare agli e cipolle a vivande più piacevoli? |
1.5 | Anzi per veder persone molto più dispiacevoli, |
1.6 | Come dir te, e teco infiniti altri, che ti somigliano. |
1.7 | Le cose del padron nostro là come si governano? |
1.8 | Per lui male credo, e per voi più che benissimo. |
1.9 | Dir come non ti saprei, se non nel modo medesimo |
1.10 | Che voi qui fate, e gli altri, che di voi son simili. |
1.11 | Libri, e conti molto ben fatti, ma danari pochissimi, |
1.12 | Se non alcuni, che pure a' vostri bisogni avanzano. |
1.13 | Et a voi ne i libri delle vostre spese ordinarie |
1.14 | Quanti più son quei che si rubano, che quei che si pagano? |
1.15 | Sono infiniti: or attendete ai vostri buoi et asini |
1.16 | Mettervi in borsa, e noi con le nostre civili industrie |
1.17 | Ci ingegneremo, potendo, di non rimaner poveri. |
1.18 | Perché, a dir vero, se noi noi istessi dimenticassimo, |
1.19 | Morremmo a lo spedale, però che nulla memoria |
1.20 | Hanno i padron tutti già mai de' nostri buon servizii. |
1.21 | Ma il peggio è, che tutte le comodità ci si tolgono |
1.22 | Da i troppi occhi, che ci sono sopra, e poscia i padron giovani |
1.23 | Quanto avanzar potremmo giammai, tutto ci mungono |
1.24 | Con buone parole et impromesse ne' bisogni loro, |
1.25 | Che sempre son molti, in vestimenti, in cavalli, in maschere, |
1.26 | In cani, in conviti et in mille altre voglie poi che occorrono, |
1.27 | Che io non saprei certo dirti, Fora, in mille anni. |
1.28 | Credolo. |
1.29 | E perciò sto volentieri lunge in villa, e meco godomi |
1.30 | Quel poco che ho in pace. |
1.31 | Oh te felice, o felicissimo, |
1.32 | Che non le provi! ma le passate prime miserie |
1.33 | Un gioco furono presso di quelle che ora s'apparecchiano; |
1.34 | Ché Amore è entrato nell'animo del nostro Ippolito |
1.35 | Con tal forza, ch'io temo di lui, e poi di tutti noi. |
1.36 | Ippolito, il figliuol del padron nostro, ch'è sì giovane? |
1.37 | Certo io non pensava ch'ei potesse ancor ben conoscere |
1.38 | Che fosse donna. |
1.39 | Che fosse donna? oimè! credimi, |
1.40 | Ch'io non vidi amor mai così fosco, come egli è in lui. |
1.41 | Come esser puote? |
1.42 | Come è? s'io ardissi contartelo, |
1.43 | Udiresti cose che ti parrebbono incredibili. |
1.44 | Deh dimmi il tutto di grazia, ché sai che sicurissima |
1.45 | È la mia fede, e che da fratello sempre t'amai ottimo; |
1.46 | Poi sendo Ippolito il padron giovane, sai ch'il proverbio |
1.47 | Dice, che al sole in oriente si rivolgon gli uomini, |
1.48 | Perché il ponente ci lascia tosto. |
1.49 | Or se mi giuri, Fora, |
1.50 | Di non parlarne ad alcuno, io ti farò consapevole |
1.51 | Di tutto il fatto. |
1.52 | Et io da amico fedelissimo |
1.53 | Ti giuro di tacerlo, e ben pensar teco stesso puoi, |
1.54 | Che in villa tra quelle stoppie, pecore et alberi |
1.55 | Non ho a chi dirlo, e di tornar qui di lungo spazio |
1.56 | Non ho speranza alcuna. |
1.57 | Ora dunque alquanto discostati |
1.58 | Da questa muraglia, che persone dietro non fussino |
1.59 | Ad ascoltare. E son di qua passati intorno a tre mesi, |
1.60 | Che essendo in compagnia di quel nostro vicino Attilio.... |
1.61 | Il figliuolo di Susanna. |
1.62 | Sì, quel che benissimo |
1.63 | Conosci, il qual quantunque sia ignobile e molto povero, |
1.64 | Ha veramente ricco, ornato e virtuoso l'animo, |
1.65 | E spende molto più di quel che le sue forze possono. |
1.66 | Or come fa costui, ruba egli? |
1.67 | No, ma molti nobili |
1.68 | Con chi egli ha sempre strettissima pratica, il soccorrono: |
1.69 | Tra' quali è il padron nostro, che l'ama come sé proprio. |
1.70 | A questo modo sì. |
1.71 | E la sua madre, che ha amicizia |
1.72 | Con la moglie di Geri, che è un mercatante ricchissimo, |
1.73 | La quale le dona molto, et ella poi dona il tutto a lui, |
1.74 | Che se ne fa veramente onor, perché in versi, in lettere, |
1.75 | In maneggiar cavalli, in volteggiare arme, in musica |
1.76 | È molto universale, e sopra tutto piacevole. |
1.77 | Gran cose mi strigni in poco fascio. |
1.78 | Or per tornar, costui |
1.79 | Ha una cortigiana romana, detta Flamminia, |
1.80 | Che muor di lui, et ei l'ama assai bene, perché a dir il vero, |
1.81 | Benché abbi il mestier cattivo, non è molto rea femina, |
1.82 | Anzi il soccorre infinite volte ne' bisogni suoi. |
1.83 | Dovrebbe esser arsa per darne all'altre poi la cenere. |
1.84 | In casa adunque di costei gran brigata di giovani, |
1.85 | Secondo il luogo, assai onestamente si ragunano |
1.86 | A cena, a desinare, a parlare, e tra gli altri Ippolito |
1.87 | Vi è quasi sempre, come di Attilio caro amicissimo, |
1.88 | Sanza pensare a male alcuno: se non che tre mesi sono, |
1.89 | Come io diceva, avvenne, che un certo ruffian di Napoli, |
1.90 | Scarabon detto, vi menò una figlia, che di Sicilia |
1.91 | Affermava che fosse. |
1.92 | Oimè ch'io temo, che quell'isola |
1.93 | Non porti qualche gran danno. |
1.94 | E che ella era nobilissima, |
1.95 | E di fiorentin nata, e mille altre cose aggiugne poi, |
1.96 | Che i suoi par sogliono nelle mercanzie a questa simili. |
1.97 | Ella è certo di buona grazia, buon modi e bellissima, |
1.98 | E giura mille sagramenti e mille, ch'ella è vergine, |
1.99 | E che non vuol darla a persona alcuna. Or come tu sai |
1.100 | Che le cose vietate fan crescer la voglia, Ippolito |
1.101 | Se n'è innamorato di maniera, che non può vivere, |
1.102 | E nulla è che non facesse per possederla. |
1.103 | Credolo. |
1.104 | Io lo sgridai, lo ripresi, gli dissi oltraggio, e da principio |
1.105 | Non mancai di tutte le medicine, mentre era il male |
1.106 | Novello ancora. |
1.107 | Et ei che rispondeva? |
1.108 | Calde lacrime |
1.109 | Mi dava per risposta, e si voleva allora uccidere, |
1.110 | S'io nol soccorreva. Ond'io, che non son però filosofo |
1.111 | Di quei che hanno la virtù compita, e che non son teologo, |
1.112 | Ove il consiglio non vale, di dargli aiuto delibero, |
1.113 | E fo quanto per lui far si possa, per in man porgliela: |
1.114 | Ma quel poltron di Scarabone, che è l'istessa malizia, |
1.115 | Fa sembianza di non udirmi, e sta sull'onorevole. |
1.116 | O che baston mal rimondo bisognerebbe! |
1.117 | Egli è vero, |
1.118 | Ma si faria romore, e verria di Simone a notizia, |
1.119 | Che ci rovinerebbe al tutto, e quel se ne andrebbe via. |
1.120 | Poi gran disavantaggio han tutti que' che si governano |
1.121 | Come noi con rispetto, e ch'il padre e 'l padron temono, |
1.122 | Temono il mal nome tra 'l popolo, e la giustizia. |
1.123 | Come adunque farete? |
1.124 | Egli è quel che così fantastico |
1.125 | Mi fa, e penso come si vede per cercare il modo |
1.126 | Di trargli di mano costei. Ma sanza aver la pecunia, |
1.127 | Sai che dice il notaio che non è buona la vendita. |
1.128 | Or pensa il mio stato qual sia, con amoroso giovane, |
1.129 | Con vecchio avaro, con donna venale, con ruffian pratico, |
1.130 | Con amici sanza danari, povertà sanza credito. |
1.131 | Tal che se all'orecchie ti viene, ch'io dia de' calci all'aria, |
1.132 | Non te ne maravigliare, ché resoluto e fermo sono |
1.133 | Di porre al vecchio nostro un così ostinato assedio, |
1.134 | Ch'io resti o morto, o certo vincitore. Ma per non perdere |
1.135 | Tempo, e che Scarabon si fugga, io mi rimetto all'opera |
1.136 | Dietro a la traccia, e ti scongiuro, mio carissimo Fora, |
1.137 | Che taccia il tutto. |
1.138 | Farol, non dubitare, resta con Dio. |