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FAVOLA DI ATLANTE

Rime

PoeTree.it

1.1Bench'io viva lontan dal natio loco,
1.2Colmo d'ogni dolor, voto di spene,
1.3Qui dove assai vicin le rive e l'erbe,
1.4Durenza inriga, e dove inonda il mare,
1.5Che dal gallico sen riporta il nome;
1.6E dove il gran Roman vermiglia feo
1.7Del cimbrico furor la valle e il fiume;
1.8Sì non poss'io però silenzio porre
1.9Al mio tosco cantar, ch'ovunque io sia
1.10Per lunga usanza omai le Muse e Febo
1.11Mi chiamano a parlar sempre con loro.
1.12Ed io, che sol da voi, gran re de' Franchi,
1.13E dal vostro terren la vita prendo,
1.14Quanto io pensai già mai, né dissi, o scrissi,
1.15Voglio (e no 'l schivi la regale altezza)
1.16Che porti il nome suo dipinto in fronte.
1.17Ora adunque, ch'a dir mi spira Apollo
1.18D'Atlante il vecchio le cangiate forme,
1.19Che ne' liti african divenne un monte
1.20Eletto a sostener le stelle e 'l cielo,
1.21A voi rivolgerò cantando il suono,
1.22Lo qual, se basso fia, prendete in grado:
1.23Che tosto forse ancor più ricco dono
1.24Della sua povertà (trovando posa)
1.25Al vostro alto valor farà 'l mio ingegno.
1.26E voi, caste Sorelle, che dal monte
1.27Alle lingue mortai forze porgete
1.28Di raccontar fra noi l'opre celesti;
1.29Se i vostri templi mai, se i vostri altari
1.30Fur da mia man divotamente cinti
1.31Di gigli, rose e fior; se mai d'intorno
1.32Di purpurei narcissi, edre, e iacinti
1.33Ornai, pregando, quelle antiche soglie,
1.34Onde a nostri voler virtù s'infonde;
1.35Tal mi aiutate, ch'io mi mostri quale
1.36Si convien al gran re, con cui ragiono;
1.37E tanto più ch'io spero, e voi 'l sapete,
1.38Che come al dorso del famoso Atlante
1.39Fu 'l ciel commesso, e così Giove un giorno
1.40In costui poserà quanto è tra noi.
1.41Là dove il mar, ch'all'Occidente volge,
1.42Bagna il libico sen non lunge al varco
1.43In cui termine fisse al mondo estremo
1.44Il possente Teban di Giove figlio;
1.45Ivi il monte e Nettuno adombra e cinge
1.46Così liete compagne, e verdi colli,
1.47Ch'a pena vede tai Nilo, Indo e Tigre:
1.48E 'n tra' primi ch'avean le valli intorno,
1.49Che furon senza fin, signori e duci,
1.50Fu il figliuol di Iapeto, il sommo Atlante.
1.51Quanto senno e valor la terra maura
1.52Ebbe in quei giorni, tutto insieme accolto
1.53Vide in costui, che fu d'ogni altro speglio.
1.54Il viaggio del ciel, d'Apollo il corso,
1.55E di Cintia, e de' cinque i passi e l'ore
1.56Tutte a punto sapea, né gli era ascoso
1.57Di Saturno il venen, di Marte l'ira,
1.58La dolcezza e l'amor che larga piove
1.59Del sesto cielo, in noi dal terzo giro;
1.60E che 'l seggio secondo alluma e muove
1.61Il gran nunzio nel ciel, che forza prende
1.62Da chi gli è più vicin, che giova o nuoce
1.63Più d'altrui qualità, che per se stesso.
1.64Seppe onde nasce e muor la luce, e l'ombra
1.65Della notturna Dea perché si mostri
1.66Or cornuta, or rotonda a noi mortali;
1.67Come spesso il fratel di raggi spoglie,
1.68E la terra talor facendo velo
1.69Tra la sua vista e 'l Sol le imbruni 'l volto.
1.70Come sovente avvien, che Giove e 'l padre
1.71Con gli altri, ch'ivi son, fuor ch'i dui soli
1.72Di Latona figliuoi (ch'al gran Fattore
1.73Così piacque di far) cruccioso e schivo
1.74A mezzo il corso suo ritorni in dietro.
1.75Vide oltre ai sette poi, che vanno errando,
1.76L'ampio cerchio regal, che tutto abbraccia,
1.77E mal grado di quei, da mane a sera
1.78Al contrario cammin ch'è dato loro,
1.79Quanti sotto ne stan con seco avvolge
1.80Le celesti figure in esso sculte
1.81Vide, e i gran mostri, il carro e la corona;
1.82E di tutti il poter conobbe e l'opre:
1.83Scorse, ch'ivi tenea l'altero seggio
1.84Il gran Padre del ciel co' figli insieme;
1.85Vide in esso il cammin, che i santi passi
1.86Segnan con l'orme; e la ragion ne intese:
1.87Vide l'altro cammin, dentro a cui fanno
1.88Lor corso i Sette; e vide a punto come
1.89Van sotto esso vagando, e quinci e quindi,
1.90Se non l'almo pastor che 'l mondo alluma:
1.91Questo pur sempre, e pe 'l medesmo calle
1.92I suoi levi corsier nell'onde attuffa;
1.93Né dal mezzo sentier già mai si piega:
1.94Scòrse i dodici alberghi; e scòrse come
1.95Quel freddo vecchio, che sì tardo muove
1.96Lunge i passi da noi, l'Aquario in prima,
1.97E 'l Capricorno suo più caro tiene;
1.98Il buon padre del ciel Chirone, e i pesci;
1.99E che 'l monton Frisseo, che Scorpio sono
1.100Del bellicoso dio l'elette sedi;
1.101L'aspra fera Nemea del biondo Apollo;
1.102Della Ciprigna dea la Libra e 'l Toro;
1.103Di quel volante dio ch'ad Argo tolse
1.104Le luci e l'alma, i chiari due germani
1.105D'Elena già fratei, di Leda figli,
1.106E la vergine Astrea gli alberghi sono.
1.107Delia, che 'l suo cammin sì leve avanza,
1.108Che in men di trenta dì compie il viaggio,
1.109Senza più ricercar del Cancro solo
1.110In guisa del fratel contenta vive.
1.111Ma che deggio io più dir, s'ei vide a pieno
1.112Il viaggio là su, gli effetti e l'opre,
1.113Tanto ch'ad uom mortal mirar più innanti
1.114Non fu prima né poi concesso unquanco?
1.115Né pur l'avea di ciò segnato il cielo;
1.116Ma di tanta beltà l'avea ripieno,
1.117Che null'altro agguagliar si puote a lui.
1.118Eran le membra sue sì grandi e tali,
1.119Che Iapeto e Tifeo fur pari a pena;
1.120E di forza e valor vincea ciascuno.
1.121Perché tutti i vicin lo scettro e 'l regno
1.122Di publico voler gli diero in mano,
1.123Onde 'l paese avea sotto 'l suo impero,
1.124Che tra 'l libico mar si serra e 'l monte.
1.125Tanti aveva pastori, armenti e gregge,
1.126Che copria d'ogni intorno il piano e 'l monte.
1.127Di solcate campagne, e colli c¢lti
1.128Tanti ne possedea, ch'a chi lo intese
1.129Ogni avaro pensier d'invidia empiea.
1.130Ma quanto avea la instabile Fortuna
1.131Prestato agli anni suoi, gli era in dispregio,
1.132A rispetto di quel che tanto amava
1.133Odorato, gentil, fiorito e bello
1.134Giardin, ch'avea dentr'una aprica valle
1.135Con le sue proprie man piantato e culto.
1.136Ivi quando più 'l Sol le piagge offende,
1.137Quando più l'onde asciuga e scalda il cielo,
1.138Non mancaron già mai fontane vive,
1.139Che i lucenti cristalli e quinci e quindi
1.140Presti alle voglie sue spargeano intorno.
1.141Poi che lunge da noi fuggiva il Sole,
1.142E i venti, il gel, le nevi e le pruine
1.143Riprendevan del ciel l'Impero in mano,
1.144Così ben fu da quella fredda parte,
1.145Onde soffia Aquilon di colli cinto,
1.146Ch'offesa non sentia dell'armi loro.
1.147Così d'ogni stagion Zefiro e Flora
1.148S'avean fatto di lui felice albergo.
1.149Le violette bianche, e perse, e gialle;
1.150Le vermigliette rose, i gigli alteri;
1.151Mille odorate erbette, e mille fiori,
1.152Ivi senza temer l'estate e 'l ghiaccio
1.153Tra le dolci aure, l'onde e 'l ciel benigno,
1.154Vivean sicure nel perpetuo aprile.
1.155Né pur ivi scorgeano Apollo e Bacco
1.156Le care frondi sue, Venere e Palla;
1.157Ma quante altre onorate e chiare piante
1.158Vide in parte già mai girando il Sole,
1.159Ivi eran tutte, e dal cultore ornato
1.160Tra lor disposte, e 'n così bella guisa,
1.161Ch'empieano ogni uom di maraviglia e gioia.
1.162Ma sopra l'altre amò la pianta eletta,
1.163Non conosciuta ancor dal mondo allora:
1.164La pianta eletta, che pur d'oro i pomi,
1.165E di fini smeraldi avea le frondi,
1.166La qual d'ogni stagion felice porta
1.167Frutti acerbi e maturi, e fiori insieme.
1.168Questa lunge rendea sì largo odore,
1.169Sì soave, gentil, leggiadro e vago,
1.170Che non pur quanto avea la valle intorno,
1.171Ma chi 'l colle varcava a lui vicino,
1.172E chi solcava il mar, sentia dolcezza.
1.173Mille vaghi augelletti estate e verno
1.174Sopra i rami cantando a schiera a schiera
1.175Facean dolce sonar le rive intorno
1.176D'angelica armonia. La Suora e Progne
1.177Non trovaron già mai più degno albergo
1.178Da sfogar contra 'l ciel l'antica doglia,
1.179E destar la pietà, tra' fiori e l'erbe.
1.180La innocente lepretta, il cervo errante,
1.181Il coniglio gentil, la damma inerme,
1.182E quanti altri animai di pace amici,
1.183Senza morso e venen pascon la vita
1.184Ivi eran tutti; e tutti quinci e quindi,
1.185Or sopra il verde prato, or sotto un cespo
1.186Si vedeano apparir lascivi e snelli,
1.187Che senza ivi temer la rete o 'l cane,
1.188Puon sicuri gustar le frondi e l'acque.
1.189Or chi potrà narrar di tutto a pieno
1.190Come avean giunto insieme arte e natura
1.191Ogni suo sforzo a farlo al mondo solo,
1.192Parlando agguaglieria natura ed arte.
1.193Basti solo a pensar, ch'egli era tale,
1.194Che fia il grido di lui nel mondo eterno.
1.195Fu l'ampio muro, che 'l cingea d'intorno,
1.196Di pure pietre e fin composto insieme;
1.197Alto, spazioso, e ben fondato a terra,
1.198Tal che forza, saver, né ingegno umano
1.199Contra il voler già mai del suo signore
1.200Non poteo penetrar la inclusa parte.
1.201Così dunque costui soletto, e in pace
1.202Lieto godea, d'ogni altra cura sciolto,
1.203Tra' dolci studi suoi l'aprica stanza.
1.204Tosto che accinta la rosata Aurora
1.205Lasciando il suo Titon riporta il lume
1.206Sopra 'l cielo e gli Dei, nel mondo a noi;
1.207Lasciando il sonno e le notturne piume
1.208Già di spoglie regai le membra cinte,
1.209Pei quadrati sentier dell'orto ameno,
1.210Pensoso e scarco a suo diporto giva.
1.211Ivi sentia gli augei muover le voci
1.212Dolce cantanti a salutar l'Aurora;
1.213E 'l nuovo Sol, che già spuntava i raggi,
1.214E le chiare acque mormorando intorno
1.215Far soave tenore ai versi loro.
1.216Ivi nel dolce april la fresca rosa,
1.217Nel dolce april ch'avea l'estate e 'l verno,
1.218Surger vedea con la nascente dea;
1.219E di stesso color dipinto il volto
1.220L'una e l'altra scorgea, tal ch'era incerto,
1.221Se le rose tingea l'ardente Aurora,
1.222O l'acceso color prendea da quelle.
1.223Questa spuntando fuor l'acuta cima,
1.224Vergognando di sé la gemma apriva;
1.225Quella più largo al ciel mostrava il seno;
1.226L'altra con le sue frondi aperte e sparse
1.227Chiamava l'aura e 'l Sol, né sapea lassa,
1.228Ch'a poche ore vicin la morte avea.
1.229D'acqua celeste l'amorosa stilla,
1.230Che nell'umida notte a terra cade,
1.231Sopra le aperte frondi in ogni parte
1.232Vedea dolce scherzar ritonda e chiara.
1.233Poscia che 'l Sol rotando in alto sale,
1.234E dal cerchio maggior riscalda il mondo,
1.235In più riposta parte i lauri e mirti
1.236Difendean dal calor la terra erbosa;
1.237Tra violette e fior sedeva all'ombra,
1.238Di soavi pensier pascendo l'alma:
1.239Rivolgendo talor le antiche carte
1.240Dell'opre illustri de' passati tempi,
1.241O di quei che mostrâr cammin più breve
1.242Da gir con la virtù poggiando in alto.
1.243Indi ch'Apollo all'Occidente volge
1.244Con lento passo, ove discorre un fonte
1.245Rigando il praticel, prendea diporto.
1.246Poi che 'l notturno vel la terra adombra
1.247Sopra un de' fianchi, che cingea la valle,
1.248Stava alto assiso a contemplar le stelle,
1.249E le fisse, e l'erranti, e i corsi loro;
1.250E con mille istrumenti, e forme e segni,
1.251Gìa seco misurando, e quanto, e come
1.252Questa vicina sia, quella lontana,
1.253Quando al nostro Orizzonte, e quando al Polo.
1.254In cotal guisa allor l'antico vate
1.255Menava i giorni suoi contento e queto,
1.256Senza doglia, desir, timore o spene.
1.257Ma perché cosa mai non vide il mondo
1.258Stabile e dolce, in un momento venne
1.259Chi gli fece cangiar fortuna e forma.
1.260Quel che in l'alta, ferrata e chiusa torre
1.261Nacque di Giove, allor ch'in pioggia d'oro,
1.262Dentro il bramato sen di Danae scese;
1.263Quel, che con tanta pena, arte e periglio
1.264L'impia testa fatal di serpi cinta,
1.265Che facea convertir la gente in pietra,
1.266Vittorioso, e sol dal corpo sciolse;
1.267Partendo un dì dall'onorata impresa,
1.268Superbo e carco delle spoglie ostili,
1.269Per l'aere intorno come leve uccello
1.270Con l'alato corsier vagando giva;
1.271E sopra essendo all'africane arene,
1.272Spesso cadean dalla gorgonea fronte
1.273Stille di sangue, che spargendo a terra
1.274Il venenoso umor, lacerte ed angui
1.275Tosto eran fatti, onde più d'altri ha colmo
1.276Di nocenti animai la Libia il seno.
1.277Indi per l'ampio ciel de' venti in preda,
1.278Quinci e quindi cercò di nubi in guisa
1.279Quanto ingombra la terra e bagna il mare.
1.280Tre volte il Cancro, ed altrettante vide
1.281L'Orse, e 'l bel nido in cui si sta l'Aurora,
1.282E dove attuffa il Sol tra l'onde i crini.
1.283Ma poi che 'l tardo dì giunse all'occaso,
1.284Schivando i dubbi della ombrosa notte,
1.285Là dove Atlante il bel ricetto avea,
1.286Tratto d'alto destin frenò 'l suo corso.
1.287Poi del lungo penar cercando posa,
1.288Verso il vago giardin prese il sentiero,
1.289Ove pensò trovar sicuro albergo.
1.290Ivi in disparte il glorïoso Atlante
1.291Trovò nel cor di maraviglia carco,
1.292Poi che vide volar l'altero mostro,
1.293A cui pregando allor soave e piano,
1.294Tutto ripien di amor parlò cotale:
1.295O Pianta eletta, che Iapeto il grande,
1.296Sol per Libia onorar produsse in terra,
1.297Se già mai ti scaldò di lode amore,
1.298Non mi negar le regie case e i frutti
1.299Del tuo chiaro terren, ch'io possa alquanto
1.300Ristorare, e posar le membra stanche:
1.301E s'alta nobiltà può farti amico,
1.302Perseo figlio son io del sommo Giove:
1.303O, se i gran fatti altrui, chi i nostri avanza,
1.304Che 'l Pegaso frenai, Medusa ancisi?
1.305Non avea il suo parlar compito a pena,
1.306Ch'a memoria tornò del sommo Atlante
1.307L'antica sorte, che le stelle e 'l cielo
1.308Gli avean mostrata, e che Parnasia Temi
1.309Avea cantata già molti anni in prima,
1.310Dicendo: Tempo vien, famoso Atlante,
1.311Che 'l tuo chiaro giardin fia nudo e guasto,
1.312E sarà il predator di Giove nato.
1.313Di che temendo tra montagne e muri
1.314Cinto avea intorno il sommo suo tesoro,
1.315E del fero serpente a guardia dato,
1.316Che a tutti i peregrin vietava il passo.
1.317Tal che tutto ripien di doglia e d'ira,
1.318Va' lunge, disse; e da te lunge sia
1.319Giove e 'l suo sangue; e minaccioso aggiunge
1.320Le forze ai detti; e lui (che pur tardava,
1.321E con l'opre, e col dir d'entrar s'aita)
1.322Impetuosamente a dietro spinge.
1.323Perseo, che al gran poter non era eguale,
1.324(E chi fu egual del valoroso Atlante?)
1.325Vinto restando, discoperto il velo
1.326Dalla inimica fronte di Medusa,
1.327La porse a gli occhi suoi, dicendo: Prendi
1.328Dalla tua cortesia condegno merto.
1.329Or chi ciò crederà? che vista a pena
1.330Tutto dentro e di fuor sentì cangiarsi
1.331L'alto gigante, e farsi terra e sasso;
1.332Ché in un momento sol divenne un monte.
1.333Abeti, faggi, e pin la barba e i crini;
1.334Fur le spalle e le braccia alpestri gioghi,
1.335E la fronte restò l'altezza estrema.
1.336Fur l'ossa e l'unghie sue converse in pietra:
1.337L'altero sangue in rapidi torrenti,
1.338Ch'all'atlantico mar tributo fanno.
1.339E perché da gli Dei molti anni in vita
1.340Pur le sue gran virtù provate e l'opre,
1.341Per non lasciar quaggiù di gloria in bando
1.342Il buon nome di lui, le membra tutte
1.343Con modi e forma egual sì grandi féro,
1.344Che sopra il dorso suo le stelle e 'l cielo
1.345(Quasi degni di par sostegno e soma)
1.346Di pubblico voler quel dì posaro.
1.347Ed ei benché le spalle, il collo e 'l volto
1.348Piegando in basso, dal celeste peso
1.349Senta aggravarsi, e con le braccia in alto
1.350Cinga il gran fascio, e l'un ginocchio a terra
1.351Vinto posando s'affatiche e sude,
1.352Pur gli giova pertar l'eterna altezza.
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