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IL DILUVIO ROMANO

Rime

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1.1Io volea già cantar, gran re de' Franchi,
1.2L'arte, l'opre, gl'ingegni, e le stagioni
1.3Che fan verdi le piagge, i frutti ombrosi,
1.4Colmi i prati, e' pastor d'erbe e di gregge;
1.5E ricco il cacciator d'augelli e fere.
1.6Già prendeva io lo stil, già m'era intorno
1.7La turba agreste; e la spigosa madre
1.8Mi scorgeva il sentier tra Bacco e Pane:
1.9Già mi porgea la man succinta e snella
1.10La vergin cacciatrice, e i boschi e i calli
1.11Mi volea disegnar, dov'ha più preda:
1.12Ma quando era a cantar più l'alma intenta
1.13Tra i dolci lidi vostri, in cui bramoso
1.14Rodan superbo la sua sposa abbraccia,
1.15E 'n sen la porta vergognosa e schiva,
1.16Ove il gallico mar suo dritto attende;
1.17Ecco lunge venir nunzio, che parte
1.18Dal bel paese, che già visse un tempo
1.19Gloria del mondo, onor, virtute e 'mpero:
1.20E quel che disse allor mi détta Apollo,
1.21Ch'io 'l debba a voi narrar, gran re de' Galli;
1.22Se può luogo trovar fra tanta altezza
1.23La bassa musa mia, che per voi spera
1.24Tanto un giorno salir, che venga paro
1.25Di cotal, ch'a dirlo io vergogna fôra.
1.26Or, se 'l petto regal sia tutto vòlto
1.27Al fabbricar per noi nuovi sostegni
1.28Da tener salda in piè l'invitta pace,
1.29Che porìa ristorar l'Europa sola,
1.30La qual misera, stanca, afflitta e nuda,
1.31Sozza la fronte e i piè di sangue e piaghe,
1.32Tal che nuovo dolor non ha più loco,
1.33Or si straccia i capei, percuote il petto,
1.34E 'n voce orrenda e trista grida e chiama,
1.35Pace, signor, dopo sì lunga guerra,
1.36Dopo sì lunga guerra, o pace, o morte:
1.37O pur sia per drizzar la torta lite
1.38Tra 'l buon nome cristian, sì che non goda
1.39L'empio avversario; e le sue sante leggi
1.40Il gran Padre del ciel divise veggia
1.41Tra 'l Germano e 'l Roman, tanto che forse
1.42L'uno e l'altro di lor venga in dispregio
1.43Al cieco mondo, che non scorge il guado
1.44Mai per se stesso, e già dubbioso teme
1.45Di non tosto smarrir l'antica guida:
1.46O se pur sète a contemplar rivolte
1.47Gli antichi onor de' primi semidei,
1.48Che 'l glorioso Xanto e 'l Simoenta
1.49Già de' corvi troian preda e de' cani
1.50(Ché la chiara virtù vuol pregio e lode,
1.51Non pompe e marmi) tra la polve e 'l sangue
1.52Vide a terra giacer negletti e nudi:
1.53O se vi pascan pur la regia mente
1.54Del Macedone invitto i fatti illustri,
1.55O di quel gran roman, che primo sparse
1.56Sopra il nostro terren sì crudo seme,
1.57Ch'ancor vive tra noi l'amaro frutto,
1.58Sì che 'l nome, la fama, il pregio e l'opre
1.59Già gradite d'altrui mille e mille anni
1.60Come poscia devesse amarle il mondo
1.61Drittamente il mostrò Catone e Bruto:
1.62O s'altro oggi voler seco vi tira
1.63A più chiaro pensier, ch'io non vi mostro;
1.64Non vi sia (prego) per alquanto a sdegno
1.65Lasciarlo in dietro, e ragionar con meco
1.66Di quel ch'esso dicea, che (s'io non erro)
1.67Cosa non fia però d'udirla indegna.
1.68Dicea costui, ch'avea lasciato in guisa
1.69Quanto il Lazio contien coi campi toschi
1.70(E qui tremava ancor) dall'onde involto,
1.71Ch'ivi temea ciascun, che 'l tempo fusse
1.72Che sol vivi lasciò Pirra e il suo sposo.
1.73Già pareggiando il ciel le luci e l'ombre,
1.74La notte vincitrice in Libra ascose
1.75Avea del maggior dì l'aurate spoglie:
1.76Già la stanca vecchiezza (ahi nulla eterno
1.77Si trova sotto 'l ciel) vista cangiava
1.78Alle rive, alle piagge; i frutti e i boschi
1.79I biondi e verdi crin, pria vaghi e lieti,
1.80Fatti d'altro color vedeano a terra:
1.81Già s'ascondeva l'amorosa stella,
1.82Ch'alla verde stagion ci mostra il giorno;
1.83E la rabbia e 'l velen dei feri mostri,
1.84E del crudo Orion, ch'allor minaccia,
1.85Sotto i raggi del Sol fuggìa veloce:
1.86Già riprendea l'ardir, che giacque un tempo,
1.87Eolo, e i suoi figli dai sonanti alberghi
1.88A turbar le campagne, a franger l'onde,
1.89A combatter gli scogli, a crollar boschi
1.90Col rabbioso furor mandava fuore;
1.91Or Austro, or Aquilone, or Euro, or Noto
1.92Contrastando tra lor faceano a pruova
1.93Chi portasse al suo re più ricche spoglie:
1.94La vaga rondinella, e gli altri inseme
1.95Peregrini animai, che il caldo alletta,
1.96Schifando il breve dì, che indietro torna,
1.97Già commiato prendean dal nostro cielo,
1.98E varcando del mar gli estremi lidi,
1.99In più dolce seren si feano albergo;
1.100Altri restando pur fra noi vicini,
1.101Chi per chiuse spelonche, e chi sotterra,
1.102Chi tra l'ombrose valli e folte spine
1.103Al preveduto gel cercava scampo:
1.104Fuor del suo tetto e la formica e l'ape
1.105Non si vedean uscir, ma dentro il frutto
1.106Dello estivo sudor godeano pace,
1.107Onorando tra lor con dritte leggi,
1.108Quella i publici ben, questa il suo regno:
1.109L'avaro zappator solcando i campi,
1.110Di fatica ripien, carco di spene,
1.111Cerer pregando che con larga mano
1.112Alla calda stagion tornasse il frutto,
1.113Commetteva al terren la sua sementa:
1.114Già lasciate il pastor l'alpi lontane,
1.115Ove meno Aquilon sue forze adopre,
1.116E dove Apollo e 'l mar più il ghiaccio ancide,
1.117Avea le gregge sue condotte al piano:
1.118Smarrita il mar la sua tranquilla pace,
1.119Non un momento sol trovava posa,
1.120Ch'ora in vêr l'Oriente, or allo Occaso,
1.121Ier nel libico seno, oggi a Boote
1.122Furiando correa spumoso e torbo:
1.123Le care Ninfe sue, Teti e Talia,
1.124Melite, Galatea, Panope, Agave,
1.125E quante altre ne son di Nereo figlie,
1.126Gli antri carcando e i più segreti alberghi,
1.127Tutte lasse temean del verno l'ira:
1.128I veloci delfin sotto acqua e sopra
1.129Givan correndo levemente a schiera,
1.130Cercando (e 'ndarno pur) parte sicura,
1.131Ove il mar non gli rompa e spinga al lito.
1.132Così l'onde, la terra, l'aria e 'l cielo
1.133Già cominciava a sostener l'assalto
1.134Del crudo tempo rio, ch'avea vicino.
1.135In sì fatta stagion tra 'l Lazio e 'l Tosco
1.136Aspra guerra e crudel menando insieme
1.137Tutti i rabbiosi venti, al fine avvenne
1.138(Col favor di Giunon, che dal suo sposo
1.139Impetrò grazia allor, che così fusse)
1.140Ch'Austro spogliando il suon, le forze e l'arme
1.141Agli inimici suoi che dier le spalle,
1.142Si restò vincitor del mondo e donno.
1.143Euro, Borea, Aquilon, Zefiro e Coro,
1.144Nudi tutti d'onor, di sdegno colmi,
1.145Si rifuggîr sotterra, a pena arditi
1.146Di mostrar al suo re la fronte aperta.
1.147L'altro superbo delle spoglie ostili,
1.148Lungo il chiaro terren, che 'l Tebro inriga,
1.149Terminò d'addrizzar ricco trofeo:
1.150E per memoria di sue forze eterna
1.151Ivi ancor volle nel medesmo loco
1.152Menar trionfo, ove con seco accolse
1.153Tutti i servi e vicin, ch'ei pasce e regge:
1.154E 'n tra molti altri, ch'a dir lungo fôra,
1.155Ebbe l'eletta sua compagna e fida,
1.156Che mai non lo lasciò l'estate o 'l verno.
1.157Nebbie, grandini, tuon, nubi e procelle,
1.158E le più care a lui folgori e piogge
1.159Venner liete a gradir l'altero giorno.
1.160Il ghiaccio pur, le nevi e le pruine,
1.161Che son di Borea figlie e d'Aquilone,
1.162Al gran trionfo suo furon lontane.
1.163Febo poggiando al chiaro suo diporto,
1.164Per l'usato sentier menava il giorno,
1.165Tranquillo in vista, e non presago ancora
1.166Di quel che esser devea: quando in un punto
1.167Le antiche sue guerriere ebbe d'intorno,
1.168Le quai senza pietà la luce e i raggi
1.169Dalla fronte regal ratte spogliaro;
1.170Poi con più fosco vel chiusero il volto
1.171All'aria tale, e 'l ciel, che chiaro o stella
1.172Non si vide in quei dì la notte o 'l giorno.
1.173Così rimaso, e senza aita o spene,
1.174All'aspre vincitrici il mondo in preda,
1.175Fe ciascuna in onor del vento amico
1.176L'ultimo allor d'ogni sua possa estrema.
1.177Con formidabil suon per lunghe righe
1.178Dalle nubi, ch'aprian l'oscuro dorso,
1.179Spesso d'alto venian di Giove l'arme;
1.180E quinci e quindi in un momento solo
1.181Dallo ardente rossor ben mille lampi
1.182Si vedeano allumar la terra e 'l cielo.
1.183Questa accesa ferìa l'eccelse parti
1.184Delle altissime torri, e 'n largo giro,
1.185Fin dove posa il piè nel fondo estremo,
1.186Tutta irata mordea dentro e d'intorno:
1.187Le timide fanciulle, e i vecchi infermi;
1.188Ma non pur questi, ancor gli arditi e feri
1.189Giovini, a cui morir di nulla cale,
1.190Ratti levando al ciel gli occhi e la mente,
1.191Avean gli spirti lor tra morti e vivi.
1.192Questa nell'Apennin dal fronte al piede
1.193In due parti fendea la querce annosa.
1.194D'antichissimo pin quell'altra appresso
1.195Scossa, e sfrondata la pungente chioma,
1.196Aspro odor e color di sé lasciava.
1.197Gli scogli, i monti, le campagne e' colli,
1.198La fronte; il collo, i piè, le spalle e' fianchi
1.199Sì spesso percotea l'ira celeste,
1.200Che non più n'ebbe Pelio, Ossa e Tifeo,
1.201Quando vollen cacciar del regno Giove.
1.202In cotal guisa allor le nubi e 'l fosco
1.203Sfogate alquanto, e lacerato il mondo,
1.204Solo in un punto si converse in pioggia.
1.205Qui tutte s'arrestâr le sue compagne;
1.206E le folgore, i venti, i lampi e i tuoni
1.207Dier luogo a questa, che sì larga venne,
1.208Che 'l mar parea che di là su tornasse.
1.209Così lunga stagion l'onda celeste
1.210Durò versando, e senza notte e giorno
1.211Prender mai posa, che le folte nubi
1.212Per non mancar del tempo a schiera a schiera
1.213S'avean dati tra lor gli spazi e l'ore.
1.214Parte spargea le sue ricchezze a terra;
1.215Parte era scarca, e ricercando andava
1.216Per paludi, per mar, per fiumi e stagni
1.217Di portar sopra noi novello umore;
1.218Parte montando al ciel con larga soma,
1.219Si tornava a posar nel primo loco.
1.220Né molto andò così, ch'a poco a poco
1.221L'alpi, l'aspre montagne e i colli alteri
1.222Cominciaro a destar le fonti e i fiumi;
1.223Che prima quasi avean dormenti in seno.
1.224Il basso ruscelletto e il piccol rio,
1.225Equar veggendo le native sponde,
1.226E la sua povertà restarsi in dietro,
1.227Levò la testa; e i rampi a sé vicini
1.228Inondar e predar disegno feo:
1.229E spogliati gli argenti, e i bei cristalli,
1.230E 'l dolce mormorar, nuovi colori
1.231E nuovo suon vestìa di Marte e d'ira:
1.232E questo e quel rompendo argini e liti
1.233Dell'antica prigion, ripien di sdegno
1.234Contro a chi lo affrenò vendetta fea,
1.235Empiendo fino al ciel d'alto fragore
1.236Le chiuse valli e i monti; e sterpi e sassi,
1.237E quanto incontra che 'l sentier gli serri
1.238Svegliendo, il corso suo spronava al piano,
1.239Là dove il suo maggior, disciolta e rotta
1.240Ogni legge, ogni fren, tiranno truova.
1.241Gli altri fiumi regai, che l'onde e 'l nome
1.242Servan più lungo spazio, infin che 'l mare
1.243Con l'insaziabil sen lor chiude il passo;
1.244Per le larghe campagne e valli e piagge,
1.245Per tutto avean le sue ricchezze stese;
1.246E Nettuno ciascun quel dì parea.
1.247Ma sopra tutti il re d'ogni altro e donno,
1.248L'onorato fratel del Tosco fiume,
1.249L'alto Tebro divin, che 'l Nilo e 'l Tigri,
1.250L'Indo, il Gange, l'Iber, la Tana e l'Istro,
1.251E quanti altri ne son dentro e d'intorno,
1.252Tutti fea già tremar col nome solo;
1.253L'alto Tebro divin, ch'ogni altro sprezza,
1.254Forse l'antico onor servando ancora,
1.255E sdegnoso di quei che 'ndegni sono
1.256Di occupar sopra lui sì chiaro albergo,
1.257Fabbricato da quei, che 'l giogo e 'l freno
1.258Posero altrui, come a se stessi questi;
1.259L'alto Tebro divin mostrò quel tempo
1.260Quanto fusse il valor che chiude in seno.
1.261Tra la spinosa fronte e 'l bianco dorso
1.262Dello Apennin, ch'a mezzo giorno volge,
1.263Non lunge nacque, e del medesmo ventre
1.264(Benché più ricco e più superbo in vista)
1.265Col chiaro Arno gentil, ch'Etruria infiora.
1.266Indi traendo allor l'umida fronte
1.267Del cavo albergo suo, vide d'intorno.
1.268Al gran padre Apennin le spalle e 'l petto
1.269Dal nuovo tempo già piovoso e molle:
1.270Vide tale addoppiar dentro e di fuore
1.271Il caro suo tesor, che luogo a pena
1.272Ove il potesse addur rimaso gli era.
1.273E con più assai poter di quel che suole,
1.274Crescer sentendo le sue forze ogni ora,
1.275Oltre l'usanza sua superbo il piede
1.276Mosse, scendendo minaccioso il monte.
1.277Le ninfe alpestri Oreadi e Napee
1.278Veggendo il suo signor sì ricco farse,
1.279Tutte incontro venian con mille onori;
1.280E beata di lor chi più potea
1.281Delle ricchezze sue riporgli in seno:
1.282E quinci e quindi, e d'ogni parte furo
1.283Tante a venir, che la sassosa valle
1.284Tutte dentro caper poteva a pena.
1.285Le più elevate piagge, i monti alteri
1.286Sotto ascoltando il tempestoso suono,
1.287Treman tra sé di maraviglia e tema.
1.288Il salvatico pin, l'abete e 'l faggio,
1.289Che a lui troppo vicin trovaro albergo,
1.290L'antiche fronti, a cui di nulla calse
1.291Molti e molti anni pria d'Euro la rabbia,
1.292Vider nude d'onor cadute a terra,
1.293E del fero guerrier preda e trofeo.
1.294Gli antichi sassi, che assai tempo innante
1.295Si pensaron d'aver perpetuo seggio,
1.296Dopo i suoi lunghi assalti, e sotto e sopra
1.297Al furïoso andar si davan vinti.
1.298Non per tutta Sicilia, e 'n Mongibello
1.299I Ciclopi, e Vulcan sì orrendo suono
1.300Udîr come quel dì faceva il Tebro.
1.301Gli abeti, i faggi, i pin, gli sterpi e i sassi
1.302Tratti talor venìan di salto in salto
1.303Per sentiero inegual; talor men crudo
1.304Incontrando il cammin, più posa avieno:
1.305Poi trovato talor più stretto il calle,
1.306Or le sassose ripe, or tra se stessi
1.307Percotendo venian sì ratti a piombo,
1.308Ch'i tortuosi rami, il tronco e 'l piede
1.309Si facean mille schegge e mille parti.
1.310Poi che discese le montagne e i sassi
1.311Il rapido signor trovava il piano,
1.312Fermò il suo corso, rimirando intorno
1.313Fu più feroce; ché più larga preda
1.314Di quanta seco avea si vide innanti;
1.315E riprendendo in sé l'ardire e l'arme,
1.316Al gran danno comun rimosse il piede.
1.317Popoli, salci, e gli umidi arboscelli,
1.318Ch'han più cara lor sede in riva all'onde,
1.319Fur primi svelti; né l'antico amore,
1.320L'antica carità quetò la rabbia,
1.321Che non fossen di lui dogliosa soma.
1.322Indi poggiando poi, la vite e l'olmo
1.323Trovò non lunge, e gli portò con seco.
1.324O felice partir, ché 'nsieme aggiunti
1.325La pampinosa sposa e 'l pio sostegno
1.326Come dolce vivean sen giro a morte!
1.327Quanta invidia portaro e questi e quelli
1.328Al sempre verde ulivo, al vivo alloro,
1.329Che lunge essendo in più elevato colle,
1.330Senza danno scorgean gli affanni altrui!
1.331Poi l'aperte campagne e i verdi prati
1.332Al primo assalto suo senza contesa
1.333Vittorïosamente a sé sommise
1.334L'altero fiume da Nettuno amato.
1.335Ivi ai cornuti armenti, all'umil gregge,
1.336Ch'ivan sicuri in questa parte e in quella,
1.337Ove men gli offendea la pioggia e 'l vento
1.338E dove più vedean l'erbe e le frondi,
1.339Non aspettato sopra venne il fero.
1.340Con che raro furor quasi in un punto
1.341Quinci e quindi occupò la terra e 'l verde,
1.342Che tutto un mar parea la valle e 'l piano!
1.343Qui si vedean le pecorelle umìli,
1.344Senza contrasto far, ch'a mille a mille
1.345Trasportate da lui correan a morte.
1.346Là si potea veder la vacca e 'l toro
1.347Sopra l'acqua tener la fronte in alto,
1.348E natando sperar salute ancora,
1.349Fin ch'avanzando la stanchezza e l'onde,
1.350Senza mai sbigottir chiudean gli spirti.
1.351L'animoso pastor, che dar soccorso
1.352Spera ai suoi danni, or la setosa coda,
1.353Or le corna prendea di questo e quello,
1.354E 'ndarno oprando ogni sua forza estrema
1.355Lasso alfin soggiacea dall'onde vinto.
1.356Non così fea la pastorella afflitta,
1.357Ch'altra più pronta aita alle sue gregge
1.358Misera dar non sa che pianto e strida:
1.359Or la infelice madre, or le compagne
1.360Si sta chiamando, fin che 'l torbo umore
1.361In un punto chiudea la voce e l'alma.
1.362I pietosi vicin, che 'n alto avieno
1.363In più sicura stanza i bassi alberghi,
1.364Visto il danno comune, a schiera a schiera,
1.365Quanto il corso potea, venìano in basso,
1.366Con rustici instrumenti, e sassi e travi,
1.367Presti al soccorso de' perigli altrui.
1.368Ivi della famiglia il vecchio padre,
1.369Che l'alma pronta avea, le membra inferme,
1.370Confortar e garrir s'udia da lunge
1.371Gli altri, che più di lui poteano atarsi:
1.372Ed ei traendo ancor l'antico fianco,
1.373Spinto dal buon voler ch'a forza il mena,
1.374Sollecito venìa; ma spesso a terra
1.375Or le spalle or le man cadendo posa.
1.376La fida sposa poi le figlie intorno
1.377Seguìan correndo sbigottite e scalze,
1.378Tratte più dal dolor, che d'altra speme,
1.379Che nelle forze sue ciascuna avesse.
1.380E giunte ove il furor depreda i campi,
1.381Fermaro i passi; e pallide e smarrite,
1.382Chi la fronte e i capei, chi 'l petto e 'l volto
1.383Priva d'ogni saver si batte e straccia.
1.384Il robusto bifolco, e gli altri, a cui
1.385Giovinezza e valor porgeva ardire,
1.386Da traverso venìan di salto in salto;
1.387Né giunti a pena ove il bisogno sprona
1.388Lassi già s'accorgean dall'acqua cinti,
1.389Che rompeva il sentier del lor ritorno.
1.390Ivi al suo scampo sol, lasciato altrui,
1.391Intendendo ciascun, chi l'alte cime
1.392Degli arbuscei salìa non svelti ancora;
1.393Chi più tardo abbracciava o tronco, o sasso,
1.394Qual più presso vedea; né molto andava,
1.395Che come i suoi vicin, dal fiume immenso,
1.396Che pur poggiava, ancor restaro immersi.
1.397Così spogliando e le campagne e i colli,
1.398Pastor seco menando, arbori e gregge,
1.399Il fero predator moveva il piede;
1.400E disegnando ancor più degna impresa,
1.401E sdegnando intra sé soma sì vile,
1.402In un punto addrizzò le forze e 'l corso
1.403A dar l'assalto all'onorata Roma,
1.404E far prova in quel dì, che vive ancora
1.405Il suo primo valor, sepolto altrove.
1.406E 'n sé ristretto per più angusto calle
1.407Sen gìa fremendo, ove l'antiche mura
1.408Scorse da presso, a cui tributo diede
1.409Libia, il Parto, il German, l'estrema Tule;
1.410E 'n prima agli altri l'onorata mole
1.411Del superbo Adrian percosse al fianco;
1.412Forse cruccioso, che molti anni e molti
1.413Vie più che non vorria gli ha chiuso il passo.
1.414Poi con doppio furor, con doppio sdegno
1.415A i ponti invitti, che gli han posto il freno,
1.416Battea rabbioso il piè, le spalle e 'l volto;
1.417E quanto è 'l suo poter, quel dì s'aita
1.418Di vendicar con quei già mille oltraggi,
1.419E libero restar dal giogo indegno.
1.420Poscia che vide pur tentarsi in vano
1.421L'aspettata da lui ruina estrema,
1.422Calcare almen vittorïoso volle
1.423Di tutti il dorso; e quel medesmo incarco
1.424Dare a loro in quel dì, ch'ei sempre porta.
1.425Indi partendo poi le 'nsegne volse
1.426Dentro all'ampia città, dove pensava
1.427Poter meglio sfogar l'orgoglio e l'ira.
1.428Ivi al primo apparir la gente ignara,
1.429Non presaga del fin, ratta correa
1.430Per più presso mirar l'altero mostro:
1.431E quel stupor, ch'un nuovo caso apporta,
1.432Togliea 'l timor, che poi risurse in essa.
1.433Le matrone e le figlie, i vecchi infermi
1.434Da gli alti tetti a riguardar da lunge
1.435Stavan, ripien di maraviglia il core.
1.436Ma poi ch'in breve gir tanto alto vide
1.437Ciascun le forze sue, che già passava
1.438La memoria d'ogni uom che fu presente,
1.439Né pur quivi restar, ma sempre ancora
1.440Sormontando venir nei danni altrui;
1.441E veggendo con lui sì larga preda
1.442Di piante, d'animai, d'uomini e gregge;
1.443Cominciaro a temer quei che più sanno,
1.444E con parole ed opre altrui mostrando
1.445Quanto avesse quel dì periglio greve:
1.446Né molto andò, che pur la pruova istessa
1.447Vie più che i detti lor mostrò gli effetti.
1.448Che non contento del suo nido il fero,
1.449Tanto sopra le rive alzò la fronte,
1.450Che le strade ingombrò del suo valore.
1.451Ratto movendo il piè da lui si trasse
1.452Paventoso ciascun nel proprio albergo,
1.453Quasi dal suo furor sicuro loco.
1.454E quel poi ch'ebbe le contrade intorno
1.455Trascorse, e piene assai d'onde e d'arene,
1.456Si mise a depredar le case e i tetti.
1.457I bassi alberghi di coloro i quali
1.458Del suo proprio sudor pascon la vita,
1.459Furo i primi a sentir che possa il Tebro.
1.460Ivi il misero padre in alto asceso,
1.461Con la sua famigliuola in un ristretto,
1.462L'affaticate merci, e 'l suo tesoro
1.463Saccheggiar e guastar vedeasi innanti,
1.464E di pianger ardìa l'afflitto a pena.
1.465Tanto il premea timor; ch'a poco a poco
1.466Vedea l'onda montar non sazia ancora
1.467D'ogni sua povertà, se 'n vita il lascia:
1.468Or s'affatica, or pensa, e cerca e guarda
1.469D'onde possa schivar l'estrema sorte;
1.470Ma può ben ritrovar modo al suo scampo:
1.471L'infelice mogliera e i figli intorno
1.472Or dal cielo, or da lui chieggon mercede;
1.473Con gli occhi in alto e le ginocchia inchine
1.474Stendon le braccia; e così stando viene
1.475Chi la vita e 'l timor toglie in un punto.
1.476Altri di più vigor, pensando seco
1.477Di far con l'oprar suo fallace il cielo,
1.478E bugiardo il destin ch'in alto è scritto,
1.479Di quel peso ch'avien, la membra sciolte,
1.480Sol di proprio natar sé stesso aita.
1.481Chi la mensa, chi l'arca, e chi la trave
1.482(Qual più presso avvenia) nell'acqua mise;
1.483E stesa tutta in lei la fronte e 'l petto,
1.484Or le braccia, ora i piè di remi in guisa,
1.485Ove l'onda può men, raccoglie e stende:
1.486Or nel sostegno suo tutto s'annoda,
1.487Ove forza maggior l'abbatte in dietro.
1.488Ma questi, lassi, e quei tutti ad un segno
1.489Van, ché troppo è 'l furor che 'n basso scende
1.490A far d'essi al Tirren doglioso dono.
1.491Né così sazio ancor l'altero fiume,
1.492I più begli edifici, i più gran templi,
1.493Come i poveri alberghi, aver vorrìa:
1.494Né potendo salir l'invitte cime,
1.495Ove han fondato il piè morde e percuote;
1.496E zappando il terren ne svelse e sfece;
1.497Tal ch'assai fur dell'onorate spoglie,
1.498De i marmi peregrin riposti in alto,
1.499Da non temer là su cosa mortale,
1.500Che col sostegno suo battuto e vinto
1.501Disdegnando sentir ruina estrema.
1.502I divini instrumenti, i sacri altari
1.503In molti luoghi fur macchiati e guasti,
1.504E dal fango e dall'onde avvolti e sparsi.
1.505Or chi potrà narrar l'orgoglio a pieno
1.506Del fiume invitto, che onorato e carco
1.507Di mille palme e mille alza la fronte,
1.508Sdegnoso d'abitar la valle e 'l piano?
1.509Il Vatican, l'Esquilie e l'Aventino,
1.510Il Capitolio, e tutti sette insieme
1.511Fur dagli assalti suoi sicuri a pena.
1.512Così l'aspro guerrier per larga strada
1.513Porta il trionfo su nell'ampio seno
1.514Del gran padre Nettuno ov'egli attende.
1.515Ahi serva Roma, e di miserie albergo,
1.516Dopo tanti dolor, tanti altri guai,
1.517A che ti serva il ciel ch'ancor cruccioso
1.518Ti mostra il volto, a che minaccia ancora
1.519Con disusato ardir l'irato Tebro?
1.520Febo il santo rettor dell'alta luce,
1.521Ch'alluma e scalda il ciel, la terra e 'l mare;
1.522Febo, che 'l tutto scorge, e mai non mènte,
1.523M'ha mostro il tutto, e mi comanda e sforza,
1.524Ch'io 'l debba a voi cantar, gran re de' Franchi,
1.525Perch'al tempo che vien, che tosto fia,
1.526L'alto core e la man si truovi armata.
1.527Del pio nome Cristian l'empio rebelle
1.528Che del buon Costantin l'antico impero,
1.529E 'l seggio orïental per forza ingombra;
1.530Quello, a cui nobiltà, stato e virtude,
1.531E quanto appregia ogni uom, di nulla cale,
1.532E pur se stesso, e nessun altro estima;
1.533Questi, non girerà molti anni il Sole,
1.534Che 'l medesmo furor, ch'al tempo andato
1.535Ha sentito il Pannon, l'Egitto e Rodi,
1.536Volgerà (lassi) a' nostri dolci campi,
1.537All'italico sen, cui folle orgoglio,
1.538Odio, e 'nvidia di sé conduce a morte.
1.539Là divisi i voler, le forze estinte,
1.540Ogni senno e valor sotterra posti
1.541Dal ciel nimico, e da tiranni ingiusti,
1.542Troverà il fero: e chi per te più fia,
1.543Che l'arme accingerà per tua difesa,
1.544O bella Italia, poi ch'altrui suggetta
1.545Hai scacciate da te le giuste insegne
1.546Cristianissime e sante, i Gigli d'oro?
1.547Chi l'arme accingerà? l'Ispano avaro,
1.548Che dal siculo seno all'Alpi Galle,
1.549Dall'onde d'Adria al nostro mar Tirreno
1.550Non ha villa, o città, dove non abbia,
1.551Senza amor, senza fe, pietate o legge
1.552Il sacrilego e rio, stupri e rapine?
1.553Chi l'armi accingerà? l'empio Germano,
1.554Ch'al ciel, non pure a noi, nemico è fatto?
1.555E Roma il sa, che 'l suo soccorso attende.
1.556Ahi serva Italia, ch'al bisogno estremo
1.557Povera e nuda sei d'amici e d'arme!
1.558Tosto preda sarai, sostegno e scherno
1.559Del barbarico stuol, contrario a Cristo:
1.560E tu; lorda città, di vizi ostello,
1.561Per esempio de' rei lasciata in vita,
1.562Tosto tanto vedrai sangue e ruina,
1.563Quante al Tebro vedesti arene ed onde:
1.564Il gran flagel di Dio, quel mostro antico,
1.565Che dal gelato ciel rabbioso venne
1.566A' comun danni, e tanti strazi feo
1.567Di tue prime beltà, ch'ancor si mostra
1.568(A chi vuol rimirar) la piaga e 'l segno:
1.569E tanti altri, che poi sì spesso t'hanno
1.570Il chiaro corpo tuo macchiato e guasto;
1.571E quanto oltraggio ancor, danno e disnore
1.572T'ha fatta poi la tua medesma insegna,
1.573L'Aquila, dico, in mano all'empio Duce,
1.574Che l'Ispano e 'l German t'addusse sopra;
1.575Fu nulla certo, o poco a presso a quello
1.576Che ti minaccia ogni uom, che mostra il cielo
1.577E quel chiaro terren, cui già calcaro,
1.578Con sì ricchi trionfi e tanto onore,
1.579I Corneli, i Fabrizi, i Deci, i Bruti,
1.580Lassa, vedrai da quella gente oppresso,
1.581Già schernita da lor sì spesso e vinta.
1.582Ma poco andrà, che voi, Francesco, in guisa
1.583Del possente Cammillo, all'alta impresa
1.584Spiegando a' venti l'onorata insegna,
1.585Riporterete in sen le spoglie e l'oro.
1.586Però ch'allor, che il greve danno avuto,
1.587E di ciascun la publica ruina
1.588Avrà fatto veder, ch'i Gigli d'oro
1.589Sol (sì come più volte han mostro l'opre)
1.590Han virtù da tener l'Italia in vita;
1.591A voi tutti verran, gran re de' Franchi,
1.592Gli Italici signor; quei ch'all'altezza
1.593Credon, folli, arrivar premendo i buoni,
1.594E cangiando ogni estate e patti e fede,
1.595Di virtù ignudi, e di Fortuna amici;
1.596Quei, che 'l sommo saver credon che sia
1.597(Né si sdegnin vêr me, s'io parlo il vero)
1.598Menzogne, crudeltà, fraudi e rapine;
1.599Qui tutti a voi verran, mercè chiedendo
1.600Delle miserie loro: e quei fien primi,
1.601Che s'han fatto più d'altri offese e 'nganni.
1.602A voi tutti verran, perché vedranno
1.603Sopra 'l sangue cristian l'uccel di Giove
1.604Aver fatto in più dì sì lungo strazio,
1.605C'ha consumato omai l'artiglio e 'l morso:
1.606Tal che contro a color, cui più devrebbe,
1.607Si troverà mancar le forze e l'arme.
1.608E voi, cui nobiltà, senno e virtude
1.609Addrizza al bene oprar, conduce e sprona,
1.610Posti tutti in oblio gli antichi oltraggi,
1.611Sotto l'ombra regal, quai figli e frati,
1.612Gli accorrete, Signor, con lieto aspetto.
1.613Allor più ch'altri l'onorata Madre,
1.614Che a sante imprese giorno e notte aspira,
1.615Con pietosi ricordi e detti alteri
1.616Raccenderà di voi l'ardente core,
1.617Che per Gesù cingiate omai la spada.
1.618La pia sorella, che la mente al cielo
1.619Tanto addrizza talor, che 'l mondo spregia,
1.620Quanta dolcezza avrà mirando l'arme,
1.621Ch'andranno a vendicar chi salvò noi!
1.622Quanta avrà gioventù, ch'è tanta e tale,
1.623Il bel vostro terren, tutta in un punto
1.624Verrà pronta a morir pel suo Signore.
1.625Le delicate donne, i vecchi infermi,
1.626Che dar non vi potran col corpo aita,
1.627Vi porteranno in vece argento ed oro,
1.628Da poter poi nutrir la guerra pia.
1.629Qual fia freddo voler, che non si scaldi
1.630Veggendo voi, Signor, fra tanti duci,
1.631Tra tanti cavalier coperto d'arme?
1.632Con che affetti tra lor, con quai parole
1.633Narrerete i gran danni e 'l crudo scempio,
1.634Che 'l popolo infedel sopra noi feo?
1.635E mostrando a ciascun che premio aspetti
1.636Dopo il chiaro morir, chi sparge il sangue
1.637Per colui, che per noi lo sparse in croce?
1.638La terza volta ancor, l'alpi vedrete
1.639Col favor della prima, e con più pregio.
1.640Ivi al vostro apparir, le genti afflitte,
1.641Cinte d'uliva, e con la palma in mano,
1.642Quasi al suo redentor verranno incontra;
1.643E quanta fia tra lor forza e valore
1.644Sarà del vostro andar compagna e guida;
1.645Voi qual fido pastor, ch'atando accorra
1.646All'umil gregge suo da lupi offeso,
1.647Il Tesin, l'Adda, il Po, l'altero monte,
1.648Che della bella Italia il dorso parte,
1.649Passerete con lor, qual vento o strale.
1.650Poi nel Tosco terren dov'Arno inriga,
1.651Le barbariche squadre e l'empie genti
1.652Scorgerete occupar la valle e 'l piano.
1.653Non ebbe tanti armati e Dario e Xerse,
1.654Quanti allor si vedran; che forse a molti
1.655Darà temenza, a voi desire e speme;
1.656Che nell'invitto cor pensando andrete,
1.657Che il periglio maggior più gloria apporta.
1.658Ma tosto che vedrà scoprir da presso
1.659La pia insegna regal l'altero Scita,
1.660Ben riconoscerà dipinti in essa
1.661Quei ch'ei paventa sol, quei Gigli d'oro,
1.662De' quai tanto tra lor s'è detto e scritto,
1.663Ch'esser devean de' suoi morte e ruina.
1.664Con che doglioso suon, con che terrore
1.665Gli ripercoteran l'orecchie e l'alma,
1.666Glorïoso Francesco, il vostro nome?
1.667Poi, mosse in guerra l'infinite schiere,
1.668I suoi levi cavai poco potranno
1.669Sostenere il furor dell'arme galle,
1.670Ché spregiando ogni onor, daran le spalle:
1.671Né più di voi saran nel mondo chiari
1.672Milzïade, Temistocle, e fie poi
1.673Con Termopile antica e Salamina
1.674Sempre avuta in onor la valle d'Arno.
1.675Poscia in memoria de' gran fatti eterna
1.676Drizzerete il trofeo condegno a voi,
1.677Condegno a' vostri onor; né lunge fia
1.678All'afflitta città, che i gigli adora,
1.679Fiorenza bella, ch'a sé stessa spoglia,
1.680Vota d'ogni saver, pace e riposo.
1.681E mirando di lei l'orrende piaghe,
1.682Che 'l Germano e l'Ispan le han fatto intorno,
1.683Tal vi verrà pietà, che io spero ancora,
1.684Ch'esser deggia per voi possente e lieta,
1.685Come altra volta già dal Franco invitto,
1.686Che 'l seme longobardo ancise e spense:
1.687Né saprà poi chi più de' due s'onori,
1.688O 'l buon re Carlo Magno, o 'l re Francesco.
1.689Quinci movendo il piè, seguendo andrete
1.690Il nimico infedel, che 'nsieme aggiunto
1.691Il fuggitivo stuol nell'ampio piano,
1.692Ove a i campi latin l'Etruria arriva,
1.693Vorrà folle tentar di nuovo il cielo.
1.694Voi la seconda volta il vostro ardire,
1.695E 'l vostro alto valor mostrando aperto,
1.696Tal fiaccherete e l'uno e l'altro corno
1.697Dello esercito suo, che parte alcuna
1.698Non si vedrà di lor restare in piede.
1.699Il gran tiranno un dì prigione e morto,
1.700Farà fede a ciascun, che contro a Cristo
1.701Numero, arte, furor, niente vale.
1.702Parte fuggendo d'essi, e quinci e quindi
1.703Si rimarran d'ogni uom preda e rapina:
1.704Parte correndo al mar là dove fia
1.705Ricoperto il Tirren di legni e navi
1.706Ch'all'animosa impresa eran sostegno,
1.707Pur ivi troveran di vita scampo.
1.708Ma la parte maggior, con quei più degni
1.709Duci, capi e signor dell'altra gente,
1.710Dal gallico valor per terra stesi,
1.711Cibo onorato fien di corvi e cani.
1.712L'insegna pia delle celesti chiavi
1.713Ritornerete poi nel santo albergo,
1.714Onde pria la scacciò l'altero Scita.
1.715E 'l rettor d'esse, e' suoi seguaci intorno
1.716A' più santi costumi, a miglior vita
1.717Ridurrete, signor, co'vostri preghi.
1.718Indi colmo d'onor, di spoglie ornato,
1.719Con trionfi inauditi, e pompe ed ostro,
1.720Tornerete a posar nel nido gallo.
1.721Quante di voi vedrasse in ogni parte
1.722Dell'Italia per voi tornata in vita,
1.723Archi, statue, trofei di marmo e d'oro!
1.724Gl'ingegni pellegrin, con quei che sono
1.725Dal favor delle Muse al monte accolti,
1.726Argo e Troia lasciando, Atene e Roma,
1.727Sol di voi narreran l'opere illustri.
1.728Ah se mi fien così le stelle amiche,
1.729Ch'io giunga al tempo, ch'è vicino omai,
1.730Ben spero ancor, che la mia tosca cetra
1.731Sopra 'l ciel manderà la voce e 'l suono,
1.732Cantando i vostri onor, gran re de' Franchi.
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