about
people
how to cite
dataset
versions
json schema
resources
browse
search
authors
books

EGLOGA.

Rime

PoeTree.it

1.1Lassi! che pur veggiam per prova omai
1.2Che dove il ciel contrasta e la fortuna,
1.3Non può ragion, virtù, né forza umana.
1.4Chi pensò mai che all'empio Ibero e al Reno
1.5Dovesser soggiacere Arno e il Mugnone,
1.6Titiro mio, che pur de' t¢schi lidi
1.7Son la palma e l'onore, or giunti a tale
1.8Che ogni vil fiumicel li turba e frange?
1.9Troppo a lingua mortal si disconviene
1.10Di soverchio dannar quaggiù tra noi
1.11Danno o disnor, che di lassù n'è dato,
1.12Perché colui che il fa, sol vede il fine.
1.13Noi siam qui ciechi, e non miriam tant'alto.
1.14Soffrir n'è forza, e se non fosse questo,
1.15Cotai fuor manderei detti e sospiri
1.16Che ogn'uom pianger farei del pianto mio.
1.17Io pur mi doglio, e mi perdoni il Cielo
1.18Ch'io non posso altro, quando io sento e veggo
1.19Sfrondato e secco il mio fiorito nido;
1.20E le rive e le piagge, i monti e i colli
1.21Di dolcezza e d'odor ripien dintorno,
1.22Fatti oggi albergo alle rabbiose fere,
1.23Sì lorde e brutte d'innocente sangue,
1.24Che omai fino a Pluton n'è giunto il lezzo.
1.25Dogliomi, ahi lasso! ancor ch'io resti in vita,
1.26Né fossi un di color, che avanti il padre
1.27Con più gloria che duol corresse a morte.
1.28Né so dove scamparmi possa omai
1.29Quel picciol, magro ed affamato gregge,
1.30Che di sì ricchi pria, sì grassi armenti,
1.31Sol dai rapaci lupi oggi m'avanza.
1.32Fra i dolci campi miei restar non oso,
1.33E dubbioso mi par l'andare altrove;
1.34Ché chi viene in timor del proprio albergo,
1.35Come può nell'altrui posar sicuro?
1.36Ben sarìa di pietà più d'altro ignudo
1.37Chi potesse soffrir così dappresso
1.38I lunghi strazi del natio terreno;
1.39Ma tanto lunge andrem, che appena udire
1.40Si possa il ragionar dei danni nostri.
1.41O dolce amico mio, chi sa per prova
1.42Come lo star lontan sia dura cosa,
1.43Povero e peregrin nell'altrui case,
1.44Troppo amara dirìa la vita nostra.
1.45Qual bifolco si trova o qual pastore,
1.46Che se gli avanzin ben le biade e il latte,
1.47All'altrui povertà ne sia cortese?
1.48Chi possiede oggi assai terre e tesoro,
1.49Quel solo è in pregio, e la virtù sbandita
1.50Dagli avari pensier negletta giace.
1.51Sai pur che tai non son le nostre gregge
1.52Che l'altrui rabbia ci ha lasciate in vita
1.53Che ne possin nutrir la state e il verno.
1.54Però novo pensier cangiar conviene,
1.55E piuttosto restar fra tanto duolo,
1.56Che cercando così le altrui contrade
1.57Farsi di servitù vil preda e scherno.
1.58Oltr'a quello onorato e sacro monte
1.59Onde il nivoso altissimo Appennino
1.60A divider l'Italia il corso prende,
1.61Un sì beato giace e bel paese,
1.62Ch'oggi invidia ed onor gli porta il mondo.
1.63Dopo il ligure sen, quanto il mar bagna,
1.64Fin sotto i Pirenei stende i confini,
1.65E lungo quei sen va, finché li trova
1.66Nell'estremo oceàn tuffare il piede.
1.67Poi volge a destra, e quanto ghiaccia il Reno,
1.68Quanto fuor mostran la canuta fronte
1.69L'Alpi onde scese il gran Cartaginese,
1.70Col suo nome regal dintorno abbraccia.
1.71Ivi piagge, campagne, selve e colli,
1.72Son sì fiorite, apriche, erbose e verdi,
1.73Ch'ogni tempo han le gregge agnelli e latte.
1.74Quante e quai ricche, belle onde famose
1.75Ogni sua lieta parte adorna fanno!
1.76Ivi è il rapido re degli altri fiumi
1.77Rodan superbo, e la sua sposa umìle
1.78L'alta Garonna, l'onorata Senna,
1.79E con mille altri poi l'Era felice,
1.80Che il più bel che si trovi inonda e parte.
1.81Ma dove lascio a dir l'altera e chiara
1.82Pura, vaga, tranquilla, alma Ceranta?
1.83Che alle poche onde sue più rende onore
1.84Il gran Nettuno assai che al Tebro e al Xanto.
1.85O dolce Melibeo, questo è quel loco
1.86Là dove tregua mi promette spene
1.87Che doviam ritrovar sicura e vera
1.88D'ogni acerbo dolor, che l'alma ancide.
1.89Spesso addivien, che sotto i verdi prati
1.90Ove più ricchi son di fiori e d'erbe
1.91Si vede il nido aver la serpe e l'aspe,
1.92E dentro i più frondosi e lieti boschi,
1.93Ove più trova l'uom castagne e ghiande,
1.94Ivi il lupo e il leon talora incontra.
1.95Ben sovente veggiam che i campi aprici
1.96Di sì crudi pastor son fatti albergo,
1.97Che avanti andrei dove più ghiaccia il cielo,
1.98O dove ancide il Sol l'erbe e le frondi:
1.99E chi nol crede, or miri i t¢schi lidi,
1.100E l'empia gente che li adduce a tale.
1.101Come tu dica il ver, la prova il mostra
1.102Non pur fra noi, ma fra molti altri ancora,
1.103Danno eterno e disnor di questa etade.
1.104Ma spoglia ogni timor che ciò n'avvegna
1.105Dentro il paese ch'io dipingo, e parlo.
1.106Ivi con sommo onor governa e impera
1.107Il re de' buon pastori, il grande Admeto,
1.108Di cui già tanto tra Durenza e Sorga
1.109Il passato dolor piansi e cantai.
1.110Ivi per prati, per campagne e colli
1.111Senza il suo fido can, senz'altra guida,
1.112Posson sicuri andare armenti e gregge,
1.113Ché il rapace pastor né il fero lupo
1.114Arditi son di riguardarli appena,
1.115Sì del giusto signor temon lo sdegno.
1.116Questo è il pastor, cui se fortuna eguale
1.117All'alto suo valor donasse il cielo,
1.118Già le Colonne, il Nil, la Tana e il Gange
1.119Sotto l'ombra sarien de' Gigli d'oro.
1.120Chi vuol vedere onde l'esempio tôrre
1.121Deve al lodato oprar chi regge impero,
1.122Venga questo a mirar di ch'io ragiono.
1.123Nei teneri anni suoi che il piccol piede
1.124Non ben fermo premea la terra ancora,
1.125Di sì raro valor tai segni dava,
1.126Che empìa ciascun di maraviglia e gioia.
1.127Ivi tempo e virtù crescendo insieme,
1.128Spronando il corso suo faceano a prova
1.129Chi di lor più con lui poggiasse in alto.
1.130Quante opre degne di memoria e lodo
1.131Fece or lunge, or presente quello, il quale
1.132Questo scettro, ch'ei tien, davanti tenne,
1.133Troppo lungo a narrar fra noi sarìa.
1.134Poscia che aggiunse all'onorato impero,
1.135Quel che facesse trapassando il monte
1.136Che dal nostro terren Francia scompagna,
1.137Dical l'Adda e il Tesin, che fur vicini,
1.138Ma più l'Elvezio, che allor vide come
1.139Furor contro a virtù sta poco in piede.
1.140Carco tornando poi d'ostili spoglie,
1.141Portò il trionfo suo principi e duci,
1.142E in sì giovine età, che il vanto tolse
1.143Al Macedone antico, all'Africano,
1.144Che l'un Dario domò, l'altro Anniballe,
1.145E in così breve andar, che ben potea
1.146Il magnanimo re, quant'altri forse,
1.147Con ragion dire: e venni e vidi e vinsi.
1.148Poi che il santo Pastor l'empia congiura
1.149Col Tedesco e l'Ispan sì dura feo
1.150Per farsi al gregge suo lupo rapace,
1.151Quel che potea la valorosa mano
1.152Dell'ardito rettor non lungi al Reno
1.153Troppo il sentì la belgica campagna.
1.154Ivi, al primo apparir del fero Gallo,
1.155L'ali stese a fuggir l'uccel di Giove
1.156Che per più divorar due bocche porta.
1.157Ma che voglio io più dir? che tanto avrei
1.158Da narrar di costui, che il giorno e l'ombra
1.159Prima all'occaso fien ch'io venga al fine.
1.160Ma la fortuna, ch'è mai sempre avara
1.161Del suo favor dove virtù si mostra,
1.162Tal sopra a lui versò sdegno e veleno
1.163Lungo 'l Tesin, che tutto il mondo poi
1.164Altro non vide mai che doglia e pianto.
1.165Ma non seppe ella far sì, che non fosse
1.166Vie più l'onor del glorïoso vinto
1.167Che del suo vincitor, che mentre lunge
1.168Dormia posando oltra l'Ibero e il Tago,
1.169Tale insperato ben si vide in seno:
1.170Né Marte pur, ma il biondo Apollo, e quello
1.171Che già l'occhiuto augel dormente ancise,
1.172Ogni favor dai lor più cari alberghi
1.173Sopra il suo dì natal versaro insieme.
1.174Per qual dritto sentier convegna andare
1.175Al cammin di giustizia, e con quai passi,
1.176Lo sa vie men di lui chi più ne intese.
1.177Dello stato civil, del regio impero
1.178Quanto mai ne parlasse Atene e Roma
1.179Così ben sa, come sappiam qui noi
1.180Quanti fa il gregge nostro agnelli e latte.
1.181L'alte leggi, i costumi, i detti ornati
1.182Del saggio antico che divin s'appella,
1.183O del gran successor che fu nel dire
1.184Accorto più, che al suo maestro grato,
1.185Così ben sa come qual altro mai
1.186L'Accademico stuol seguìo dappresso,
1.187O quel che andando e ragionando impara.
1.188L'altro scrittor che del famoso Ciro
1.189L'opre e il valor sì dottamente pinse,
1.190Non men rivolge da mattina a sera
1.191Che già il grande African, che al Duce Mauro
1.192Primo mostrò che non invitto fosse,
1.193E quanto la virtù potesse e Roma.
1.194Poi nel patrio sermon, nel lazio e t¢sco
1.195A sì chiaro parlar la lingua scioglie,
1.196Che in Atene e in Arpin fu tale appena.
1.197Narra, insegna, conforta, affrena e muove
1.198Con tanta gravità, con tal dolcezza
1.199I suoi duci e gli eroi, l'inferma plebe
1.200All'arme, all'ozio, ove il bisogno sprona;
1.201E taccia il vate che la Grecia onora,
1.202Che il figliuol di Laerte e il grande Atride,
1.203Vivendo oggi con lui men pregio avrieno.
1.204Poiché cessando fuor tutte altre cure,
1.205Senza proprio disnor, senz'altrui danno,
1.206Può nell'ozio ripor la regia soma.
1.207Con le sue muse d'Elicona al fonte
1.208Così dolce talor ragiona e scrive,
1.209Che tal si estima assai che indietro resta.
1.210Ed or che ogni altro e il bel paese gallo
1.211Per ristorare il mondo ha posto in pace,
1.212Benché noi soli abbiam da pianger sempre,
1.213Dei sette a Tebe e di Creonte il fero
1.214Nel tragico sermon distende l'opra,
1.215Che il sofocleo coturno invidia n'aggia.
1.216Poi così caro e sì cortese accoglie
1.217Chi vien cantando di Parnaso al monte,
1.218Che s'oggi il gran Maron tornasse in vita,
1.219O il Venosin poeta, o il Sulmonese,
1.220Augusto e Mecenate in lui vedrebbe.
1.221E qual si sia la rozza mia zampogna,
1.222L'altr'ier davanti a lui sonando a caso,
1.223Già non gli fu, per quel ch'io vidi, a schivo.
1.224Vedi tu dunque omai se sotto l'ombra
1.225Di sì giusta, onorata e chiara pianta
1.226Potran sicure star le gregge nostre.
1.227Alma Ceranta, che vedesti in prima
1.228Nascer fra l'onde tue sì chiaro germe,
1.229Qual fia l'onor che ti si serba ancora?
1.230Non ha il padre Nettuno ninfa in seno,
1.231Non Anfitrite, o Teti, o Galatea,
1.232Che più del tuo venir si tenga care.
1.233Ah se fortuna pia quaggiù concede
1.234Al mio fuso fatal più lungo corso,
1.235Sopra l'ali del ver mio basso stile
1.236Porterà il nome tuo tant'alto forse
1.237Ch'odio e sdegno n'avran l'Ibero e il Reno.
1.238Quanto dentro sent'io diletto e gioia,
1.239Vero estimando quel che m'hai narrato!
1.240E grazie al Ciel divotamente rendo
1.241Che l'infelice età de' giorni nostri
1.242Così colma d'error, però non lascia
1.243In quella povertà ch'io mi pensava.
1.244Anzi se vive pur sì bel tesoro,
1.245Dirò ben, che noi qui mendici siamo;
1.246Ma che tante ricchezze han quelle parti
1.247Che l'arabico mar n'ha invidia e 'l Gange.
1.248Nuove ricchezze ancor si trova in seno,
1.249Oltra quel che ti ho detto, il bel paese,
1.250Ch'oggi chiamar si può beato solo.
1.251Ivi è la Madre pia, che al mondo diede
1.252Con tal favor questa onorata prole,
1.253Dell'età faticata alto restauro.
1.254Venne costei dal generoso tronco
1.255Che sì profonde tien le sue radici,
1.256Che a quella nobiltà null'altra aggiunge.
1.257Il gran padre di lei sotto il suo impero
1.258L'allobrogo terren tenne in gran parte,
1.259Né pur l'Alpe frenò, che il corso stese
1.260Nel piè de' monti ove il Po riga i campi.
1.261Chi vorrà di costei cantare appieno,
1.262Potrà contar quante han le notti stelle,
1.263Quanti ha fior primavera, e il mare arene.
1.264Bàstiti udirne sol, che quante mai
1.265Fur dall'antico e dal moderno stile
1.266Onorate sin qui donne e regine,
1.267Fian poco o nulla, ove sarà il suo nome.
1.268Nel giorno amaro in cui fortuna volle
1.269Mostrar lungo il Tesin, che il suo potere
1.270Più che umana virtù fra noi potea,
1.271Visto il mondo cangiar l'usate forme,
1.272L'onde addietro tornar verso il suo fonte,
1.273E il ciel quasi lasciar l'antico corso;
1.274Visto colmo restar di doglia e téma
1.275Il chiaro regno suo che il buon rettore,
1.276Che troppo lunge avea, chiamava indarno;
1.277La magnanima Donna entro il suo core
1.278Ogni materno affetto, ogni alto duolo
1.279Chiuso tenendo, l'onorata mano
1.280Al gran gallico freno ardita porse.
1.281E quinci e quindi poi reggendo il morso
1.282Al verace sentier di sua salute,
1.283Né il German, né l'Ispan, né il gran ribelle
1.284La poteo spaventar, fin ch'ella trasse
1.285Il sommo suo tesor di forza altrui.
1.286Poi seguitando ancor l'antica lite
1.287Dietro al danno comun l'Ibero e il Gallo,
1.288Onde già pianse il Po, Tebro e Sebeto;
1.289Quanti re, quanti duci, e quanti Eroi
1.290Han posto intenti ogni pregar, ogn'arte
1.291Per ricovrar la già smarrita pace!
1.292Ed ogni loro oprar fu sempre indarno;
1.293Finché costei, di tutte l'altre il pregio,
1.294Col lunge antiveder la strinse al varco
1.295Ove men si credea che fosse pace.
1.296E i maligni pensier di chi non volle,
1.297Tutti tornâr contra 'l suo senno vani;
1.298Ch'ella ridusse alfin nel proprio albergo
1.299Il gran pegno regal d'uliva cinta.
1.300E se noi qui piangiam, forse un dì fia
1.301Per noi sereno il ciel, tranquillo il mare,
1.302Ché i disegni lassù ci sono ascosi.
1.303Noi pur veggiam, che tutto l'altro ride
1.304Per costei sola, e si ristora in pace.
1.305Vedesi il buon pastor sicuro e lieto
1.306Menar le gregge alle campagne, ai fiumi,
1.307Lodando il nome suo, che il fe' cotale.
1.308L'avaro zappator la terra aprica
1.309Rivolge, e rompe, e grazie rende a lei
1.310Che il fiero predator non cura omai.
1.311Il buon nocchier, che può, qual più gli aggrada,
1.312Senza tema cercar questo e quel lido,
1.313Narra all'onde, ai delfin le sue virtudi.
1.314Ma che più dire? in terra, in mare, in cielo
1.315Fia dell'alta Luisa il nome eterno.
1.316O felice paese, alme contrade,
1.317Che di tanta virtù sostegno siete,
1.318Come aveste nel ciel le stelle amiche!
1.319Più non temete omai sott'ombra tale
1.320Col furor di lassù grandini e nevi,
1.321Né di venti o di pioggia offesa alcuna.
1.322Senza cura tener d'estate o verno
1.323Le liete gregge vostre, i grassi armenti
1.324Vi daran d'ogni tempo il latte e i figli.
1.325Così vegga i suoi dì lunghi e felici
1.326L'altera Donna, che vi ha fatti tali,
1.327Come degna sarìa d'eterna vita.
1.328Una mi resta a dir tra l'altre ancora
1.329Del gallico terreno alta ventura,
1.330Atta ella sola a far beato il cielo.
1.331Costei che il mondo sua salute appella,
1.332Oltra il Re de' pastor quel grande Admeto,
1.333Produsse ancor l'altissima regina,
1.334Il cui consorte, e dell'Ispan mal grado,
1.335Sopra i gran Pirenei comanda e regge.
1.336Dir non saprei di lei chi più simiglie
1.337O la madre o 'l fratel; so ben ch'è degna
1.338Di esser suora dell'un, dell'altra figlia.
1.339Le Grazie, le Virtù, le Muse e l'Ore,
1.340Dal primo dì che questa gemma nacque,
1.341Furon dintorno a lei la notte e il giorno.
1.342Castità, leggiadria, senno e valore
1.343Quanto il Sol gira, e quanto cinge il mare,
1.344Non troveran giammai più degno albergo.
1.345Chi desia di veder la propria immago
1.346Di quelle antiche che già fûro in pregio,
1.347Tal che ancor oggi ne ragiona e canta
1.348Sparta, Atene, Cartagin, Roma e Troia;
1.349Venga questa a veder, ché tutto appare
1.350Congiunto in questa che fu sparto in loro.
1.351La chiara alma gentil di questa Diva
1.352Di sì rare eccellenze ha ricco il seno,
1.353Che a volerle narrar già stanca fôra
1.354La Grecia e il Lazio, e l'una e l'altra lira.
1.355Non lo stato regal, non quella altezza
1.356Ch'ogni grado mortal tra noi trapassa,
1.357Dell'altrui indegnità la fanno schiva.
1.358Anzi a quanto più onor la porta il cielo,
1.359Questo spirto sovran più dolce allora
1.360Umiltà, cortesia, pietà riveste.
1.361A quale uom veggia dalla ruota oppresso
1.362Della inimica instabile fortuna,
1.363Colma di carità la mano stende
1.364Per riportarlo a più felice stato.
1.365Le Muse, e le virtù nude, e neglette
1.366Dal cieco mondo, che le fugge e sprezza,
1.367Han ricetto ed onor da questa sola,
1.368Tal che dall'opre lor per ogni parte
1.369L'alte lodi di lei saranno eterne.
1.370E quel chiaro terren dov'ella nacque,
1.371A Creta, a Delo, a Cipro il pregio invola.
1.372L'Etiopia, l'Arabia, il Perso e l'Indo
1.373Han smeraldi, rubin, zaffiri e perle:
1.374La Francia ha fatta questa gemma sola.
1.375Ma mentre ch'ella avrà tal Margherita,
1.376Ceda Etiopia, Arabia, il Perso e l'Indo.
1.377Viva ella adunque, e non le noccia unquanco
1.378Tempo avaro, fortuna, e il ciel cruccioso:
1.379Questa unica de' buon fida colonna
1.380E di quanto è lassù perpetuo esempio.
1.381Io rendo grazie al ciel, che pur riserva
1.382A' suoi cari pastor qualche soccorso,
1.383Poich'è sì ricco il buon paese gallo.
1.384Le Dee, le Ninfe, i Satiri, i Silvani
1.385Tutti saran, dove sta il grande Admeto
1.386Con quelle due che di', ché udir mi sembra
1.387L'una l'alma Giunon, l'altra Minerva.
1.388Andrem là dunque, ché ne scorge il cielo.
1.389Ma ritorniamci ormai ne' nostri alberghi,
1.390Ché già la notte le campagne imbruna.
1.391E tu pur dêi saper che in questi colli
1.392E fra genti cotai le nostre gregge
1.393Posson sicure star di giorno appena.
Supported by the Czech Science Foundation (GA23-07727S)