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SELVA DECIMATERZA.

Rime

PoeTree.it

1.1Or che deggio più far poich'io son lunge
1.2Dall'alma Pianta mia, mia sola spene?
1.3Che deggio io più, poiché m'ha tolto il Cielo
1.4Di sì bei rami il refrigerio e l'ombra,
1.5Che sì dolci mi fêr gli affanni e 'l fuoco?
1.6Ben spero ancor di rivederli un giorno
1.7Più che mai lieti, e più leggiadri in vista;
1.8Ma poi che nel pensier meco ragiono
1.9Quanto terren, quante montagne e fiumi,
1.10Quanto mar, lasso! intra Durenza ed Arno
1.11Per furarmi ogni ben natura pose,
1.12Come ratto è il desir, come il piè tardo,
1.13Ogni caldo sperar ghiaccio diviene.
1.14E dico: ohimè come potrò quest'alma
1.15Per sì lungo cammin condurre in vita
1.16Senza l'esca gentile, ond'ella spira?
1.17Ch'io so per prova omai come più ancida
1.18Desir di cosa, che vicin s'appresse,
1.19Che ove cresce il sperar la voglia abonda.
1.20Ahi crudo, ahi sordo amor, perché non doni
1.21Ali a portar questo terrestre incarco,
1.22O le togli al desir che innanzi vola?
1.23So pur, se non mel toe fortuna o morte,
1.24O non cangia voler la Pianta mia,
1.25Ch'io la vedrò pria che ritorni Apollo
1.26Nel dorato monton suo chiaro albergo.
1.27Ma chi può sicurarmi, ahi lasso! e come?
1.28Ché tanti dubbi intorno all'alma stanno,
1.29Ch'io temo ognor, che la natura il corso
1.30Non fermi, o cangi, e per mio danno solo.
1.31Ahi non certo aspettar dei tristi amanti!
1.32Veggio or le nevi, il gel, la pioggia e 'l vento,
1.33Che han vinto il breve giorno, e dato in preda
1.34Alla lunga ombra che trionfa il cielo;
1.35Il Sol sì chiuso, ch'egli ardisce appena
1.36Trar l'occhio pur dal Capricorno fuore,
1.37Che or Austro or Noto lo riserra intorno
1.38In oscura prigion di fosche nubi,
1.39Onde il ciel di dolor la terra inonda.
1.40Non ha picciol ruscel montagna o colle,
1.41Non ha sì angusto rio campagna o valle,
1.42Ch'oggi non sien di tai ricchezze carchi
1.43Che contender potrian con l'Elsa e l'Arno.
1.44Scendon fremendo in basso, o legge o fede
1.45Data dal buon cultor di ripa o muro
1.46Non curan più che delle vili arene.
1.47Quel drizza il corso a più spediti campi,
1.48E depredando armenti, arbori e gregge,
1.49Doppio il tributo al suo signor riporta.
1.50Quel, seco accolta ogni sua forza estrema,
1.51Cerca solo espugnar questo o quel lito
1.52Che gli chiude il cammin de' suoi desiri;
1.53Che non potendo ei far, lo sdegno e l'ira
1.54Sfoga sopra il vicin, che in alto stassi,
1.55E le fatiche sue, l'albergo caro
1.56Vede all'onde portar, né giova aita.
1.57Sol tra sé, lasso! si lamenta e piange,
1.58Né sa dove scampar la fame e 'l gelo.
1.59Né pur sempre sen sta piovoso il mondo,
1.60Ch'oltre ogni uman veder viene in un punto
1.61Chi l'onde agghiaccia, e le montagne imbianca,
1.62E fa canute le campagne e i colli.
1.63Qual senton l'acque e meraviglia e duolo
1.64In vedersi furar l'usato corso,
1.65E l'antico liquor, che a poco a poco
1.66Senton cangiarsi in cristallina pietra,
1.67E mal grado di lor sicuro il varco
1.68Al mortal piè sopra il suo dorso dànno,
1.69Né si pôn vendicar di chi l'aggreva!
1.70Ove correr solean la vela e il remo,
1.71Rotando i carri pur s'han fatta strada,
1.72Né con più dubbio che di terra o muro.
1.73Vengonsi a pasturar le gregge ai campi,
1.74E pensando trovar l'erbe e le frondi,
1.75Veggion la terra e il ciel conversi in neve.
1.76Non san cibo trovar, ch'ascoso muore;
1.77Non san la vista miserelle appena
1.78Pur tanto alzar, che si riguardi intorno,
1.79Così spessa dal ciel sopr'esse fiocca.
1.80Poi dal gel vinte e di speranza prive,
1.81Cercan l'albergo; e 'l povero pastore
1.82Lunge crollando va questo e quel ramo
1.83Con la man che dal gel non può disciorse,
1.84Finché pur lasso ne riporta ad esse
1.85Tanto la notte poi di scorze e giunchi,
1.86Che in vita le sostien nel nuovo giorno.
1.87Poscia il fero Aquilon riprende il corso,
1.88E i venti che stan fuor, dispoglia, e scaccia
1.89Nei cavi alberghi, e signoreggia i campi.
1.90Con tanto e tal furor commuove e gira
1.91Quant'egli incontra, che sicuro appena
1.92Si trova Giove in ciel dalla sua rabbia;
1.93Or l'altissimo pin disfida in guerra,
1.94Or nel sommo Appennin l'alpestre faggio,
1.95Or nei monti minor la querce annosa,
1.96E rare volte avvien che vinto resti.
1.97Che se non sempre pur la fronte e il piede,
1.98Almen vede di lor le braccia a terra,
1.99Dell'alto suo valor segno e trofeo.
1.100Né ben contento, con l'eccelse cime
1.101D'antiche torri o di possenti mura
1.102Prova il fero poter, tra sé cruccioso
1.103Che argomento mortal gli occupi il corso.
1.104Ma quel che più mi duol, ch'oggi non lascia
1.105Nettuno in posa, anzi lo turba e frange,
1.106Tal che fin sopra il ciel volan le strida.
1.107Or la ricca Anfitrite, e l'altra schiera
1.108Per difender sé stessa indarno prende
1.109L'arme che nulla val contra il suo fiato.
1.110Non Teti, o Galatea, non preghi o forza
1.111Pon sicuro inviar naviglio o barca,
1.112Che di vento o di mar non tornin preda.
1.113Ché il superbo Aquilon poca tien cura
1.114Di beltade o valor, ch'è tutto intento
1.115Al comun danno, al destinato scempio,
1.116Al soggiogarsi il ciel, non l'onde sole.
1.117Il gran Padre del mar s'asconde in seno
1.118Il suo tridente, ché per prova intende
1.119Che 'l mostrarlo a costui poco rileva.
1.120Sente dintorno a sé gli scogli e i lidi
1.121Con miserabil suon chiedergli aita;
1.122Sente in l'ultimo mar l'estreme arene,
1.123Che mal sotto il suo piè sicure stanno,
1.124Né può far sì che non le turbi e volva.
1.125Vede i fidi delfin fuggirsi a schiera,
1.126Né il lunge antiveder, né il ratto corso
1.127Gli pôn tanto giovar, che fuggan morte.
1.128Vede sovente il capidoglio orrendo
1.129Dal più profondo mar condursi a terra,
1.130Ove al popol vicin preda diviene.
1.131Ed io che 'l veggio, e 'l so, con che speranza
1.132Poss'io restar della mia Pianta altera?
1.133Che s'io la deo veder, solcar convienme
1.134Del mio chiaro Tirren non lunge al lito,
1.135Tutto il Liguro Mar, del Gallo parte,
1.136Che dolcemente la circonda e bagna
1.137Presso a' bei campi ove Durenza irriga.
1.138Chi m'assicura, ohimè! dal fero intoppo
1.139Del crudele Aquilon, ch'ei non mi porte
1.140In parte, lasso! ov'io men gir vorrei,
1.141O nel seno african che incontra giace?
1.142Chi mi assicura, ohimè, che torni 'l tempo
1.143Nei miglior giorni alla stagion novella,
1.144E l'usato cammin non perda Apollo
1.145E 'l suo caro Monton ponga in oblio?
1.146Ahi soverchio dubbiar de' tristi amanti,
1.147Or non degg'io pensar, s'io fossi ancora
1.148Il più fero animal nemico ai vènti
1.149Che lor mostrando l'amorosa doglia,
1.150E l'alma Pianta mia che lunge attende,
1.151Che n'arian tal pietà, ch'entro 'l suo seno
1.152Sicur mi porterian nel grembo a lei
1.153Che può sola affrenar la rabbia loro
1.154E metter pace in tra Nettuno e Giove?
1.155Ben lo degg'io sperar, se già la vidi
1.156Sotto il più torbo ciel, ne' più gran geli,
1.157Far le biade spigar, fiorir le piagge,
1.158E l'aria e i venti serenar dintorno,
1.159E fare un nuovo april sol con la vista.
1.160Voglio adunque sperar, né temo il verno.
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