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SELVA DUODECIMA.

Rime

PoeTree.it

1.1Sommo Fattor che l'universo intorno
1.2Governi e volgi, e con mirabil tempre
1.3Al nostro corso uman dài vita e morte;
1.4Deh quell'alta pietà ti volga a noi,
1.5Che afflitti e stanchi su le rive d'Arno
1.6Chiamiam piangendo notte e dì il tuo nome.
1.7Non sian più sorde alle dolenti note
1.8Del divoto pregar le sante orecchie;
1.9Non sia secco in vêr noi quel vivo fonte
1.10Di tua clemenza, c'ha sì larga vena
1.11Che mai giusto desir non lascia in sete.
1.12Rivolgi gli occhi al bel fiorito nido,
1.13E guarda, ohimè! con quanti affanni giace.
1.14Ben ti rende ad ognor con alte voci
1.15Grazie infinite che pur l'hai tornato
1.16Al viver primo, in cui non porti pena
1.17Il buon dal rio, ma con tranquilla e vera
1.18Colma di libertà pace e riposo
1.19Or veggia i figli suoi godersi in seno.
1.20Ma dell'ira del ciel che le sue braccia
1.21Tant'oltre stende, che ti resta appena
1.22Chi possa più pregar, ti pregan fine.
1.23Non vedi, alto Signor, l'inferma plebe
1.24Del tuo bell'Arno in questa parte e in quella
1.25Senza soccorso uman, senz'altra aita,
1.26Come corre a morir la notte e il giorno?
1.27Qual è contrada, ove la falce orrenda
1.28Dentro, lassi! e di fuor di noi non mieta?
1.29Forse non fur nei nostri campi spighe
1.30Quanti son or dell'infelice gente,
1.31Che nel primo incontrar soggiace a morte.
1.32Quanti stati già son, che sani e lieti
1.33Stavan contenti all'apparir del sole,
1.34Che all'oscurar del dì sen giro altrove!
1.35Risguarda quei con povertà nodriti
1.36Che potean sostener la vita appena
1.37Qualor più lieto e più felice è il tempo;
1.38E gli vedrai che abbandonati e soli
1.39Dall'altrui carità per tema spenta
1.40Senza numero aver sotterra vanno.
1.41Stassi in povero albergo in sé ristretta
1.42La famigliuola afflitta, e d'ora in ora
1.43Per l'esempio di quei che spenti vede,
1.44L'ultimo punto dei suoi giorni attende:
1.45Che se pure a venir tardasse molto,
1.46Forse di fame alfin preda sarebbe.
1.47Vede il misero padre il figlio infermo,
1.48Vede il marito la diletta sposa,
1.49L'un fratel l'altro che domanda aita,
1.50Che sola aver si può di pianto e strida.
1.51E mentre questo a quel più fisso intende,
1.52Sente di nuovo mal quell'altro punto,
1.53E sé medesmo poi; tal ch'ogni doglia
1.54D'altrui posta in oblio, se stesso piange.
1.55I neri fraticelli, i bianchi, i bigi
1.56Non son lì presso a ricordar ch'uom sia
1.57Tutto a chi ne creò coll'alma vôlto,
1.58Ché della più vil gente corre appena
1.59A ricoprirgli pur di poca terra,
1.60Senza cura tener di tempo o loco.
1.61Che strada abbiam tra le onorate mura
1.62U' non si veggia mille volte il giorno
1.63L'un morto, l'un languir, l'altro dolersi,
1.64E in guisa del monton che il gregge perda
1.65Nel mezzo del cammin si giace e muore?
1.66Ovunque il passo, ovunque il guardo porgi,
1.67Non vedi o incontri mai, che doglia e morte.
1.68Quanti son poi che in gran ricchezze nati,
1.69Di nobiltà, d'onor portando segno,
1.70Dal primiero dolor sorpresi appena
1.71Si ritrovâr d'altrui negletti e soli!
1.72Non la consorte pia, no 'l fido servo
1.73Non cortese vicin, non caro amico
1.74Trovò, che nel suo mal compagno fosse.
1.75Ma quel ch'è molto più, la madre stessa
1.76Abbandonando il figlio, altrove corse;
1.77Né potè ben fuggir, che in breve giorno
1.78Ripiena in sé di penitenza e duolo
1.79Nel cieco mondo a ritrovarlo scese.
1.80Nulla è sì giovin donna e sì leggiadra,
1.81Che, dell'acuto mal sentendo offesa,
1.82Di qualunque uom si sia l'opra rifiute
1.83Quand'offerta le vien, che pure è raro;
1.84E quelle membra fin allor servate
1.85Pur a sé stessa castamente ascose,
1.86Sol che prometta invan la sua salute,
1.87Al più vil uom che il terren nostro porte,
1.88Tanto schiva il morire, aperte mostra.
1.89Vedi or vote restar l'antiche case,
1.90Gli alti palazzi, e rimanersi in preda
1.91Di servi, ove alcun n'è più d'altri avaro.
1.92Quell'ampie strade, che al buon tempo fûro
1.93Di festeggianti voci e turba piene,
1.94Sono or deserte, e in tal silenzio oscuro,
1.95Che a Morte stessa pur terrore apporta.
1.96I ben colti giardin, gli ornati campi,
1.97Pien d'erbe infeste e di nocenti spine,
1.98Senza proprio cultor son fatti selve.
1.99L'arbor senza temer l'acuta falce
1.100Nutrisce a suo voler le fronde e i rami.
1.101Cerer negletta in le campagne stassi,
1.102Ché nessun pensa del futuro omai.
1.103Gli armenti, i greggi a suo diporto vanno,
1.104Senz'altra scorta, ove il desio gli mena
1.105A miglior campi, a più tranquilli fonti,
1.106Tornando a vespro nell'albergo sciolti,
1.107Ove non trovan più chi d'essi cure.
1.108Le sante leggi, i buon ministri d'esse,
1.109Se pur vivi ne son, per téma e duolo
1.110In man d'altrui volere han posto il freno.
1.111I templi chiari e gli onorati altari
1.112Non senton più tra sé dentro e dintorno
1.113Il cantar lieto del tuo eterno nome;
1.114Ma pianto, lamentar, sospiri e preghi
1.115Di quei, cui morte i più congiunti tolse,
1.116O di quei cui timor t'addusse ai piedi.
1.117Ivi non son le belle schiere accolte
1.118Dei ringrazianti Dio, non vedi ornata
1.119Più d'ostro e d'oro la tua santa immago,
1.120Ché il crudo tempo rio per tutto appare.
1.121Or piega, alto Signor, la mente omai
1.122Al divoto pregar, né i nostri falli
1.123Voglia in ciò riguardar più che te stesso.
1.124E noi pur siam di quei, cui già ti piacque
1.125Alla tua simigliante forma dare
1.126Per farne cittadin del tuo bel regno;
1.127E noi pur siam di quei cui tanto amasti,
1.128Che per salute lor del tuo gran Figlio
1.129Sparger lasciasti l'innocente sangue.
1.130Certo il nostro peccar più doglia merta
1.131Di quanta è stata in noi, di quanta avemo;
1.132Ma se vorrai, Signor, con dritta lance
1.133Giustamente punir le colpe umane,
1.134Chi potrà sostener peso sì grave?
1.135Non venga teco al gran giudicio eterno
1.136Giustizia ignuda, anzi l'ammanto vesta
1.137Della pietà che il miser gregge chiama,
1.138Senza la qual mille ricchezze avrebbe
1.139L'empio avversario che n'attende altrove.
1.140Non senti, ohimè! queste divote strida
1.141Della parte minor dell'umil plebe
1.142Ch'è pur tra mille dubbi in vita ancora?
1.143Non senti, ohimè! le verginelle pie,
1.144Che, senza padri aver, fratelli e madri,
1.145Solo hanno in te chiamar posta ogni speme?
1.146Non senti, ohimè! quel doloroso pianto
1.147Delle vedove afflitte, a cui fu tolto
1.148Il fido sposo, ch'or del picciol figlio,
1.149Sol rimaso di molti, in téma stanno?
1.150Le donne antiche, i vecchiarelli stanchi,
1.151Che s'han visto mancar l'amato erede
1.152Nei lunghi giorni lor salda colonna,
1.153Non senti, ohimè! con che dogliosi preghi
1.154Chieggon che invece almen resti il nepote?
1.155Non senti quelle, ohimè! c'han fatto dono
1.156D'invitta castità ne' templi tuoi,
1.157Che, perduta di lor la più gran parte,
1.158Pregan piangendo pur, che morte lasci
1.159Sol d'esse tante, che maestre e guide
1.160Sian nel tempo avvenir di chi t'adora?
1.161Non senti quei che nel tuo santo albergo
1.162Solo hanno in te servir posta ogni cura,
1.163Come, portando in man la sacra insegna,
1.164Morte del tuo Figliuol, del mondo vita,
1.165Pregan che al nostro mal sia fine omai?
1.166Sia fine al nostro mal, Signore, omai.
1.167Non consentir che il bel fiorito nido
1.168Voto d'abitator divenga selva.
1.169Tu, Regina del ciel, figliuola e sposa,
1.170Se mai ti calse o cal di noi mortali,
1.171Deh prega il tuo Signor, Figliuolo e Padre,
1.172Che il pregar nostro omai pietà ritrove.
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