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SELVA NONA.

Rime

PoeTree.it

1.1Poiché cantando, e lagrimando in parte,
1.2Non senza voi noiar, gran Re de' Franchi,
1.3Ho sfogato il dolor che qui m'ancide,
1.4Narrando pur quanto fu danno estremo
1.5Al bel t¢sco terren l'acerba morte
1.6Del Buondelmonte mio, mia sola speme,
1.7Non mi sarete ancor di tanto avaro,
1.8Che v'incresca l'udir quant'io mi deggia
1.9Doler più d'altri, e quanto m'abbia il Cielo
1.10Tolta nel suo partir ricchezza e gioia.
1.11E vi prometto poi, s'altri il concede,
1.12Spogliar la cetra mia dal nero ammanto
1.13Per non rinnovellar più doglia in voi.
1.14Ma chi tacer potria che spento veggia
1.15Nel più bello esser suo colui, che solo
1.16Fu d'amicizia in terra esempio eterno?
1.17E tenne in un questi onorati nomi
1.18Dolcezza, integrità, costanza e fede?
1.19Chi nol provò com'io, pensar nol puote
1.20Quanto a ciascun venìa giocondo e caro
1.21Quel dolce ragionar, che ben mostrava
1.22Come in un tempo si diletti e giovi,
1.23E senza faticar s'insegni altrui.
1.24Non si potea di lui sentir parola,
1.25Che di sommo saver non fosse colma,
1.26Quasi oracol divin, che mai non erra;
1.27Poi messe insieme in sì cortesi detti,
1.28Che gli era il morder suo vie più soave,
1.29Che di qualunque sia, conforto e lode.
1.30E più che in altro mai si scòrse in esso,
1.31Che il suo raro biasmar cagione avea
1.32Non da sdegno o livor, ma sol dal vero
1.33E dal proprio bramar l'onore altrui.
1.34Con che ardente desir, con quanto amore,
1.35Con che scusar, con quai punture oneste
1.36Soccorreva al fallir de' cari amici!
1.37E quando esser potea, sopra se stesso
1.38Degli altrui certi error ponea la colpa,
1.39Cotal di carità lo punse sprone;
1.40E tal più che se stesso amò ciascuno.
1.41Ma nïente parrà quant'io n'ho detto
1.42A chi 'l sentì, quanto fu integra e forte
1.43Nelle fortune altrui quest'alma chiara.
1.44Non speranza o timor, non prego o forza
1.45Le potêr mai condur per altro calle,
1.46Che nel dritto sentier che porta al vero.
1.47Men maraviglia in sull'estrema fronte
1.48Del nivoso Appennin quando più verna,
1.49Sarìa stato a veder frondi e viole,
1.50Che nella lingua sua trovar menzogna,
1.51Quantunque fosse tal, che a vera pruova
1.52Non la potesse addur certezza umana;
1.53Ché il conoscer l'altrui non era il freno
1.54Al suo mai non fallir, ma il proprio bene,
1.55E l'onestà che avea di sé vergogna:
1.56E sovente dicea, ch'altro non era
1.57Più duro testimon, ch'ei più temesse
1.58Che se medesmo, in cui disnore o pregio
1.59Han più che in altrui dir sua ferma sede;
1.60Ch'oltre il cieco estimar dei molti sciocchi
1.61Non lo premea dolor di torto biasmo,
1.62Né dolcezza sentia d'ingiusta lode,
1.63Ma sol seco del ver godeva in seno.
1.64Come ad ognor mostrava aperti e nudi
1.65I chiari suoi pensier coi dolci amici!
1.66Or consigli, or conforti, or salda aita
1.67Venìa da quel, che nei bisogni altrui
1.68Al proprio sangue perdonar non volle;
1.69E spesso argomentò, ch'argento ed oro
1.70Era un sovvegno, che intra i fidi amici
1.71Non si dovea pregiar, poiché natura
1.72Per cosa a noi comun l'addusse in terra;
1.73E quel che in lor sì largamente pose
1.74Sol chiamava esser suo, poi ch'era in loco
1.75Che tôr non gliel potea fortuna o tempo.
1.76Così del suo servir grazie rendea,
1.77Non per gloria di sé, ma per virtude,
1.78E in sì semplice dir, che ben mostrava
1.79Il cor, più che la lingua, oprare allora.
1.80Chi raccontar vorrà l'invitta fede
1.81Più chiara in lui che in tutti gli altri insieme?
1.82Da far vergogna a qual più visse amico,
1.83Che ben palma portò d'ogn'altro esempio.
1.84Taccia il buon Niso, e chi seguì sì fido
1.85Nei gran perigli il furïoso Oreste,
1.86O chi col suo morir nell'arme trasse
1.87Contra il primo pensier l'irato Achille,
1.88Che all'alto vendicar la mente volse,
1.89Onde all'oste troian fu pianto eterno,
1.90Che del miglior guerrier si vide privo;
1.91Che s'oggi il Mantovan vivesse, e 'l Greco,
1.92Sarian tutti costor di fama oscura,
1.93E il Buondelmonte mio n'avrebbe il pregio.
1.94Ma sia che può, ché tanta forza ha 'l vero,
1.95Ch'io spero ancor che la mia bassa voce,
1.96Se ben lunge sarà da Smirne e Manto,
1.97Forse a Fiorenza mia fia dolce sprone
1.98A seguir di costui le oneste norme,
1.99Tanto più da pregiar, quanto più rare.
1.100Qual più sentìa dalla fortuna oppresso
1.101Dei dolci amici suoi, con più cortese,
1.102Con più benigno oprar gli facea fede
1.103Che amò lui sol, no 'l suo felice stato:
1.104E di quei pur, che posti vide in cima
1.105Con più favor del Ciel, nulla ebbe cura;
1.106Non per invidia, che a lui fu più lunge
1.107Che dal gelato mar l'accesa zona,
1.108Ma perché al suo voler dato non era
1.109Il potergli levar più in alto ancora.
1.110Chi dunque piangerà, s'io non piango io?
1.111E s'io non piango, di che pianger deggio,
1.112Glorïoso mio re, ch'ogni tesoro,
1.113Ogni speranza, ogni dolcezza e bene
1.114Che ebbi nel t¢sco sen, veggio ir sotterra?
1.115Veggio ir sotterra quel che qui mi lascia
1.116Vie più che morto, e pur mi lascia in vita;
1.117Ma vita è questa tal, che ha invidia a morte.
1.118Non oso più mirar le piagge e i colli,
1.119Cui bagna intorno il mio bel fiume d'Arno,
1.120Poi ch'io non veggio chi gli amò già tanto.
1.121Gli ornati templi, i gran palazzi alteri
1.122Per cui superba sei, vaga Fiorenza,
1.123Spelonche oscure tra selvaggi scogli
1.124Mi sembran senza lui che gli fea lieti.
1.125Gli spirti pellegrin, gl'ingegni rari,
1.126Ond'è sì ricco il bel fiorito nido,
1.127Ascoltar, né veder non posso omai
1.128Poiché non ci è chi tutti gli altri avanza:
1.129Non so muovere il piè per questi lidi
1.130Or che non ci è chi lo scorgeva in alto,
1.131E mostrava il cammin da gire al cielo.
1.132Non posso più bramar terrena cosa,
1.133Né ricercar quaggiù tranquilla vita,
1.134Poi ch'averla comun dal ciel m'è tolto
1.135Con lui, che mi fea dolce ogn'aspra sorte.
1.136Il tacere, il parlar, l'ozio e l'oprare
1.137Ugualmente mi spiace, e non so bene
1.138Quel che più senza lui mi speri o tema;
1.139Il viver dopo lui m'apporta doglia;
1.140Il cercar di morir biasmo sarìa:
1.141Ch'altro dunque farò, che pianger sempre?
1.142E richiamarlo a noi la notte e il giorno?
1.143Ma perché questo, ohimè! ch'ogni sua pace
1.144Il sentirsi chiamar con tanta pena
1.145Potria forse turbar lassù nel cielo?
1.146Che farò dunque, se il tacer m'è tolto,
1.147Ch'ogni silenzio m'interrompe il duolo,
1.148Che cresce tal, che disfogar conviene,
1.149E mi sforza a voler quel ch'a lui spiace?
1.150Starò così, fin che vorrà fortuna,
1.151In questo nubiloso viver fosco,
1.152Or me medesmo, or annoiando altrui,
1.153Come il fero destin vorrà che sia;
1.154Che or ben m'ha posto de' miei danni in cima,
1.155Né può, volendo, ristorarmi omai,
1.156Ché svelse in un sol dì sì chiaro germe
1.157Che rifar nol potrian mill'anni e mille;
1.158Che tante e tai virtù comporre insieme
1.159Opra è del Ciel, non di natura e d'arte.
1.160Questo è il colpo mortal che morto m'have
1.161O magnanimo Re, poi ch'io cangiai
1.162Con Arno e con Mugnon Durenza e Sorga.
1.163Questo è il colpo mortal che sì m'addoglia,
1.164Che se del voi noiar non fosse tema,
1.165Tant'oltre ancor si stenderia il mio pianto,
1.166Ch'un nuovo Cigno all'onde di Meandro
1.167Oggi sarebbe il vostro servo t¢sco.
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