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SATIRA UNDECIMA.

Rime

PoeTree.it

1.1Se con gli occhi del ver guardasse bene,
1.2Caro mio Tommasin, ciascuno in terra
1.3Non avria tante invan fatiche e pene.
1.4Non avrian qui tra noi sì lunga guerra
1.5I semplicetti cor, dal falso spinti
1.6Dietro al vulgare stuol che agogna ed erra.
1.7Non mille volti ognor sarian dipinti
1.8Da mille passïon, ma tutte in gioco
1.9Le prenderiano a miglior vita accinti.
1.10Non graverebbe al mondo il troppo o 'l poco
1.11Le umane menti, che selvagge e schive
1.12Solo ai dolci pensier darebbon loco.
1.13Beato quel che in solitarie rive,
1.14Lunge dal rozzo vulgo, al nudo cielo
1.15Fuor dell'ampie città contento vive.
1.16E sicuro si tempra il caldo e il gelo
1.17Con la sua famigliuola, all'ombra e al foco,
1.18Né soverchio pensar gli cangia il pelo;
1.19Nulla sperando mai, temendo poco,
1.20E la Fortuna, e i ben che in guardia tiene,
1.21Come fallaci e vil si prende in gioco.
1.22E le soglie regal dintorno piene
1.23Di simulato amor, d'invidia vera,
1.24Come arpie fugge, e come rie sirene.
1.25Non sente appresso l'inimica schiera,
1.26Né il marzïal romor che all'arme chiama
1.27Lo fa il giorno temer, vegghiar la sera.
1.28Il basso nome suo d'alzar non brama,
1.29E chiusa entro i confin di poca valle
1.30Si contenta veder sua gloria e fama.
1.31Non ha davanti, non dietro alle spalle,
1.32Gente a guardar la perigliosa vita,
1.33Ché va sicuro e sol per ogni calle.
1.34Non della indotta vil turba infinita
1.35Cura quanto di lui parlando senta,
1.36O d'esser quel che più da lei s'addita.
1.37Ogni fame, ogni sete in esso è spenta,
1.38Fuor quella sol che la natura apporta,
1.39Che di dolci sapor pasce e contenta;
1.40Ché lo appetito semplice conforta
1.41Più il vetro e il legno, che le gemme e l'oro
1.42Non fan molti altri per la strada torta.
1.43Non teme di trovar l'empio lavoro
1.44Tra le vivande di cicuta e tosco
1.45Da chi cerchi il suo regno o 'l suo tesoro.
1.46Or per questa campagna or per quel bosco
1.47Cogliendo frondi e fior suo giorno spende,
1.48Fin che la notte il vieti o il tempo fosco.
1.49Non d'ira o di dolor la mente accende,
1.50Se non se veggia al suo giardin le greggi
1.51O se il lupo talor l'agnel si prende.
1.52Non ha dintorno chi le sante leggi
1.53Alto gridi ad ognor che sparse vanno,
1.54O che la plebe sua nel fren vaneggi.
1.55Non ha temenza mai, non porta danno
1.56Del mar cruccioso, anzi a diletto 'l mira,
1.57Di quei ridendo ch'a suo rischio stanno.
1.58La ruota infida che dintorno gira
1.59Nol preme, o innalza; e vinca questo o quello,
1.60Biasma e riprende chi per lei sospira.
1.61E come il tempo vien sereno e bello,
1.62Pianta di propria man l'olmo e l'ulivo,
1.63Che adombre il colle l'un, l'altro il ruscello,
1.64Battendo il ramo che d'umor sia privo,
1.65Di peregrine frondi altrui vestendo
1.66A nuovi abitator talvolta schivo;
1.67Poi quando alzato il Sol più viene ardendo
1.68Per le campagne e piagge, il frutto coglie,
1.69Delle fatiche sue mercè prendendo.
1.70Indi che Libra le verdi erbe e foglie
1.71Conduce a morte, onde le piante e i prati
1.72Piangon cadute le sue dolci spoglie,
1.73Le bianche uve e vermiglie, i pomi aurati
1.74Or col vaso or col grembo a casa adduce,
1.75Bacco chiamando e i suoi compagni amati.
1.76Poscia che breve il freddo giorno luce,
1.77Or visco or reti or nuovi lacci adopra,
1.78Or segue il can de' suoi diletti duce.
1.79Come poi scorge che la notte cuopra
1.80Dintorno il mondo, al dolce albergo riede
1.81L'affaticata preda avendo sopra.
1.82E presso al foco alla sua mensa siede,
1.83Cui di rozze vivande ratta ingombra
1.84La fida sposa sua, che lasso il vede.
1.85Così la fame onestamente sgombra,
1.86Né cura il ciel non che i tesori e i regni,
1.87Seguendo il vero ben, lasciando l'ombra.
1.88I suoi brevi desir, né i suoi disegni
1.89Più là non van che la natura porte,
1.90Né del dritto o del buon passano i segni.
1.91Cotal, quasi cangiar volesse sorte,
1.92Cantò il tiranno che Sicilia oppresse,
1.93Ma l'altro giorno poi condusse a morte
1.94I due miglior che Siracusa avesse.
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