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SATIRA DECIMA.

Rime

PoeTree.it

1.1Poscia che lunge voi lasciando vidi,
1.2Magnanimo signor, Durenza e Sorga,
1.3E del gallico mar gli amati lidi,
1.4Temo che nova maraviglia sorga
1.5In voi, sentendo che sì tardo e lento
1.6Alla penna la man già stanca porga,
1.7Forse pensando in me scemato o spento
1.8Quello ardente desir, ch'eterno fia
1.9Al chiaro onor di vostro nome intento.
1.10E perché più senza scusar non sia
1.11Questo silenzio, se di udir vi cale,
1.12Dirò qual è, signor, la vita mia.
1.13Qui canto ognor colle mie muse, quale
1.14Mi sforza il tempo, coll'usanza antica,
1.15Ch'altro rimedio al mio languir non vale.
1.16Ma perch'assai pensar la mente intrica,
1.17E 'l gran diletto che soverchio dura
1.18Torna col tempo, altrui doglia e fatica;
1.19Dallo stil mio condotto e da natura,
1.20Men vo talor fra vaghe donne e belle,
1.21Forse compunto d'amorosa cura.
1.22E mentre colla vista or queste or quelle
1.23Vo misurando, e commendando in parte,
1.24Mi risovvien delle mie chiare stelle.
1.25E nei lor volti cerco a parte a parte
1.26L'angeliche beltà, gli alti sembianti
1.27Onde son piene, oimè! cotante carte.
1.28Una tra l'altre m'appresenta quanti
1.29Dolci atti e sguardi la mia Coppia cara
1.30Usò il dì primo de' miei lunghi pianti.
1.31Questa con tale ardor si mostra avara
1.32Della mia libertà, che a poco sono
1.33Di non sentir la terza piaga amara.
1.34E nel primo apparir congiunti sono
1.35Di Cintia il vago, e la beltà di Flora,
1.36Che mi fan pur amar quand'io ragiono.
1.37E se tanto splendor quaggiù non fôra
1.38(Che pure è sozzo a dir) nato in Provenza,
1.39Sarei più vinto che mai fossi ancora.
1.40Oh se, com'ella ha qui Sorga e Durenza,
1.41Così gustato avesse Arno e Mugnone,
1.42Il terzo chiaro onor vedria Fiorenza.
1.43Ma qual può farmi amar dritta cagione
1.44Gli spirti provenzal? che affermo e giuro
1.45Che son bruti animal senza ragione.
1.46Ma lasciam questo andar, di ch'io non curo,
1.47Che di porci parlar sarìa più degno,
1.48Onde ogni chiaro stil verrebbe oscuro.
1.49Ma quel che andar mi fa pien d'ira e sdegno,
1.50È 'l trovar fra le donne un tal costume
1.51Torto nel tutto dal diritto segno.
1.52Io mancherò di dir come ogni lume
1.53Di valor, di virtù, di gentilezza,
1.54Fugga da lor, come dall'alpi il fiume.
1.55Qui tra i servi d'amor s'annulla e sprezza
1.56Nobiltà d'alma, lealtade e fede,
1.57Quanto gemme e tesor si onora e prezza.
1.58Ben vi so dir che qui negletto siede
1.59Parnaso e i lauri, e che all'argento e all'oro
1.60Febo, Vener, Minerva, e Marte cede.
1.61Qui non bisogna ordir sottil lavoro
1.62Per adempir te sue bramose voglie,
1.63Che ricchezze mostrar basta con loro.
1.64E per parlar di chi talor mi toglie
1.65I pensier delle muse, e in sé gli porta
1.66Del mio piagato cor cercando spoglie,
1.67Questa men forse che molt'altre accorta
1.68Pensa in me molti, né conosce in cui,
1.69Dei ben ch'al mondo la fortuna apporta.
1.70Né pensar può che omai gran tempo fui
1.71Nuovo Biante, se già più che mio
1.72Dir non volesse quel ch'io debbo altrui.
1.73E bench'io il giuri, allor pensa ella ch'io
1.74Saggio più d'altri le ricchezze asconda,
1.75E più le vien d'incendermi desio.
1.76Qui più di grazia ingiusta mercè abonda,
1.77Che il povero cortese, il ricco avaro;
1.78E più che il frutto buon, la bella fronda.
1.79Così tenuto son pregiato e caro,
1.80Non perch'io doni, ché il poter m'è tolto,
1.81Ma falso immaginar mi rende chiaro.
1.82Sono, ov'io vegna, dolcemente accolto;
1.83Né pensate, signor, che quanto io dico
1.84Oltre un dolce parlar s'estenda molto.
1.85Ben si chiama signor, fratello, amico
1.86Altrui portando fronde, erbette e fiori,
1.87Ognor dagli orti, ovver dal campo aprico.
1.88E di dolci baciar gli accesi amori
1.89Pascon sovente, ché in men pregio gli hanno
1.90Che non ha il porco i più soavi odori.
1.91O Flora o Cintia, in che doglioso affanno
1.92Pregai gran tempo che mi déssi un solo
1.93Di quei che queste a tutto il mondo danno!
1.94E tal uccel qui pensa al primo volo
1.95Giunger la preda, ch'è più lunge assai
1.96Che la torrida zona al freddo polo.
1.97Io nel primiero di meco pensai,
1.98Alle grate accoglienze, ai detti e sguardi,
1.99D'esser caro a costei più d'altro mai.
1.100Né dir potrei con che pungenti dardi
1.101M'entrò speranza d'aver quello in breve
1.102Ch'io non aspetto or più per tempo o tardi.
1.103E pur m'accorsi alfin quanto di lieve
1.104Diano a ciascun menzogne sì soavi
1.105Da metter fuoco nell'alpestre neve.
1.106E l'ultimo a venir tenga le chiavi
1.107In man di queste, e mille volte e mille
1.108Falsamente giurar nïente aggravi.
1.109E colei che d'amor vive faville
1.110Accenda in altri, lei restando un ghiaccio,
1.111Ha più nome ed onor per queste ville.
1.112Poi, come uno han nell'amoroso laccio,
1.113Con mille sdegni, scherni e gelosie
1.114Van procacciando alla trista alma impaccio.
1.115Usar nei servi oneste cortesie
1.116Hanno in vergogna, e colle abiette genti
1.117Assai più del dover son larghe e pie.
1.118E questo fan, perché le basse menti
1.119Sempre hanno in pregio chi le sprezza e fugge,
1.120Gli altri fuggendo all'onor d'esse intenti.
1.121Ora io, che ho l'alma che s'intende e strugge
1.122Di poca fiamma per l'antica usanza,
1.123Non so che, sento, nella mente rugge.
1.124Ma di tosto guarir porto speranza,
1.125Ché amar chi inganni, e che ben mostri amarme,
1.126Sarìa vergogna che ogni doglia avanza.
1.127Tempo è venuto omai ch'io mi disarme
1.128D'ogni altro amore, e vo' che Cintia porte
1.129L'ultima del mio cor le spoglie e l'arme.
1.130Ma mentre io cerco di novelle scorte
1.131Per trarre il piè da sì dannosa strada,
1.132Si fuggon l'ore al mio disegno corte.
1.133Ma se ben tolto m'è, quanto m'aggrada,
1.134L'esser con voi, con la mia penna almeno,
1.135Magnanimo signor, ovunque io vada,
1.136Son con voi sempre, e voi ritengo in seno.
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