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SATIRA SESTA.

Rime

PoeTree.it

1.1Poscia che andar collo invescato piede
1.2Vi veggio errando in gli amorosi campi,
1.3Mi sforza a ragionar pietate e fede.
1.4Ch'io so per prova come ognor s'avvampi,
1.5Come vivendo a mille morti viensi,
1.6Né trovar puossi chi da lor ci scampi.
1.7So come la ragion va preda a' sensi,
1.8E come d'ogni ben selvaggio e schivo
1.9Solo a danni trovar si sudi e pensi.
1.10Io, ch'or disciolto a me medesmo vivo,
1.11Né mi cal d'altri, in mille lacci e mille
1.12Fui già di libertà più d'altri privo.
1.13Ma tosto spente in me quelle faville,
1.14Sì ben vid'io quanto se stesso inganni
1.15Chi sospiri in amor, chi pianto stille.
1.16Deh come avrebbe men vergogna e danni
1.17Chi potesse mirar coll'occhio sano
1.18Pur un dì la cagion di tanti affanni!
1.19Ma nol consente Amor c'ha preso in mano
1.20Il fren dell'alme, e ne rivolge e sprona
1.21Sempre al cammin di nostro ben lontano.
1.22E con false promesse al cor ragiona,
1.23Lunge mostrando dolce, e presso poi
1.24Assenzio è l'esca che a' suoi servi dona.
1.25Non vi affidate agli argomenti suoi,
1.26Giovin; sappiate che chi donna segue,
1.27Segue quanto di mal si trova in noi;
1.28Che non dà notte e dì pace né tregue
1.29Al fabricar per noi menzogne e frode,
1.30Pur che l'empio desir con l'opre adegue.
1.31Né qui vinca il mio dir chi pregio e lode
1.32Le dà in Parnaso, ché da questi tali
1.33Più di bel che di ver, leggendo, s'ode.
1.34Anch'io con Febo gli amorosi strali
1.35Al santo bosco già cantai dintorno,
1.36E so quante menzogne io dissi e quali.
1.37Ma il vero è questo poi, che danno e scorno
1.38Tal ha chi in donna i suoi pensier annida,
1.39Che men duole 'l passar l'estremo giorno.
1.40Miser chi prende per compagna fida
1.41Lei che se stessa più che il mondo estima,
1.42E che a morte e disnor tutt'altro guida.
1.43Pensa ciascuna in sé d'esser la prima
1.44Per beltà, per valor, per leggiadria,
1.45E di senno e d'onor sedersi in cima.
1.46Pensan tutte tener la dritta via
1.47Del vero oprar, da cui son sì lontane,
1.48Che chi 'l vedesse pur né fu né fia.
1.49Se le francesche insegne, o se l'ispane
1.50Dên vittoria portar, sol esse il sanno,
1.51E le sentenze altrui son folli e vane.
1.52Quanto il ciel ne prometta d'anno in anno
1.53Taccia Guido Bonatti e taccia Asdente,
1.54Ch'elle, se credon ben, più d'essi 'l sanno.
1.55Elle san più d'altrui, che, perché sente
1.56Livio del padovan, sia Crispo avanti,
1.57E come a' Greci ancor l'istoria mente.
1.58Che 'l Mantovan le voci al ciel sonanti
1.59Già mai non pieghi, e ch'alto e basso Omero,
1.60Come lo guida il bel suggetto, canti.
1.61Fan de' duoi Fiorentin giudicio intero,
1.62Lodando in questo il dir, la tèma in quello,
1.63Più di dir vaghe che d'udirne il vero.
1.64Convien che ornato sia, leggiadro e bello
1.65Quanto a lor piace; e chi 'l contrario accerta,
1.66Di lor grazie e d'amor sen va rubello.
1.67Poi, quando una di lor ne vien coperta.
1.68Di gemme e d'oro, dallo specchio fido
1.69Suo consiglier per cui si scerne aperta,
1.70Con tanti odor, che men ne porta al nido
1.71L'alma Fenice, e più color nel volto
1.72Che là verso l'april fiorito lido;
1.73Quale stil chiaro o parlar dotto sciolto
1.74Potrìa agguagliar, non qual sia, dico, allora,
1.75Ma qual si estima il suo pensiero stolto?
1.76Forse in fra l'altre di men grido fôra
1.77(S'ella credesse il ver) la Greca a Troia,
1.78O chi venti anni interi attese un'ora.
1.79Quanto incontro le vien, le apporta noia,
1.80Perché cosa mortal non degna appena;
1.81Solo ha di sé mirar diletto e gioia.
1.82Che più dirò di lor? ciascuna è piena
1.83Cotal d'orgoglio e di superbia vana,
1.84Che non ha Francia tal, non dico Siena.
1.85Sappiate, o servi umìl di voglia insana,
1.86Tanto voi scorge in fra le basse genti,
1.87Quanto Appenin dove la terra è piana.
1.88Vero è, che se talor l'altere menti
1.89Punge avarizia, lor compagna eterna,
1.90Forse di poco allor vi fan contenti.
1.91Ma s'oro o gemme non sovente scerna,
1.92Il suo dolce parlar men tempo dura,
1.93Che l'aperto seren se Aquario verna.
1.94Non di virtù, non d'altra lode ha cura,
1.95Non di spirto gentil, non sangue altero,
1.96Ma tesoro e terren fra noi misura.
1.97Se non porta a saziar l'empio pensiero
1.98Che Mida e Crasso a trista morte addusse,
1.99Stia lunge Achille, e non s'appressi Omero.
1.100Sallo Amfiarao se in bella donna fusse
1.101Tal verme ascoso, e gli costò sì caro
1.102Che al preveduto fin per lui s'indusse.
1.103Nasce la donna e 'l vil concetto avaro,
1.104Come con gelosia si sente amore
1.105Venir sempre d'un parto a paro a paro.
1.106Forse alcun pensa c'ha piagato il core,
1.107Che sol la induri nell'altrui preghiere
1.108Castità vera e ver desìo d'onore.
1.109Non desìo no d'onor, desìo d'avere,
1.110Che la vil merce lor che nulla vale,
1.111Pur con farla bramar, la fan valere.
1.112O dispregiato Amor, già fatto tale
1.113Che all'impudica voglia, alla ricchezza
1.114Vinto soggiace 'l tuo pungente strale!
1.115Ché ciò che il mondo scioccamente apprezza
1.116Talor di sì vil gente in preda dànno,
1.117Che ancider si dovrìa chi non le sprezza.
1.118Quante severe alteramente vanno,
1.119Che chi cura il giardin, chi fasci porta
1.120Come pudiche sien per prova il sanno!
1.121Oggi usa dir la gentil donna accorta,
1.122Che il giovin sozzo e vil, dal mondo abietto,
1.123Più che i Narcisi, altrui dolcezza apporta.
1.124Da costui nulla mai le vien disdetto,
1.125E senza tema lo comanda e sforza
1.126Sfrenatamente a più d'un suo diletto.
1.127Guida la barca; e se il buon vento ha forza,
1.128Spiega le vele o le raccoglie e stringe,
1.129Come più piace a lei, per poggia od orza.
1.130E con gli amanti suoi se stessa finge
1.131Sì di ciò schiva, che Lucrezia appena
1.132Cotal l'antica età ricorda e pinge.
1.133Né pur molta a trovar si prende pena
1.134Semiramis e Bibli, e Mirra ria,
1.135Onde ogni villa, anzi ogni casa è piena.
1.136Quante ha Pasife alla sua torta via?
1.137Che se ciascuna il Minotauro avesse,
1.138Di vie più di un Teseo mestier sarìa.
1.139Oh! chi dentro 'l suo sen guardar potesse,
1.140Quante portan dagli orti erbette e fiori,
1.141Ch'empia savina ancor vedrebbe in esse!
1.142Quanti son parti pria del mondo fuori
1.143Che l'abbian visto, per non far palesi
1.144Della spietata madre i lunghi errori!
1.145Quanti han mariti crudelmente offesi
1.146Dall'adultera man cicuta e tosco
1.147Dal letto genital non ben difesi!
1.148Anzi d'un occhio, se ben fosse losco,
1.149Che d'uno sposo sol contenta fôra
1.150Ciascuna, e stando ancor tra i porci al bosco.
1.151O Messalina, se tu pur allora
1.152Fosti al seggio comun larga a chi volle,
1.153Quelle che stan fra noi ne sono ognora,
1.154Dicendo a ciaschedun, ch'ei primo tolle
1.155Della sua castità lo invitto fiore;
1.156Ma chi il credessi, si confessi folle.
1.157Oh! se si scopre in lor ben poco errore;
1.158Non vergogna dirò c'hanno sbandita,
1.159Ma che sdegno e furor l'accende il core.
1.160Chiaman quant'è potenza in cielo unita
1.161Per testimon di sue menzogne chiare,
1.162Cosa negando che pur lì si addita.
1.163Ma lui sen fugga onde il lor fallo appare,
1.164Ché non pure Atteon farebbon cervo,
1.165Ma qual verme ha più vil la terra e 'l mare.
1.166Né pur l'ancilla e lo innocente servo
1.167Ne sentan pena, che sì lunge scocca
1.168L'arco dell'ira lor, che schianta il nervo.
1.169Sempre ha vendetta in sommo della bocca
1.170Femmina irata, che per poco oltraggio
1.171Odio, rabbia e venen dal cor le fiocca.
1.172Né pensi alcun per buon consiglio saggio
1.173Già mai placarla, ché men crudo è l'aspe,
1.174Quanto più cuoce il Sol, passato il maggio;
1.175Quasi empia tigre intorno all'onde caspe
1.176Che non s'acqueta fin che 'l sangue scorga,
1.177O il fil troncato che la Parca innaspe.
1.178E per torto o ragion che ad altri porga
1.179Danno o vergogna, gliene cal sì poco,
1.180Che udir non degna chi di ciò s'accorga,
1.181Dicendo accesa di sdegnoso foco:
1.182Così comando e voglio, e regni e prenda
1.183Questa mia volontà di legge loco.
1.184Chi dunque esser potrà che noi difenda?
1.185Cerere e Bacco, pur ch'aggiunti insieme,
1.186Fan ch'altra fiamma altre sue parti incenda.
1.187Queste sono, e le piume e l'ozio, il seme
1.188Di quel desir che vince orgoglio ed ira,
1.189E più le fa piacer chi più le preme.
1.190Taccia chi dietro ognor la mente gira
1.191Nel tempo occorso, in cui già Sparta e Roma
1.192Spregiò quel dio che a pensier nullo aspira.
1.193Stassi lungi da noi vostro idïoma,
1.194Licurgo e Numa, ché il soverchio vino
1.195Non porta in donna di vergogna soma.
1.196Fosse or quanto più può chiuso il mattino,
1.197Che al baciar di tue figlie, o giusto Cato,
1.198Altro odor fôra che conocchia o lino.
1.199Oggi i più caldi cibi e 'l vin pregiato
1.200La fida serva alla sua donna porta
1.201Ancor nel letto, e poi lo specchio allato.
1.202Questa al torto sentier sicura scorta
1.203Prende tal forza in lei, che a nullo poi
1.204De' lascivi parlar chiude la porta.
1.205E in ogni tempo e loco i detti suoi
1.206Son di contar qual esca, e in qual maniera
1.207Più dolce torni al gusto, o più l'annoi.
1.208Poi, narrando di vin sì fatta schiera,
1.209Che tanta Cinciglion ne seppe appena,
1.210Va distinguendo estate e primavera.
1.211L'un sazia, e l'altro è buon ch'appresso cena
1.212Fa risentir la già smarrita voglia,
1.213E col tal cibo il tal riprende lena.
1.214E quant'Ecuba già nel cor s'addoglia,
1.215Se 'l suo cinghial, se 'l cervo, o la pernice
1.216Trovi più cotto o men che 'l dritto voglia.
1.217E tanto a questo e quel tornando dice,
1.218Che, non pur altri, sé medesma aggreva,
1.219E così crede aver l'età felice.
1.220Questo è il suo bello oprar ch'alto si leva:
1.221Questa è la rocca, che sì spesso vede,
1.222Come Etiopia il ciel, che ghiaccia e neva.
1.223Non or tra l'ago e 'l fil nascosa siede
1.224Dolce cantando alla famiglia intorno
1.225Di qual più sia di casto nome erede,
1.226Quanto sia in esse ricco fregio adorno
1.227L'esser pudica più che vaga e bella:
1.228Quel sempre vive, e questo dura un giorno.
1.229Oggi tra lor nell'ozio si favella
1.230Di chi prendesse mai più corta strada
1.231Da ingannare i mariti, o questa o quella.
1.232Oggi terria la casta Greca a bada
1.233I Proci suoi con lor vivendo in esca,
1.234Non coll'opra gentil, che a nulle aggrada.
1.235Qual maraviglia se di voi m'incresca,
1.236Veggendovi io seguir, diletto amico,
1.237Chi di falso parer le menti adesca?
1.238Ché tutto è in donna quanto io canto e dico,
1.239E tanto più, che a dirlo stanco fôra
1.240Quanto ha moderno stil, quanto ha d'antico.
1.241Tirate dunque il piè per tempo fuora
1.242Anzi che il vostro error prenda costume,
1.243Ché gli è vizio l'amar chi solo adora
1.244Vener, Bacco, tesor, l'ozio e le piume.
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