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SATIRA QUARTA.

Rime

PoeTree.it

1.1O Santo Vecchio, a cui del ciel le chiavi
1.2Da quel che noi salvò fur date in terra,
1.3E lo sciorre e il legar le colpe gravi;
1.4Se giusto sdegno non gli torce e serra,
1.5Deh! volgi gli occhi omai sopra il tuo gregge
1.6Che contro ai detti tuoi vaneggia ed erra.
1.7Mira color che la tua santa legge
1.8Forse imitaro un tempo, or fatti tali
1.9Che pur gli ha a schivo chi ne parla o legge.
1.10Ben penserai fra te l'empie e mortali
1.11Colpe di quel che Dio privò del cielo
1.12Non esser quasi a queste d'oggi eguali.
1.13Agli occhi lor s'adombra eterno velo
1.14Di quanti sono error, di quanti inganni,
1.15Tosto che han raso dalla testa il pelo.
1.16Non ha il mondo dolor, non porta affanni,
1.17Che tutto da costor non nasca e viva,
1.18Lorda sementa di vergogna e danni.
1.19L'alta umiltà, la santa voglia schiva
1.20Delle pompe mortal, si trova in loro
1.21Men che delfin nella selvaggia riva.
1.22Cercan per tutte vie terre e tesoro,
1.23Non per ornarsi delle sante fronde
1.24Di querce antica e d'onorato alloro;
1.25Non per aver per cui sì larga abonde
1.26L'accesa carità dal divo esempio
1.27In quei che al mondo povertade asconde;
1.28Non per alzar nel tuo sacrato tempio,
1.29O per donare a chi vilmente nega
1.30Il gran nome cristian dovuto scempio;
1.31Non per nutrir chi giorno e notte prega
1.32Il comun Redentor, che pio divegna
1.33Di chi peccando al sentier manco piega.
1.34Anzi ciascun di posseder s'ingegna
1.35Per poi tiranneggiar questo e quel loco,
1.36Levando al sommo la vil gente indegna;
1.37Per accender con quella eterno foco
1.38Infra regi e signor che mai non mora,
1.39Ogni danno che vien, prendendo in gioco.
1.40Guarda, alto vecchio, sopra cui dimora,
1.41Già son tanti anni, quel sacrato manto
1.42Che tue membra vestì viventi ancora.
1.43Ben vederai ch'egli hanno in odio tanto,
1.44Quanto l'amasti tu, quïete e pace:
1.45Tu bramasti altrui ben, questi altrui pianto.
1.46Oggi privo d'onor negletto giace
1.47Il nome ancor del tuo maestro eterno,
1.48Mercè di questi, cui ben far dispiace.
1.49Come gioco talor mi sembra e scherno
1.50Veder, chi puote in ciel mandare altrui,
1.51Mandar se stesso nel più basso inferno.
1.52Forse error greve fia biasmar colui
1.53Che per te leva le celesti insegne
1.54E t'appresenta co' seguaci sui.
1.55Ma l'opre di costor son fatte indegne
1.56Di quello onor che il nome solo apporta,
1.57Più che le tue non fur di tempio degne.
1.58Ove han quella umiltà, tua fida scorta
1.59Al seguitar del tuo maestro i passi,
1.60Che la celeste via ti fe si corta?
1.61Ove l'han, dirò? in far che ogn'uomo abbassi
1.62Le ginocchie e la testa, e monte in ira
1.63Il minimo di lor, se ciò non fassi?
1.64In ch'altro la superba mente aspira;
1.65Che nel signoreggiar li uomini e Dio
1.66E quanto oggi per lui si muove e spira?
1.67A chi menzogna estima il parlar mio,
1.68Quanto la terra e 'l mar circonda e bagna
1.69Dical per me, ché ben lo san com'io.
1.70Non porta cavalier sì fiero Ispagna,
1.71Sì pien di boria, sì sdegnoso e schivo,
1.72Come son questi onde ogni buon si lagna.
1.73Ove han costor quel chiaro fonte vivo
1.74Di caritate, onde il gran vostro Duce
1.75Infuse a tutti voi sì largo rivo?
1.76Ove l'han, dirò io? ché tanto luce
1.77In lor questa virtù ch'ogn'altra avanza,
1.78Quanto in abisso la celeste luce.
1.79Usan sol carità, s'hanno speranza
1.80Di poco seme molto frutto accôrre,
1.81Come oggi par de' più cortesi usanza.
1.82Di lor nessuno a povertà soccorre;
1.83Credo bensì ch'a voi, Giovanni e Piero,
1.84Vorrian senza donar le reti tôrre.
1.85Ma che dico io? ch'è non lontan dal vero
1.86Ch'usan più carità che il mondo insieme,
1.87In cui lascivamente hanno il pensiero.
1.88Folle chiaman fra lor colui cha teme
1.89Spender ne' suoi desir tanto in un giorno,
1.90Che in mille ricovrar non abbia speme.
1.91Quale ha femmina pur dentro o d'intorno
1.92Sì vil Bologna, che se a Roma viene
1.93Non abbia in breve d'abondanza il corno?
1.94Se quante Roma nel suo sen ritiene
1.95Cianghelle e Lapi, fosser Lini e Cleti,
1.96Forse del ciel avria più larga spene.
1.97Taccian fra lor filosofi e poeti!
1.98Ché quella donna sol si ascolta e loda,
1.99Ch'aggia più modi al suo mestier segreti.
1.100Là non si trova chi trionfi e goda
1.101Se non sa dir con quante e quai maniere
1.102L'ermafrodito i suoi vincigli annoda.
1.103Ché il soverchio mangiar, l'estremo bere
1.104Gl'induce a tal, che mal contenti sono
1.105Nel natural confin lor voglie avere.
1.106E chi se stesso lascia in abbandono
1.107Dalla gola portar dovunque il mena,
1.108Moderato voler non sente o buono.
1.109Nella privata lor più stretta cena
1.110Voglion di tanti vin, tante vivande,
1.111Che tal Lucullo pur ne vide appena.
1.112Ben si ponno schernir le antiche ghiande;
1.113Ch'oggi convien che il ciel, la terra, il mare
1.114Novi altri cibi a satisfarli mande.
1.115Che tormenti crudel, che pene amare
1.116Sente il pesce e l'uccel davanti a morte,
1.117Se alquanto segno d'amo o d'esca appare!
1.118Non trovò di martìr sì nuova sorte
1.119Sopra i cristian l'Apostata Giuliano
1.120Com'oggi in questi la Romana Corte!
1.121Molto importa a saver s'in monte o in piano
1.122Venghin pasciute le selvagge prede,
1.123S'aggia riviera o mar presso o lontano;
1.124S'ivi il Settentrione all'Austro cede,
1.125Ché quel dona sapor, quell'altro impingua,
1.126O s'all'aperto ciel, s'al chiuso siede.
1.127Così convien con arte si distingua
1.128Il sito, il tempo, l'aria e la stagione,
1.129Opra di chiara e non d'oscura lingua.
1.130Che dirò del fagian, che del cappone,
1.131Che per aver più cara la pastura
1.132La madre e i frati nel suo ventre pone!
1.133Né l'ingegnoso Dedalo tal cura
1.134Pose, fuggendo, a fabbricar quell'ale
1.135In cui già vinta si chiamò natura.
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