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SATIRA SECONDA.

Rime

PoeTree.it

1.1Mai non vo' più cantar com'io solìa,
1.2Ma di sempre seguir Lucilio intendo
1.3Con chi lui segue per più dotta via.
1.4E se ne' campi altrui mia falce stendo,
1.5Scusimi ira e dolor, che m'ange e tira
1.6Là 've più d'altri me medesmo offendo.
1.7Ben Democrito appar chi non s'adira
1.8Sì ch'alto gridi, se ben muto fosse,
1.9Quando gli occhi a mirar dintorno gira.
1.10Quante fïate ho già da me rimosse
1.11Le pie sorelle, e le sdegnose note
1.12Chiuse nel petto per uscir già mosse!
1.13Or bench'a forza, ogni silenzio scuote
1.14La lingua mia, che quanto ascolta o vede
1.15L'alma affannosa più tacer non puote.
1.16Tal fu già nulla, che superbo siede
1.17Nei luoghi eccelsi, onde dir sembra in vista:
1.18Io del mondo fra noi son fatto erede.
1.19E quanto in lui veder più si fa trista
1.20L'afflitta gente, allor s'allegra e gode
1.21Che in altrui pianto più d'onor s'acquista.
1.22Chi non volge i suoi dì fra inganni e frode,
1.23Cerchi altro mondo, ché d'insidia il dente
1.24Quanta è in questo virtù, consuma e rode.
1.25Chi vuol fede servar, chi non consente
1.26Nell'altrui morte, a sua vergogna stessa
1.27Semplice e rozzo il fa la sciocca gente.
1.28Deve il saggio tener la sua impromessa
1.29Quando util fia; ma se dannosa viene,
1.30Folle è da dir chi si ricorda d'essa:
1.31Santo precetto e bel, ch'in sé contiene
1.32L'aureo libro moral, c'han quegli in mano
1.33Ond'oggi Italia di servir sostiene.
1.34Così fea Ciro ancor: divo Africano,
1.35Tu ben tel sai, ché chi di lui ragiona
1.36Non più che Lelio mai ti fu lontano.
1.37Taccia il gran saggio che per tutto suona,
1.38Ché nulla san quanti costumi insegna,
1.39Ch'or per altro sentier nel ben si sprona.
1.40L'alta dottrina tua sol oggi è degna
1.41Dell'umil plebe, e ciò sia con tua pace,
1.42Ch' dai nostri signor chiamata è indegna:
1.43Cui tanta terra tanto mar soggiace
1.44Or non dên soggiacer le leggi ancora?
1.45Sol è giusto tra lor quel che più piace.
1.46Regolo Attilio, che del mondo fuora
1.47Fedel partisti, e per sì chiara morte
1.48Tanti oggi hai biasmi, quante lodi allora!
1.49Al primo santo oprar chiuse han le porte,
1.50Il publico e l'onor da canto dorme,
1.51Le frodi e 'l proprio aver son d'essi scorte.
1.52Oh dei nostri maggior cangiate forme!
1.53Silla è più in pregio che Licurgo e Numa.
1.54Quando, quando esser dee chi voi riforme?
1.55Colui più d'altro di virtù s'alluma,
1.56Che parteggiando a Cesare s'agguaglia,
1.57Non lasciando però l'ozio e la piuma.
1.58Questo non vedran mai Spagna e Tessaglia,
1.59Non il britanno mar, Germania o Francia,
1.60Cinto alla state e 'l gel di piastra e maglia.
1.61L'inganno è l'arme sua, non spada o lancia;
1.62Ond'egli offende più chi più s'affida;
1.63E 'l dito alzando colla mente ciancia;
1.64E per saldo restare ov'ei s'annida
1.65Con fallaci pensier porge e promette
1.66A cui più sente che Fortuna arrida.
1.67E l'altro e l'un senza pensar dimette
1.68L'odio e gli scherni, e l'altre ingiurie antiche,
1.69Sol che 'l cinque ch'avea gli torni sette.
1.70Giuran poi mille lingue al falso amiche,
1.71Nulla scettro regal vergogna offende,
1.72Quantunque bene o mal si faccia o diche.
1.73Quasi raggio del Sol che 'l dì si stende
1.74Per tanti rivi, e scalda e veste il mare,
1.75Né mai punto d'umor la sera il prende.
1.76Se aveste, alti signor, le menti chiare,
1.77Ben v'avvedreste quanto poco è quello
1.78Che può il vostro splendor molto macchiare.
1.79Quanto direste allor, quanto più bello
1.80Che con un sol disnor mille altri regni,
1.81L'esser del mondo per virtù rubello.
1.82Non sia di voi chi di mio dir si sdegni:
1.83Sdegnisi pur con chi si tace e vede:
1.84Questi miei son d'amor, quei d'odio segni.
1.85Parlo a voi sol de' Regal Gigli erede;
1.86L'Aquila or taccio, empia cagione amara
1.87Che chi regina fu, serva oggi siede.
1.88Spesso anima gentil fallendo impara:
1.89Tornivi a mente pur, che i giorni vanno,
1.90E morte è spesso de' gran fatti avara.
1.91Per voi pensa spogliar l'antico affanno
1.92La inferma Italia, che fia tosto morta,
1.93Se a venir tarda il buon soccorso un anno:
1.94Pur che trovi a mercè chiusa la porta
1.95Tal che trionfa, né le gemme e l'oro
1.96Gli basti al non partir dalla via torta.
1.97Crudel pietà per adunar tesoro
1.98Opra non fia dalla regale incude
1.99Usa di fabbricar più bel lavoro.
1.100Ah! non è sempre il perdonar virtude,
1.101Ma i chiari merti altrui porre in oblio
1.102L'alto cammin del ciel mai sempre chiude.
1.103Il restar vincitor dono è di Dio:
1.104Quel che la palma ottien, mostrar si deve
1.105Giusto all'ingiusto, a chi fu giusto pio.
1.106Non fu peccato, al mio parer, sì leve
1.107Non ricovrar quel dì la bella Donna
1.108Che per voi troppo amar giogo riceve.
1.109Se la fêr già di sé maestra e donna
1.110Carlo e Luigi, e voi perché non siete
1.111Al sostenerla in piè terza colonna?
1.112Ahi di soverchio aver soverchia sete
1.113Vi adduce in parte d'ogni dritto fuore
1.114Là 've chi il più desia men frutto miete.
1.115L'onor porta oro, ma non l'oro onore,
1.116E chi nol crede con suo danno il pruova,
1.117Ché quel vive un sol dì, se questo muore.
1.118No' il mondo intorno, e quanto in lui si trova
1.119Val, Signor, di virtù pure una dramma.
1.120Poi che l'uom va sotterra, ella rinnova
1.121Luce per tutto, e non perde mai fiamma.
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