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1.1Già quaranzette e mille cinquecento
1.2correvon gli anni del nostro Signore,
1.3quando d'agosto in mezzo all'acqua e 'l vento
1.4restar gli Umidi asciutti e senza umore:
1.5onde di doglia piena e di tormento
1.6l'Accademia, e di rabbia e di furore,
1.7tenendo in verso il ciel le luci fisse,
1.8così piangendo e sospirando disse:
2.1«Chi non ha 'l cor di ferro o di diamante,
2.2e l'anima di vipera o di drago;
2.3chi non è in tutto sfacciato e furfante,
2.4e di malfare e tradimenti vago,
2.5pien d'affanni e di duol si faccia avante;
2.6e vedrà me, che di lagrime un lago
2.7verso dagli occhi, ed aspra compagnia
2.8tengo co' miei lamenti a Ghieremia.
3.1O Ghieremia, se tu fosti tradito,
3.2io son restata lacera e smembrata:
3.3se tu già fosti poeta gradito,
3.4anch'io già fui Accademia onorata:
3.5se tu rivolto in volgar sei fallito,
3.6io son peggio che morta e sotterrata;
3.7poi che pur m'hanno condotta in bordello,
3.8l'Etrusco, l'Arameo, l'Oscuro e 'l Gello.
4.1Come alla Chiesa proprio primitiva
4.2è intervenuto a me, né più né meno;
4.3che, quando ell'era povera, fioriva
4.4e rendea il frutto suo dolce ed ameno;
4.5ma poi che fu di povertade priva
4.6e ch'ebbe d'oro le mani e 'l seno,
4.7gli ordini buoni fur sommersi tutti,
4.8e non ha fatto poi né fior né frutti:
5.1per ch'i ministri e i suoi governatori,
5.2già buoni e santi, ed or falsi e mendaci,
5.3al vil guadagno intenti, di pastori
5.4tornaron nella fin lupi rapaci:
5.5così nel corpo mio fer quei maggiori,
5.6quei più prosuntuosi ed audaci,
5.7e l'avarizia seguendo empia e ria
5.8fanno del consolato mercanzia.
6.1Ove son or quei primi fondatori,
6.2gli antichi valorosi Umidi miei,
6.3per cui, con mille eterni onori,
6.4m'alzai volando al regno degli Dei?
6.5Pur gl'invidiosi, ambizïosi cori,
6.6e l'avarizia, ohimè! degli Aramei
6.7han tanto fatto alfin, che di quei priva,
6.8morta non son, né son restata viva.
7.1Dove se' tu, feroce messer Goro?
7.2esci oramai, esci di pazzeria,
7.3vien saltando e mugliando come un toro
7.4a squinternar la tua filosofia;
7.5tu sei Astolfo, ed hai la lancia d'oro,
7.6e lor son ciurma della Pagania:
7.7getta rovescio e manda a capo chino
7.8Pilato, Caifasse, Anna e Longino.
8.1E tu, Lasca, che fai, o che aspetti?
8.2vuoi tu tanto indugiar ch'io sia basita?
8.3non sai che mediante i tuoi sonetti
8.4speranza ho da chi puote avere aita?
8.5non bisognano aver tanti rispetti,
8.6metti a mio conto o ceffata o ferita,
8.7o bastonate, o galee o prigioni,
8.8e dì cantando pur le tue ragioni.
9.1Non sai tu ch'i poeti han privilegio,
9.2e non istanno sottoposti a legge?
9.3dicon le lodi altrui, come il dispregio,
9.4lasciando star sol chi governa e regge.
9.5Or dunque sendo del sacro collegio
9.6delle Muse e d'Apollo, le coregge
9.7puoi far dietro agli Scribi e a' Farisei,
9.8te stesso difendendo, e gli onor miei.
10.1E' gli hanno più sospetto e più paura
10.2de' versi tuoi, che del diavolo assai;
10.3e se tu pon bene avvertenza e cura,
10.4nessun di lor non ti rispose mai:
10.5non posson tutti star teco alla dura,
10.6perché gli hanno lo stil de' calzolai,
10.7e le sgarbate loro invenzïoni
10.8son poi da pizzicagnoli e trecconi.
11.1Dietro ti seguirà Mon della Volta,
11.2e Gismondo Martelli in compagnia:
11.3l'uno è componitore a briglia sciolta,
11.4l'altro è pien di dolcezza e leggiadria:
11.5onde dipoi con riverenza molta
11.6s'inchina ad ambo duoi la poesia:
11.7così tutti gli altri Umidi verranno
11.8a metter gli Aramei a saccomanno.
12.1Ben mi posso doler di Pandragone,
12.2cioè del vecchio mio padre Stradino,
12.3ch'è stato il primo a volgermi il groppone,
12.4sì come traditore e malandrino;
12.5io sudo tutta per la passïone
12.6veggendol dalla parte di Caino,
12.7per ch'ad un grido sol del Consagrata
12.8tremava tutto Neri Dortelata.
13.1Quest'è quel goffo e quel malvagio Neri,
13.2che m'ha fatta uccellar da tutto il mondo;
13.3hammi fatto la zuppa nel panieri,
13.4e quasi quasi veder finimondo;
13.5ma s'io fussi per sorte balestrieri,
13.6gli ficcherei una freccia nel tondo.
13.7Orsù, poi che più innanzi andar non lice,
13.8basta, ch'io lo guarrei delle morice.
14.1Giovane, bella già, leggiadra e lieta
14.2passai felicemente i giorni e l'ore,
14.3quando alle glorie mie non era meta,
14.4al tempo già dell'Umido valore:
14.5ora a vespro ed a nona ed a compieta,
14.6e vecchia e brutta ho vergogna e dolore,
14.7poi che d'imperatrice e di regina
14.8son tornata fantesca e concubina.
15.1Il primo che dovea mia scorta e guida
15.2essere in questa tenebrosa valle,
15.3secondo la poetica del Vida,
15.4m'ha rifiutato e voltomi le spalle;
15.5costui, che par d'ogni cosa si rida,
15.6più scaltrito ed astuto è d'Aniballe:
15.7con questo suo sagace strattagemma
15.8ha mostro ch'io starei bene in maremma.
16.1Or fate il conto voi, buone persone;
16.2voi, che loici sete, argumentate,
16.3e fate dopo la conclusïone,
16.4ch'il tempo sia testè di Ciolle abate;
16.5ma se non vien dal ciel nuova cagione,
16.6che mi ritorni alle prime giornate,
16.7dubito alfin di non venire a noia
16.8insino a i birri, insino al padre boia.
17.1O stelle congiurate, o destin reo,
17.2dunque deve esser mio capo e mio duce
17.3non un Giovanni, anzi un Bartolommeo,
17.4che di foresteria poco riluce?
17.5Non so s'ei si è Friozzarche od Arameo,
17.6se suona o canta, se taglia o se cuce;
17.7ma s'ei fusse Platone, io non lo voglio,
17.8ch'io mi morrei di rabbia e di cordoglio.
18.1Sol di me lascerogli l'ombra sola,
18.2ed io me n'andrò in Arno alla pescaia,
18.3dove fitta nell'acqua infino a gola
18.4sosterrò doglie e pene a centinaia:
18.5quivi starommi, senza far parola,
18.6come s'io fussi 'n una colombaia,
18.7tanto che un giorno lieti ne verranno
18.8gli Umidi miei, e me ne caveranno.
19.1Però che tanti e poi tanti favori
19.2da chi lo potrà far verranno loro,
19.3che saranno chiamati fondatori,
19.4a darmi vita e sussidio e ristoro;
19.5ond'io lieta dell'acque uscirò fuori
19.6coronata di mortine e d'alloro:
19.7e più bella che mai, e più felice,
19.8ritornerò reina e imperatrice.
20.1Ed alla barba poi de' Farisei
20.2e degli Scribi, turba empia e maligna,
20.3se n'andranno sguazzando gli onor miei
20.4da Rovezzan per acqua insino a Signa.
20.5Ma or ch'io piango, e miserere mei
20.6chieggo dolente a chi si tace e ghigna,
20.7e sonmi un pezzo lamentata indarno,
20.8lascio qui l'ombra e vo correndo ad Arno».
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