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1.1Ora era onde 'l salir non volea storpio;
1.2ché 'l sole avëa il cerchio di merigge
1.3lasciato al Tauro e la notte a lo Scorpio:
2.1per che, come fa l'uom che non s'affigge
2.2ma vassi a la via sua, che che li appaia,
2.3se di bisogno stimolo il trafigge,
3.1così intrammo noi per la callaia,
3.2uno innanzi altro prendendo la scala
3.3che per artezza i salitor dispaia.
4.1E quale il cicognin che leva l'ala
4.2per voglia di volare, e non s'attenta
4.3d'abbandonar lo nido, e giù la cala;
5.1tal era io con voglia accesa e spenta
5.2di dimandar, venendo infino a l'atto
5.3che fa colui ch'a dicer s'argomenta.
6.1Non lasciò, per l'andar che fosse ratto,
6.2lo dolce padre mio, ma disse: "Scocca
6.3l'arco del dir, che 'nfino al ferro hai tratto".
7.1Allor sicuramente apri' la bocca
7.2e cominciai: "Come si può far magro
7.3là dove l'uopo di nodrir non tocca?".
8.1"Se t'ammentassi come Meleagro
8.2si consumò al consumar d'un stizzo,
8.3non fora", disse, "a te questo sì agro;
9.1e se pensassi come, al vostro guizzo,
9.2guizza dentro a lo specchio vostra image,
9.3ciò che par duro ti parrebbe vizzo.
10.1Ma perché dentro a tuo voler t'adage,
10.2ecco qui Stazio; e io lui chiamo e prego
10.3che sia or sanator de le tue piage".
11.1"Se la veduta etterna li dislego",
11.2rispuose Stazio, "là dove tu sie,
11.3discolpi me non potert'io far nego".
12.1Poi cominciò: "Se le parole mie,
12.2figlio, la mente tua guarda e riceve,
12.3lume ti fiero al come che tu die.
13.1Sangue perfetto, che poi non si beve
13.2da l'assetate vene, e si rimane
13.3quasi alimento che di mensa leve,
14.1prende nel core a tutte membra umane
14.2virtute informativa, come quello
14.3ch'a farsi quelle per le vene vane.
15.1Ancor digesto, scende ov'è più bello
15.2tacer che dire; e quindi poscia geme
15.3sovr'altrui sangue in natural vasello.
16.1Ivi s'accoglie l'uno e l'altro insieme,
16.2l'un disposto a patire, e l'altro a fare
16.3per lo perfetto loco onde si preme;
17.1e, giunto lui, comincia ad operare
17.2coagulando prima, e poi avviva
17.3ciò che per sua matera fé constare.
18.1Anima fatta la virtute attiva
18.2qual d'una pianta, in tanto differente,
18.3che questa è in via e quella è già a riva,
19.1tanto ovra poi, che già si move e sente,
19.2come spungo marino; e indi imprende
19.3ad organar le posse ond'è semente.
20.1Or si spiega, figliuolo, or si distende
20.2la virtù ch'è dal cor del generante,
20.3dove natura a tutte membra intende.
21.1Ma come d'animal divegna fante,
21.2non vedi tu ancor: quest'è tal punto,
21.3che più savio di te fé già errante,
22.1sì che per sua dottrina fé disgiunto
22.2da l'anima il possibile intelletto,
22.3perché da lui non vide organo assunto.
23.1Apri a la verità che viene il petto;
23.2e sappi che, sì tosto come al feto
23.3l'articular del cerebro è perfetto,
24.1lo motor primo a lui si volge lieto
24.2sovra tant'arte di natura, e spira
24.3spirito novo, di vertù repleto,
25.1che ciò che trova attivo quivi, tira
25.2in sua sustanzia, e fassi un'alma sola,
25.3che vive e sente e sé in sé rigira.
26.1E perché meno ammiri la parola,
26.2guarda il calor del sole che si fa vino,
26.3giunto a l'omor che de la vite cola.
27.1Quando Làchesis non ha più del lino,
27.2solvesi da la carne, e in virtute
27.3ne porta seco e l'umano e 'l divino:
28.1l'altre potenze tutte quante mute;
28.2memoria, intelligenza e volontade
28.3in atto molto più che prima agute.
29.1Sanza restarsi, per sé stessa cade
29.2mirabilmente a l'una de le rive;
29.3quivi conosce prima le sue strade.
30.1Tosto che loco lì la circunscrive,
30.2la virtù formativa raggia intorno
30.3così e quanto ne le membra vive.
31.1E come l'aere, quand'è ben pïorno,
31.2per l'altrui raggio che 'n sé si reflette,
31.3di diversi color diventa addorno;
32.1così l'aere vicin quivi si mette
32.2in quella forma ch'è in lui suggella
32.3virtüalmente l'alma che ristette;
33.1e simigliante poi a la fiammella
33.2che segue il foco là 'vunque si muta,
33.3segue lo spirto sua forma novella.
34.1Però che quindi ha poscia sua paruta,
34.2è chiamata ombra; e quindi organa poi
34.3ciascun sentire infino a la veduta.
35.1Quindi parliamo e quindi ridiam noi;
35.2quindi facciam le lagrime e ' sospiri
35.3che per lo monte aver sentiti puoi.
36.1Secondo che ci affiggono i disiri
36.2e li altri affetti, l'ombra si figura;
36.3e quest'è la cagion di che tu miri".
37.1E già venuto a l'ultima tortura
37.2s'era per noi, e vòlto a la man destra,
37.3ed eravamo attenti ad altra cura.
38.1Quivi la ripa fiamma in fuor balestra,
38.2e la cornice spira fiato in suso
38.3che la reflette e via da lei sequestra;
39.1ond'ir ne convenia dal lato schiuso
39.2ad uno ad uno; e io temëa 'l foco
39.3quinci, e quindi temeva cader giuso.
40.1Lo duca mio dicea: "Per questo loco
40.2si vuol tenere a li occhi stretto il freno,
40.3però ch'errar potrebbesi per poco".
41.1"Summae Deus clementïae" nel seno
41.2al grande ardore allora udi' cantando,
41.3che di volger mi fé caler non meno;
42.1e vidi spirti per la fiamma andando;
42.2per ch'io guardava a loro e a' miei passi,
42.3compartendo la vista a quando a quando.
43.1Appresso il fine ch'a quell'inno fassi,
43.2gridavano alto: "Virum non cognosco";
43.3indi ricominciavan l'inno bassi.
44.1Finitolo, anco gridavano: "Al bosco
44.2si tenne Diana, ed Elice caccionne
44.3che di Venere avea sentito il tòsco".
45.1Indi al cantar tornavano; indi donne
45.2gridavano e mariti che fuor casti
45.3come virtute e matrimonio imponne.
46.1E questo modo credo che lor basti
46.2per tutto il tempo che 'l foco li abbruscia:
46.3con tal cura conviene e con tai pasti
47.1che la piaga da sezzo si ricuscia.
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